Hannibal
Stagione Finale
Si
sguazzava in un bagno di emoglobina, per un finale degno di questo
nome. Una seconda serie migliore della precedente - con
l'assuefazione ai suoi ritmi languidi, l'improvvisa affinità tra il
serial killer e il detective, l'imboccare gradualmente quei territori
già conosciuti al cinema - e Hannibal, sorprendente su tutti i
fronti, che se non vinceva - e per me vinceva -
comunque sosteneva con padronanza i paragoni con la saga
cinematografica del leggendario Hopkins. Ci lasciava, lo scorso
anno, con domande innumerevoli. Mezzo cast agonizzava nel suo stesso
sangue, in una carneficina consumata senza preavviso, e ci si
interrogava su sostituzioni, nuovi ingressi, rinnovi. Con qualche
mese di ritardo, in estate, abbiamo scoperto che la preoccupazione
sulle sorti dei personaggi era stata tanta, ma non abbastanza. Vivi e
vegeti, i sopravvissuti erano sulle tracce
dello psicologo assassino. Ma se il cast non era stato decimato, c'era
un'altra cattiva notizia in agguato. La peggiore:
la cancellazione. A poco dalla prima puntata - una grande prima puntata - ho cominciato a meditare atroci vendette e a rodermi il
fegato. L'inizio,
vertiginoso, muove i primi passi nella nostra Italia. Tra i
salotti di Firenze e le cattedrali di Palermo, le mosse di una
battuta di caccia. Una squadra di mercenari sguinzagliata contro
Hannibal da Mason Verger e soprattutto il recidivo (redivivo) Will
Graham, affascinato dal male come la falena dalla fiamma. Prova a
prenderlo, ma è sempre un passo avanti. Cosa succederebbe se si
incontrassero ancora? L'arresto, in nome della giustizia, o la fuga,
seguendo il lato oscuro del cuore? Dopo sette episodi perfetti, i
rimanenti - ambientati a qualche anno di distanza - abbandonano le
città d'arte e gli omicidi scultorei per raccontarci il modus
operandi di un assassino che abbiamo conosciuto in Red Dragon.
La terza stagione di Hannibal, infatti, segue due rotte
distinte e autonome. All'inizio si ispira al lungometraggio in cui la
Moore sostituiva la Foster, ma con significative variazioni sul tema
- si segnala, da Gomorra, un buon Fortunato Cerlino.
Successivamente, sposando la causa di un poliziesco convenzionale, si
rifà all'ultima tappa prima del dimenticabile prequel con la
gioventù del cannibale: la struttura, fedele, risulta però poco
stravolta. E essendo Red Dragon uno dei film della serie che
più mi è capitato di vedere negli anni, l'effetto sorpresa
viene meno in un remake non necessario. Ricordiamo
che c'era stato già Manhunter e che il
famigerato Francis Dolarhyde - l'assassino di famiglie felici con la
fobia degli specchi - aveva avuto prima il volto di Tom Noonan, poi
di Ralph Fiennes. Questa è la volta di Richard Armitage, uno dei
rari tasti dolenti della serie. Bellimbusto britannico - nei cuori
delle donne con North & South, recentemente sulla cresta
dell'onda per Lo Hobbit - altrove convincente, questa volta non ha il physique du role. E sì, anche un Fiennes in forma
smagliante faceva guizzare i muscoli dorsali con il disegno di un
paio di ali gigantesche; e sì, il suo allenamento e i suoi modi
ricordano il Bale di American Psycho. Ma, spesso in boxer
elasticizzati e a petto nudo, l'Armitage troppo bello infastidisce noi eternamente
bruttini, ammica eccessivamente al pubblico femminile, distrae.
