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I ♥ Telefilm: Breaking Bad - Reazioni Collaterali

Creato il 21 novembre 2015 da Mik_94
I ♥ Telefilm: Breaking Bad - Reazioni Collaterali [2008 –2013] 
Non sono uno di quelli che fa i salti di gioia quando ha gli episodi di qualche serie televisiva in arretrato. Mi piace vederli volta per volta, a meno che non si tratti di una leggerissima sit com da nulla. Figuriamoci se, in sospeso, non ho qualche episodio, bensì qualche stagione. Diciamo pure cinque, tonde tonde. Raro, allora, che mi prenda la briga di darmi ai recuperi corposi, non essendo il tipo da maratona notturna – vado a dormire presto e mi sveglio altrettanto presto – e detestando tutto ciò che, per la sua grandezza, è destinato inevitabilmente a sfuggirmi di mano. Però uno che ama il cinema, uno che ha un blog in cui parla delle cose che più gli vanno a genio, uno che si vanta di essere uno lettore e, in primis, uno spettatore compulsivo, può non avere mai visto Breaking Bad, la serie che tutti hanno visto? Quella che ha spodestato, ai penultimi Emmy, un gioiello intitolato True Detective e alla quale nella mia città, sul mare, è stato dedicato un murales con le bombolette spray, che occupa una parete grossa così. Scherzando, mentre si andava tutti in spiaggia, trovavo anche qualche somiglianza tra l'uomo raffigurato – calvo, il pizzetto sale e pepe, un paio di occhiali sottili – e papà – la non pettinatura, la stessa barba curata, ma senza la presbiopia, ché ha appena spento cinquanta candeline e ci vede senz'altro meglio di me. Non sapevo ancora chi fosse Heisenberg. Lo avrei scoperto entro d'estate, con due stagioni introduttive che mi sono sì goduto, anche se il desiderio di proseguire a tutti i costi, chissà perché, al tempo mancava. Un anno fa ho conosciuto i protagonisti di Breaking Bad e, per un anno, li ho poi tenuti in pausa. Non che non non mi piacessero; non che, nonostante un infondato presentimento iniziale, mi annoiassi in loro compagnia. I tentativi di essere sempre aggiornato, la necessità di una recensione al giorno, mi hanno portato, semplicemente, a inserire l'imperdibile Breaking Bad in una lista diversa da quella delle mie prerogative base. Finché mio fratello, che minacciava spoiler spietati e che, per inciso, mi tocca anche ringraziare per la pressione psicologica, non mi ha ricordato dov'ero rimasto e, soprattutto, cosa rischiavo di perdermi. Per lui – ma per tanti, e alla fine anche per me, pigrissimo ma lucido nei giudizi – serie delle serie; ve la butto lì. Di quelle che segnano un prima e un dopo, come la natività nel cattolicesimo; di quelle che, indipendentemente dai gusti, vanno affrontate come compito per casa. Sapete tutti cos'è, e allora io vi dirò cosa non è. Breaking Bad – storia di droghe, strategie, sogni americani rivisti e corretti – non parla di dipendenze e narcotraffici, come Trainspotting o, non so, un Traffing. Non è una serie d'azione, o almeno non solo. A colpirmi, perfino in episodi in cui non succedeva granché, sapete cos'era? La sua sconcertante naturalezza, che un taglio non sempre cinematografico e registi anonimi a scambiarsi le redini non scalfiscono per un minuto, anzi: queste scene lunghissime, questi dialoghi semplici ma densi, il manierismo che latita hanno il grande pregio di non rendere l'acclamato Breaking Bad pretenzioso neanche un po'. Assodato che Heisenberg, già leggenda, non faccia il filo al Johnny Depp di Blow – lui, infatti, non si sballa, filosofeggia sempre il giusto e, soprattutto, non ama sporcarsi le mani – e che i suoi intrecci shakespeariani, sul finire, non facciano parlare di loro per i volteggi di una macchina da presa ballerina – assente il maniacale perfezionismo di Hannibal, le ipnotiche spire di fumo di Rust Cohle -, restano interpreti granitici e una scrittura che ha dello straordinario. Come se fosse cosa di poco conto. Personaggi irripetibili a cui puoi provare a offrire solo parte della tua attenzione – Breaking Bad non ha parole di troppo, cavilli tecnici che stordiscono, e si potrebbe seguire con un solo occhio: spesso, mi ha tenuto compagnia a pranzo, mentre cucinavo o lavavo i piatti – prima che, in un'ultima stagione priva di difetti, ti prendano per la gola. Forse, mi ha fatto anche bene aspettare. Ho messo meglio a fuoco le