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I venti anni della rivoluzione zapatista: il fuoco lento della ribellione

Creato il 26 dicembre 2013 da Eldorado

La stampa, i politici, i millantatori non saranno invitati. I venti anni del levantamiento, dell’insurrezione del movimento zapatista saranno privati, riservati ai soli addetti ai lavori. L’ultima rivoluzione possibile nell’America Latina del secolo XX celebra sè stessa con discrezione, magari per ricordare così, in forma sommessa, quella sessantina di morti che costò ed un processo che, abbandonate presto le prime pagine dei giornali, è continuato tutto sommato leggero nel corso degli anni.

Inglobata, circoscritta, illusoria: della rivoluzione morbida dei zapatisti è stato scritto di tutto e quasi sempre in termini riduttivi. Di una cosa, però, siamo certi. La sollevazione dell’Ezln rappresentò lo spartiacque tra due mondi completamente diversi, quello delle regole imposte -come e comunque sia- per una società retta dal neo-liberalismo e dal mercato e quello del potere dal basso, generato sulle necessità delle persone. Mentre in Messico fu una risposta chiara e decisa allo scempio provocato dal governo Salinas de Gortari, la portata del gesto zapatista doveva scuotere nel profondo l’animo di un continente. Sulla scia della rivoluzione dell’Ezln venne infatti tutto il resto, che non era solo l’opposizione ai trattati (il Nafta entrò in vigore proprio lo stesso giorno della rivolta) ma era il reclamo di un mondo differente e possibile. Deposte le armi, quella rivoluzione è continuata attraverso il dialogo e la partecipazione, stesso metodo usato da quelle nazioni latinoamericane che successivamente premiarono nelle urne la proposta anti-liberalista. Quello del Chiapas era stato un movimento precipuamente indigeno: indigeni che rompevano barriere, che rifiutavano il governo centrale, che si battevano per i propri diritti. Lo stesso messaggio che in pochi anni avrebbe abbattuto l’ordine costituito da secoli in stati come Bolivia ed Ecuador.

Non è stato tutto facile per i zapatisti in questi venti anni. Il governo messicano, dopo aver inizialmente ingoiato il boccone amaro dell’enclave creato nel Chiapas, le ha tentate tutte per smantellare l’esperimento, dal boicottaggio dei comuni autonomi alla creazione di gruppi paramilitari, dalle manipolazioni alle azioni militari. L’autonomia zapatista, però, è ancora lì che regge, con le sue contraddizioni, ma anche con i suoi caracoles, le sue lumachine e le sue escuelitas, alla ricerca congiunta, tra dirigenti e cittadini, del buon governo. Il subcomandante Marcos ha promesso nuove iniziative per il 2014, perché in fondo la lotta, scrive, ¨non è quella che si vince o che si perde, ma quella che prosegue nel tempo¨.

Se prendiamo il tempo come ordine di misura, per il Messico le cose non sembrano essere cambiate dai tempi di Salinas de Gortari. Il paese continua ad essere in vendita –si veda la recente riforma degli idrocarburi- e permane immutata nella coscienza della maggioranza l’idea che entrare nel primo mondo significhi essere accondiscendente alla logica di mercato, nonostante il prezzo altissimo da pagare. Mentre la festa per pochi continua, c’è una legione di poveri alla finestra ad aspettare, una legione di cinquanta milioni di persone che attende un’altra frustrata come quella che venti anni fa svegliò gli abitanti di San Cristóbal de las Casas.


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