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I ♥ Telefilm: Flesh and Bone, Red Oaks, Billy and Billie

Creato il 02 dicembre 2015 da Mik_94
I ♥ Telefilm: Flesh and Bone, Red Oaks, Billy and BillieProvano con violenza a entrare nella sua stanza, ma un lucchetto blocca la porta. Dall'altra parte, c'è una persona più determinata e forte: il catenaccio non reggerà. Prima che la porta venga divelta, però, e la sua camera invasa, Claire – vent'anni – scappa dalla finestra. In borsa ha un biglietto per New York e un paio di scarpette a punta. I suoi piedi e il suo talento la porteranno lontano in tempi brevi. Entra subito in una compagnia di ballo, con quel miscuglio di mistero e delicatezza che seduce maestri e investitori, e su di lei – le linee perfette, un corpo pieno ma leggero – viene cucito un ruolo da protagonista, per l'evento della stagione. I coreografi la venerano, i colleghi – le colleghe, soprattutto – la temono. Da dove sbuca quella spietata rivale, che per un anno, chissà perché, ha abbandonato il palcoscenico? Cosa raccontano i suoi silenzi, il suo rigore e l'incapacità a lasciarsi andare, anima e corpo, a un'altra persona? Flesh & Bone – miniserie in otto episodi sceneggiata dall'autrice di Breaking Bad, prodotta dalla Starz e subito distribuita, dopo un'ottima accoglienza al Festival di Roma, nel nostro Paese – ha più di qualche debito nei confronti del cinema di Altman e Aronofsky, ma i paragoni, tanto ragionevoli quanto immediati, sorprendentemente reggono. La serie firmata da Moira Walley-Beckett non li teme. Elegantissima, oscura, scritta a meraviglia. Ormai, non ci si sorprende neanche più davanti a produzioni pensate per il piccolo schermo che rigorose, di altissimi livelli, concorrono con il cinema d'autore. Ma in un anno di delusioni in sala e, al contrario, di grandi avventi telefilmici, Flesh & Bone – rivelazione, come lo fu lo scorso anno The Affair – ha, invece, ulteriori motivi per sorprendere. La perfezione con cui si muovono i suoi ottimi protagonisti, che nascono come ballerini classici e non come attori, e l'accuratezza con cui si esprimono. Le coreografie magnifiche, i dialoghi intensi. Qualcuno, alla regia, che per tutto il tempo ne sa catturare con classe i movimenti eterei e i discorsi contingenti. La storia dell'inquieta Claire – ma anche di comprimari tratteggiati con meticolosità, che è un dovere ricordare: il poetico clochard del palazzo, il coreografo amareggiato e vendicativo, la coinquilina invidiosa e il fratello possessivo – mostra, con riflettori puntati più sui retroscena che sulla ribalta, i livori e le difficoltà, la pressione psicologica e la dura concorrenza. La musica classica sposa i toni noir, in uno spettacolo conturbante e impalpabile, perfino sottilmente erotico, per scoprire il costo dell'ambizione e il talento di una stella in ascesa. Sara Hay, come il personaggio che impersona, si lascia guardare con occhi incantati: è la Portman rigida di The Black Swan, quella fatale di Closer. Gli occhi da cerbiatto, un esordio dalla forte credibilità e forme da capogiro, giacché anche l'occhio vuole la sua parte, che quest'anno – nel famoso listone – rimpiazzeranno quelle della disinibita D'Addario di True Detective. Insieme a lei, degni di nota, lo straordinario Damon Herriman – il visionario senzatetto Romeo, con un nome che ci rivela già la sua propensione alla tragedia – e il superbo Ben Daniels – un diabolico direttore, l'equivalente per il balletto di ciò che J.K Simmons è stato per il jazz, le cui follie da tiranno sono bilanciate da segrete debolezze. Serie nuda e cruda, questa, ma anche estremamente limata, sul peso degli angeli e dei sogni, in cui la carne è tutta un livido – le unghie degli alluci saltano, si dorme scomodi per mantenere una determinata postura – e le ossa, con una piroetta sbagliata, si spezzano in mille pezzi. Sull'abbracciare il proprio lato oscuro, per conoscere prima com'è fatto il corpo, poi com'è fatta l'anima. Claire insegue la perfezione, ricerca la trascendenza e, se il suo fisico non ha limiti, deve però esplorare la propria sessualità, i propri vergognosi segreti, per eccellere. Perché non c'è un cigno bianco, senza il cigno nero. (7,5) I ♥ Telefilm: Flesh and Bone, Red Oaks, Billy and BillieSiamo nel cuore degli anni ottanta. David, diciannove anni, ha rimediato un impiego per la bella stagione. Per tre mesi, insegnerà tennis e, con qualche amico, trascorrerà in allegria il periodo dei grandi cambiamenti  in un prestigioso club privato. Mentre i suoi genitori pensano a una probabile separazione – il padre si è ripreso per miracolo da un infarto, la mamma nasconde tendenze omosessuali -, il protagonista, come la tradizione del romanzo di formazione prevede, metterà in discussione sogni e vecchi propositi. Vuole diventare un noioso contabile, come il suo vecchio? Vuole avere una famiglia, un giorno, con la bella Karen, insegnante di aerobica, o abbandonerebbe tutto per posare, come mamma l'ha fatto, per la fatale Skye, figlia del boss? Accanto a lui, l'inseparabile amico Wheeler, cotto di una bagnina biondissima e coinvolto in un