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Il bambino ciccio in fondo al pullmino

Da Hombre @LaLineadHombre
Il bambino ciccio in fondo al pullminoQuando mi tocca porto France alla fermata dello scuolabus.
Eccolo che arriva, ciao ciao, niente bacino in pubblico che lo vedono peccarità.
Sale sopra e, diretto come un fuso e a testa bassa, va a fiondarsi su un sedile dall’altro lato del mezzo.
Non c’è pericolo che mi risaluti da sopra, oltretutto raramente proferisce parola o interagisce con altri esemplari della sua razza prima che siano trascorse un paio d’ore dalla sveglia.
E così saluto la Sarina e Nicco, che sono i figli di una mia amica, che stanno già sopra, che magari non avrebbero neppure tutti questi motivi per essere allegri, ma che hanno un’espressione da vita ti amo che ti fa srotolare il primo passo della giornata nella direzione giusta.
Poi lo scuolabus comincia a sfilarmi piano che ancora sorrido, e qui lo vedo. Se ne sta seduto nell’ultima fila, lato strada, è il bambino ciccio che nessuno di noi vorrebbe essere.
Mi guarda, lo sa che ho salutato dei bambini, probabile che si sia accorto pure che non mi scambiavo i sorrisi con il mio, ha gli occhi attenti. Non implora, non chiede niente, eppure ha scorto una spiraglio in quella porta dove può infilarci un piede.
Lo guardo anch’io, e poi succede che all’unisono alziamo la mano e ci salutiamo. Senza conoscersi, almeno fino ad allora.
Mi commuovo con poco.
Tornando verso casa sorrido, ho la mia ratatouille a cui pensare: quando, bambino, pedalavo sull'Airone gialla 26 fino al cavalcavia sull’autostrada e lì, aggrappato alla rete, attendevo la macchina giusta, pescata in quel fiume di veicoli sulla Milano-Roma, la macchina con dentro un adulto che puntasse lo sguardo oltre il suo cruscotto e che mi potesse regalare un saluto con la mano. E un sorriso.
I sassi ancora non erano stati inventati.

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