Accanto a lui, la fidanzata non vedente che ha il volto ritrovato di
Rutina Wesley - già mediocre in True Blood. Gradite conferme, se si sparla invece degli altri. In
un'annata in cui si annidano le peggiori delusioni, Mads Mikkelsen - severo,
elegante, carismatico come nessuno - e Hugh Dancy - bisognoso,
incerto, volubile - sono i migliori su piazza. Incorniciati da una
regia che adora il perfezionismo - dietro la macchina da presa, promesse dell'horror quali Neil Marshall, Vincenzo
Natali, David Slade - e resi simbiotici da una sceneggiatura che li
desidera vicinissimi, sono una non-coppia
da shippare spudoratamente, diciamolo, con la loro attrazione
platonica e i "non vivo né con te né senza di te"; magnifici padroni di un ambiguo gioco a due. Restano loro e gli altri
che già sapete; gli orgasmi visivi assicurati da una
profonda attenzione verso accostamenti cromatici e composizioni
dell'immagine; un epilogo bellissimo, romantico ed estremo che ti lascia senza fiato. E
triste, tristissimo. Per via di una strana poetica che parla
di eros e thanatos, una svolta imprevista rispetto al
copione originale, una scena dopo i titoli di coda che fa sognare
incubi felici. Hannibal mantiene le fatali promesse. Ci lascia, ma forse con
la stagione più bella. Amara consolazione. Ma la classe del
tutto non è acqua. E' sangue. Di notte, se avete imparato la lezione, si dice sembri nero come l'onice. (8)
Scream
Stagione I
Qualche
giorno fa si è spento Wes Craven. Settantasei anni, generazioni di bambini mandate a letto con gli incubi e senza cena, creatore di
mostri cult che – nel buio dell'armadio – facevano compagnia al
vecchio uomo nero di cui spesso ti raccontavano, per dispetto, i
fratelli maggiori. Nei post commemorativi di amici blogger, scrivevo
di averlo conosciuto in differita. I suoi lungometraggi proposti e riproposti, parodiati
con ironia, riscoperti – con anni di ritardo – da adolescenti in pericolo perfino nei loro sogni o alle feste di Halloween, se nella folla c'è
una maschera con il brutto ghigno di Ghost Face. Tempo di maratone
serali, adesso, per ricordarlo con un brivido aggiunto e per capire,
se qualcuno non li avesse capiti già, i segreti alla base di quel
miscuglio di sangue e leggerezza che altri imitano invano ma che ha un
solo padre biologico. L'idea di uno Scream a puntate
inorridiva i fan che, quando il famigerato urlo aveva avuto inizio,
erano seduti in sala; personalmente pensavo, invece, che il teen
thriller per eccellenza, sulla rete teen per eccellenza, potesse
avere del potenziale. I riscontri positivi non sono
mancati: la seconda stagione è già in produzione. E il potenziale
ipotizzato, invece, presente all'appello? Il pilot, funzionale, va come
deve andare. Si parte con l'attrice nota di turno – la Bella Thorne
di The Duff, anche cantante – e, in una sequenza piena di
rimandi, la si condanna alla stessa fine precoce della Barrymore
L'ape regina del liceo viene
brutalmente accoltellata, e il sangue non manca. Partono le indagini
– chi la odiava, o meglio, chi non la odiava? - e tra episodi di
cyberbullismo e ricordi del passato si pensa al ritorno a sorpresa di
un serial killer locale e si procede con la conoscenza dei vari
personaggi. La ragazza bisessuale, le meangirls, i professori
dongiovanni, gli sportivi poco svegli, la vergine sacrificale e un
nerd grillo parlante con la fissa per gli horror vintage che, con un piglio
che non dispiace e tanto lavoro di metacinema, in classe discute di
omicidi e seziona la sua stessa storia come fosse una serie tv. La
tensione, nell'arco di un tot di episodi, non si sfilaccia? E
l'eventuale spettatore, oltre a scoprire le tracce dell'omicida, sarà
interessato al vissuto dei protagonisti e ai loro amori? Fanno
sorridere le domande che nel telefilm stesso ci si pone, ma meno le
risposte: un sì alla prima domanda, perché la suspance si disperde
qui e lì; un no alla seconda, perché l'ennesimo teen drama non
interessava a nessuno. Aggiungete attori avvenenti e incapaci – si
salva, in ogni senso, solo Willa Fitzgerald, novella Sidney – e un
epilogo parzialmente conclusivo, ma con qualche incongruenza. Disastro
da abbandonare? Nonostante tutto, a mio parere no. C'è la voglia di
fare dei giovanissimi, un motivetto che ossessiona, violenza a
fiotti, uccisioni meticolose. Inoltre, il nuovo design di una vecchia
maschera che fa solo bene: tra parate di Carnevale e Scary
Movie vari, davanti all'urlo
noto, ormai, si ridacchiava.