traffico di stupefacenti, e il collega Nash, immaturo quarantenne. Red Oaks, comedy in dieci episodi prodotta da Amazon, debutta ufficialmente quest'anno, dopo che il pilot – diretto dal David Gordon Green – era stato bene accolto in rete. Dalla sua ha la ricostruzione riuscita degli anni che mi sono perso e la voglia di omaggiare personalmente la commedia americana di Hughes e Landis. Si inseguono i cliché – i capelli cotonati; i pantaloni a vita alta; i campus che solo in un certo tipo di cinema – e, a volte, in venti minuti, si girano piccoli, liberi remake. In uno degli ultimi episodi, infatti, senza ombra di dubbio il più divertente, David e suo padre si scambiano i ruoli: per una giornata, l'uno nel corpo dell'altro, giocheranno al gioco di Quel pazzo venerdì. Metteteci un protagonista impacciato il giusto, come il bravo Craig Roberts della rivelazione Submarine – rivelazione che a me, a onor del vero, non si è ancora rivelata: non l'ho visto -, e la partecipazione di un'autentica meteora, la Jennifer Grey che non si vedeva sugli schermi dai fasti di Dirty Dancing. Gli episodi volano e, sulla falsa riga di serie con le quali non ho poi proseguito, il noioso Aquarius e l'idiota Wet Hot American Summer, ad esempio, si eleva a protagonista un decennio mai passato di moda e puntualmente rimpianto dai nostalgici. E si fa bene così, molto. Una stagione per parlare di un'estate cruciale, in cui a non convincere – o meglio, a convincere più la critica che il pubblico – è la pretesa di serietà che la partecipazione del braccio destro dell'impegnato Soderbergh, tra gli autori, vorrebbe assicurare. A ricordarci che è pimpante, leggero, scanzonato, più le apparenze – un protagonista in cui mi rivedo un po' e uno sfondo da sogno - che la scrittura, indecisa tra il serio e il comico. Stranamente, si rimpiangono le becere risate che mancano: con più umorismo, e anche più volgarità, l'omaggio poteva risultare meno studiato ma maggiormente di cuore. Con meno rigore nascosto, Red Oaks – per me, comunque carino - poteva diventare un'indispensabile compagnia per le estati presenti e future. (6,5)
I ♥ Telefilm: Flesh and Bone, Red Oaks, Billy and BillieLui ha l'indiscreto fascino del nerd e scrive per una rivista che si occupa di cinema e dintorni. Lei mostra meno dei suoi anni e fa l'artista. Loro, che hanno quasi lo stesso identico nome, si svegliano insieme e insieme vanno a dormire, in un appartamentino affacciato su una New York spassionatamente indie. Ma quello che, nel primo episodio, sembra il più classico dei boy meets girl – con tanto di dialoghi che durano minuti e minuti e personaggi fatti a modo loro – ha in serbo un colpo di scena. Lui, infatti, ha conosciuto lei quando erano adolescenti, a casa di papà. I loro genitori si sono sposati in seconde nozze e questo fa di loro, all'inizio scontrosi e da grandi amanti appassionati, fratello e sorella. Più precisamente, fratellastri. Cosa direbbero, scoprendo la loro relazione nascosta, i parenti, i colleghi, la cameriera della tavola calda? Il mondo è pronto a vederli come coppia, senza trovare la cosa strana o, peggio, morbosa? Billy & Billie è una commedia (alternativamente) romantica a episodi. Ha una fotografia e un gusto che non sapete – o forse sì? - quanto mi vanno a genio e tutti gli ingredienti giusti. Una narrazione originale – i trenta minuti sono scanditi, infatti, come se leggessimo una sceneggiatura – e due protagonisti belli e valenti. Non manca nemmeno una specie di autorialità di fondo. Le puntate sono state scritte e dirette dalla stessa mano: regista e ideatore, un Neil LaBute – quello dell'esecrabile The Wicker Man, ma anche del buon Possession: Una storia romantica – che dal suo ultimo Some Velvet Morning, ben orchestrato e recitato meglio ancora, prende l'impianto teatrale, ciò che piace al TriBeCa. Lì i protagonisti erano appena due, qui non mancano i comprimari – i genitori angosciati, gli amici stravaganti, i fratelli che gli strani innamorati hanno, loro malgrado, in comune. Lo spettatore, però, non ha occhi che per Lisa Joyce e per Adam Brody; idolatrato dal sottroscritto, quest'ultimo, per The O.C, quando ero appena un bambino e Seth Cohen mi pareva il massimo dello stile. Quando sono insieme, nella stessa inquadratura, piacciono tanto. Separati, invece, meno, con routine che interessano fino a un certo punto e rimpiazzi amorosi che, appunto, sono solo meri rimpiazzi. Billy and Billie ha i suoi ritmi, che possono piacere oppure no, ma una storia che poteva stare nei canonici novanta minuti. Avrei apprezzato maggiormente e non lo avrei trovato, a tratti, tanto statico. Mi sarebbero sembrati meno ripetitivi i tiri e molla e le controversie, alla luce della mia mentalità aperta – non siete parenti effettivi, fate un po' come vi pare e viva l'amore – e di scheletri nell'armadio a forma di Cesaroni, che mi ricordano che nella nostra arretrata Italia, ancora prima di Billy e Billie, c'erano la Mastronardi e Branciamore. E, dal poco che avevo colto facendo zapping, non la facevano mica così difficile. (5,5)

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