metamorfosi; ho prestato più attenzione ai particolari. Ma non sono riuscito a capire quando Heisenberg, come in un mito greco di trasformazioni mostruose, abbia preso il sopravvento sul Signor White. Dove finisca il bene e dove cominci il male, dov'è che il padre di famiglia – il Fantozzi perseguitato dalla sua personale nuvola nera, il mite Flanders dei Simpsons dai brutti maglioni a rombi – abbia venduto l'anima al genio spregiudicato con la sua stessa faccia che, da un “la” elementare, avrebbe poi costruito un impero dalla lunga fortuna. Sapendo com'è andata, cosa hanno fatto, cosa si sono fatti, è difficile parlarvi di un quieto professore di chimica, padre di un ragazzo splendido ma difettoso e di una bambina che arriverà sul finire della seconda stagione, in cerca prima dei soldi, poi del brivido. Fino a non averne mai abbastanza. Con i giorni contati, quest'uomo medio in cerca di qualcosa in più si metterà sulle tracce di Jesse Pinkman – un suo vecchio studente che ha venduto il suo candore per due grammi di felicità – e insieme, in un rapporto embrionale che si nutre di amore e odio, inizieranno a produrre una metanfetamina blu, purissima, che va via come il pane, ad Albuquerque e dintorni, e rende più dell'oro. Ma Walter ha scoperto di avere il cancro ai polmoni, e non ha mai fumato; adesso non vuole dare al destino, già beffardo di suo, ulteriori scuse per accanirsi. Discreto a intelligente, non abbandonerà la sua vita modesta per altro; ma il camper nel deserto degli inizi cederà il passo prima a un laboratorio segreto, poi a una geniale fabbrica itinerante, e i suoi rapporti – con una famiglia all'oscuro, con un cognato che lavora alla narcotici e si fida ciecamente, con un ragazzino che aveva bisogno di una guida e non di altri tranelli -, poco a poco, degenereranno. Quando la famiglia, apparente ragione del tutto, ma parliamo di un'altra bugia, gli volta le spalle e Jessie, come un terzo figlio che ha però traviato negli anni, si allontana, si consumerà una moderna tragedia del potere. Perché chi regna è condannato alla solitudine, e da soli non esiste salvezza. Confidando di avervi dato un'idea di come sia Walter, stratega e meticoloso, acqua cheta che logora i ponti, ora capirete – se non lo sapete già – com'è Breaking Bad. Politicamente scorretto, ironico: onnipotente. All'altezza di aspettative elevate e ben riposte. E non si può che lasciarsi condurre, perciò, verso una chiusa necessaria e inevitabile, in cui Dean Norris si conferma un commovente comprimario, Anna Gunn – sopravvalutata, o forse è l'odio nei confronti della sua Skyler a parlare? - una delle mogli più irritanti e battagliere del piccolo schermo, Aaron Paul – spacciatore da poco, coi neuroni andati e il cuore pulito – l'eroe dell'inazione per eccellenza. A caldo, quante gliene ho dette, al suo povero Jesse. Non fa che piangere, non fa che sbagliare; permette che altri decidano sempre la sua sorte. Si lascia vivere e non vive. A mentre fredda, invece, Pinkman è inerme e confuso, invece, come saremmo noi spettatori, invischiati in qualcosa di losco e pericoloso, se indossassimo i suoi panni sformati e quei limpidi occhi blu. Su tutti, ovviamente, svetta un clamoroso Bryan Cranston: viene direttamente dalla mia infanzia, lui che un decennio fa interpretava il papà dello sfrontato Malcolm e, con il camice e la mascherina protettiva, sembra un po' un Dexter invecchiato – non il serial killer della Showtime, ma quello di Il laboratorio di Dexter, altro ricordo targato Cartoon Network del me bambino – che si sente Gesù Cristo in terra. Tra colpi di scena e doppi giochi, svolte belle e svolte bellissime, so anche dirvi il mio episodio preferito. Sono stato attento: il decimo della terza stagione. Un piccolo capolavoro in cui la caccia ossessiva a una mosca, in un ambiente che dovrebbe essere asettico, serve a parlare di nevrosi che tormentano e a creare un'ultima vicinanza tra Jesse e Walter, dipendente e boss, la quale spalanca uno spiraglio piccino a reciproche confidenze. E ronza, indisturbato, il senso di colpa. Il non detto. Breaking Bad sposa lo storico enunciato di Lavoisier e, nel mentre, si fa anch'esso legge. Nulla di crea. Nulla si distrugge. tutto si trasforma. Soprattutto, qui si trasformano tutti. (9)

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