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“Il bambino che sognava i cavalli”: una storia straordinaria e atroce di bambini e kalashnikov, sentimenti e tritolo

Da Pupidizuccaro

“Il bambino che sognava i cavalli”: una storia straordinaria e atroce di bambini e kalashnikov, sentimenti e tritoloGiuseppe Di Matteo lo sequestrarono che aveva 13 anni. Più di due anni dopo lo ammazzarono, sciogliendolo poi nell’acido. Dopo settencentosettantanove giorni di prigionia, lo strangolarono e lo sciolsero nell’acido.

Giuseppe era figlio di Santino Di Matteo, il primo pentito a fornire rivelazioni sulla strage di Capaci. Gli uomini che ne ordinarono il sequestro e l’assassinio appartenevano alla frangia più estrema della mafia corleonese. Quella che aveva messo a ferro a fuoco la Sicilia nelle due guerre di mafia degli anni ’60 e ’80. Quella di Totò Riina, Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca, i fratelli Graviano, Matteo Messina Denaro. Quella che, dopo l’arresto di Riina del gennaio 1993, aveva messo le bombe a Firenze, Roma e Milano, sfidando direttamente lo Stato che li aveva tempestati di ergastoli nel maxiprocesso.

Il sequestro e l’uccisione del piccolo Di Matteo, consumata l’11 gennaio 1996, è il culmine di un delirio d’onnipotenza e di una ferocia inaudita che sconvolse gli equilibri politico mafiosi siciliani e fece tremare l’Italia per anni. Ma è anche l’epilogo di questa particolare fase della storia italiana. Brusca venne arrestato pochi mesi dopo, infatti. Gli altri boss o erano già stati arrestati o avevano cambiato strategia, come Provenzano e Messina Denaro, dedicandosi agli affari e ad una più ragionata “sommersione”.

La Sovera Edizioni ha appena pubblicato “Il bambino che sognava i cavalli”. L’autore, Pino Nazio, 52 anni, sociologo, esperto di comunicazione e giornalista, si confronta con la vicenda utilizzando gli strumenti della non fiction. Il libro è documentatissimo, frutto di un lavoro giornalistico di altissimo livello durato più di due anni. Nazio però scrive un romanzo. Dopo numerose pubblicazioni di saggistica, questo è il suo esordio narrativo.

L’autore ha incontrato più volte Santino Di Matteo, che adesso vive sotto falso nome nell’ambito di un programma di protezione. Il libro fondamentalmente ripercorre la sua storia. La storia del killer mafioso di Altofonte, chiamato anche Mezzanasca, e il suo ambiente, il suo mondo. Una famiglia mafiosa di generazioni, un nonno morto in carcere perchè aveva ammazzato un carabiniere, un padre contadino che aiuta la cosca locale in vari modi ma che ha mai ammazzato nessuno. Il piccolo Santino conosce la mafia dal di dentro, è il suo ambiente naturale. Nelle prime pagine del libro spuntano – in rapida successione – Luciano Liggio, Bernardo Provenzano, Genchi Russo. Sono come vecchi amici di famiglia. Ma il terremoto è alle porte. I corleonesi presto cominceranno la scalata al potere. E niente sarà più come prima. Santino si sposerà, farà due figli, diventerà killer per conto dei corleonesi, poi verrà arrestato, collaborerà con la giustizia e il figlio Giuseppe sarà la vittima innocente di un immane gioco di sangue e di potere. Sullo sfondo, mille altre vicende. Le guerre di mafia, gli arresti, i processi, i pentiti, le uccisioni, gli attentati, le torture, ma anche gli amori e gli affetti dei mafiosi, le loro vite quotidiane.

È un libro da leggere, questo “Il bambino che sognava i cavalli”. Una storia di bambini e kalashnikov, sentimenti e tritolo. Una storia straordinaria e atroce. Agghiacciante perchè totalmente vera. I boss vengono raccontati da vicino, la mafia e la sua gente vengono riportati alla loro umanità, al di là delle etichette e delle semplificazioni giornalistiche. Tra Dostoevski e Scorsese, l’autore ci conduce in una lenta discesa agli inferi, fino al terribile “capitolo chiuso” che narra dell’uccisione di Giuseppe.

Peccato solo per alcune ingenuità di linguaggio, per una scrittura che poteva essere più sporca e viscerale. Ma tutto sommato il romanzo regge. La costruzione è solida e ben architettata, tanto da far pensare che l’autore pensasse più al cinema, o alla televisione, che alla letteratura. Tante, infatti, sono le scene che rimangono impresse.

Matteo Messina Denaro che strozza una donna incinta, colpevole soltanto di cercare il proprio uomo vittima della lupara bianca.

Totò Riina, subito dopo la strage di Capaci, che urla: “Ce li devono togliere questi ergastoli! Altrimenti facciamo saltare i monumenti, riempiamo le spiagge di siringhe infette di aids!”

La moglie di Bagarella che si impicca perchè crede che la sua sterilità sia un castigo divino.

Antonino Foma, il contadino che riesce a fare da carceriere solo tre giorni, e poi scappa terrorizzato.

Vincenzo Chiodo, l’uomo che ha tirato la corda per strozzare Giuseppe, che si costituisce pochi giorni dopo l’omicidio.

Zu Mommo, padre del pentito Gino La Barbera, che viene raggiunto da due picciotti della mafia locale e costretto ad impiccarsi.

Giovanni Brusca, lo Scannacristiani, che viene a sapere di essere diventato padre proprio mentre ritorna dal luogo dove tiene segregato Giuseppe.

Sempre Giovanni Brusca, tra gli assassini del piccolo, che prima frequentava la casa di Santino Di Matteo. Che conosceva Giuseppe da quando aveva pochi anni. Che giocava con lui ai videogiochi. E perdeva sempre.


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