Assolutamente non adatto ai nostalgici – chi era adolescente
all'epoca adesso è adulto, e non si divertirà, non essendo più
parte del target di riferimento – ma consigliato a chi ambisce a
un Pretty Little Liars splatter, pensato con la benevolenza – e il tocco vago – del compianto Wes. (6)
Devious Maids
Stagione III
Possono
giungere i reali inglesi, le vergini in dolce attesa, gli spietati
dirigenti di un reality show. Il trash, immancabile, nel mio anno di
telefilm dev'esserci. Ma, quando arriva giugno, non c'è novità che
tenga: per il terzo anno, arrivano le domestiche latine di Devious
Maids a garantirmi quattro
risate per l'estate, quando le grandi reti sono in pausa e impegni
importanti spaventano. Ci sono letture da ombrellone e serial da
ombrellone. Quella della Lifetime è la meno seria delle serie che ci
si può concedere; per quello, la più spassosa. Le hai conosciute
con un cadavere che galleggiava in piscina; l'anno successivo, tutte
insieme, eccole alle prese con un matrimonio ostacolato e con una
governante hitchcockiana. Adesso, nel solito giorno, nelle solite
sere in cui solo loro portano freschezza, resti umani vengono
trovati sparpagliati nei giardini dei signori di Beverly Hills e
tutto sembra collegato alla comparsa, in città, di una bambina
inquietante che ha più segreti che anni. Marisol ha messo su
un'agenzia di collocamento per aiutare le amiche portoricane; la
bella Carmen s'innamora dell'uomo sbagliato, mentre continua a
sognare di diventare una pop star; Zoila, quasi cinquantenne, con
figlia e genero in trasferta, si scopre in dolce attesa; Rosia
finalmente ha potuto avere il suo Spence, ma ecco comparire – dal
Messico – quel marito che dava per morto. I Powell, invece,
manipolatori e inarrivabili, si danno al sadomaso per un po' di pepe
e ai pensieri profondi: e se, dopo una tragedia sofferta, adottassero
un bambino? Quanti nomi, quanta gente, quanti fatti. E al cast,
altrimenti immutato, si aggiungono il francese Gilles Marini –
interesse amoroso di Carmen – e Naya Rivera – legnosa e appesantita, con un piccolo ruolo recitato anche
pietosamente. Eppure agli autori il filo non scappa di mano e se la
cavano bene, con grattacapi e gag. Dopo un inizio tiepido,
ai tempi del lontano pilot, Devious Maids – nella
sua assurdità tutta latina – sorprende con la stagione più
convincente – per quanto possa essere convincente una cosa così,
alla buona – e non risolvi il suo giallo prima del tempo, né
prevedi quello che succederà in uno dei season finali più
esagerati, divertenti e in grande. Tredici
episodi e nessuno che sia messo lì come riempitivo. In ogni puntata,
succede qualcosa che non ti aspetti. Tanto è vero che la credibilità
vacilla sempre, ma quale credibilità cerchi se i tuoi panni sporchi li
lavano mancate Signore in giallo –
ma con gambe lunghissime - e puntualmente, in un piatto da portata,
mentre nell'altra stanza stanno smascherando un crimine, ti si serve
il guilty pleasure cotto a puntino? (7)