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Il blog ci guadagna?

Da Lanterna
Come dicevo all'inizio dell'avventura, questo blog ha solo un anno, ma la mia permanenza nella blogosfera risale al 2004.
Su Splinder non c'erano ancora né titoli né categorie, non potevi caricare immagini o contenuti multimediali (li dovevi mettere su siti esterni e poi linkare), Internet era ancora un covo di pervertiti e nerd per la maggior parte della gente.
Eravamo in pochi, le donne non erano in così netta maggioranza, i nostri blog avevano grafiche spesso un po' naif e bastava una cena per incontrarci, altro che BarCamp. E sì che io non sono stata proprio della primissima ora: c'era gente che postava da uno o due anni prima di me (e che purtroppo oggi non scrive quasi più).
Perché scrivevamo? Alcuni di noi già vedevano il blog come una vetrina della propria attività lavorativa (magari erano giornalisti o lavoravano nella comunicazione), ma i più lo usavano come diario online, più o meno intimo. Per me, era una specie di "almanacco delle cose buffe" (soprattutto quelle che nascevano dalla recente convivenza con Luca). Per altri/e, era più un taccuino degli appunti e/o un mezzo di comunicazione con amici sparsi in tutto il mondo e/o un diario quasi segreto. In buona sostanza, per quasi tutti era un hobby, al pari della danza o della lettura o della palestra: era già buono che fosse gratis.
Poi il fenomeno è esploso, ci siamo trovati nel Web 2.0. Siamo diventati un fenomeno di costume e un target di mercato. Ci siamo divisi in categorie, a seconda dell'argomento trattato.
Io, che nel frattempo avevo figliato ma non avevo cambiato di una virgola l'impostazione del mio blog, mi sono ritrovata nella categoria "mommyblogging". Se pensate che nella stessa categoria ci sono anche "mammadolcecuore" e "darklady72", capite già quanto sia sciocco pensare che esista davvero questa categoria e che sia omogenea.
Perché le mamme blogger hanno cominciato ad essere interessanti per le aziende? Perché le statistiche dicono che le donne decidono gli acquisti di una famiglia: da quelli minuti (come la spesa settimanale) a quelli importanti (tipo che l'80% delle volte è la donna ad avere la parola finale sull'acquisto dell'auto di famiglia).
Improvvisamente, da mezze casalinghe un po' sfigate, veniamo portate in palmo di mano come illuminate capitane di'impresa, esperte di gestione economica, maghe dell'acquisto intelligente.
Qualcuno ha cominciato a proporre alle mamme blogger banner da esporre, prodotti da provare, scambi di link. C'è stata pure una famosa conferenza stampa di Danone che scatenò l'irritazione di molte (io non ero invitata, per fortuna: perché ci sarei andata con mio marito, noto oppositore di Actimel e similari, che avrebbe posto domande molto circostanziate all'esperto, dal momento che è esperto anche lui).
Alcune persone, disgustate, hanno proprio lasciato perdere. Altre, nella prospettiva probabilmente di ripagarsi i costi, hanno accettato qualche banner qua e là. Altre ancora hanno visto una concreta opportunità e hanno detto: se le aziende vogliono entrare in contatto col Web 2.0 e sono però troppo imbranate (o mal consigliate) per farlo, perché non le aiutiamo noi? È nato così il progetto The Talking Village, che ho seguito fin dal primo momento perché mi piaceva la filosofia: cercare di influenzare la comunicazione (e magari i comportamenti) delle aziende dal basso, attraverso il contatto con un gruppo di portatori di determinate istanze.
Faccio un esempio: il primo incontro l'abbiamo avuto con Barilla. La prima cosa che abbiamo detto nell'incontro è stata: basta con l'immagine della famiglia da Mulino Bianco. Già il loro team di creativi si stava muovendo in questa direzione, per carità, però credo che parlando con noi (e leggendo questo post di Piattini) si siano fatti un'idea di dove andare. O meglio, di dove NON andare più.
Qualcuno ha detto di essere stato deluso, perché dopo aver scritto per 5 settimane nei diari delle Spighe non ha ricevuto un feedback. Qualcuno ha detto che tutto si è risolto nello sfruttamento (!) delle povere blogger per un tozzo di Spiga. Io dico che mi sono divertita, ho visto il marketing di una grande azienda da vicino, ho preso qualche caloria di troppo e i risultati li vedo ogni volta che vedo una pubblicità Mulino Bianco o che trovo qualche iniziativa innovativa come questa.
Nessuno mi ha chiesto di pubblicizzare l'iniziativa, nessuno ha creduto di sfruttarmi come opinion leader. Mi dispiace di non aver dato più rilievo all'iniziativa quando ho partecipato, ma era la mia prima esperienza e non sapevo bene come gestirla.
Nel frattempo, ho continuato a pubblicare le mie ricette di biscotti, plumcake e dolci. Ho continuato a dire la mia su tutto ciò che mi veniva in mente. Ho continuato a vedere entrambi i miei blog come luoghi di piacere e non di lavoro o guadagno.
La mia di blogger non è una professionalità. Scrivo bene, lo so benissimo, ma resto una brava dilettante. La mia professionalità è altrove, sebbene sempre nell'ambito della scrittura e della comunicazione.
Mi stupisco invece che alcune (molte?) blogger, che oltretutto non hanno una formazione paragonabile alla mia, credano di poter usare il proprio blog per guadagnare.
Ancora ancora se si tratta di un blog che rispecchia la loro formazione e le loro abilità. Tipo: sono un'artigiana che confeziona oggetti di un certo tipo e uso il blog per mettere online le foto dei miei lavori, proporre un listino e segnalare i miei contatti. Esempio: Fux, che seguo quasi sempre in silenzio ma riscuote la mia ammirazione.
Oppure se si tratta di un blog di supporto a un'attività reale, tipo quello della Farmacia Serra di Genova, dove consigli e segnalazioni su prodotti in vendita si alternano a informazioni utili, news su Genova e/o sul mondo delle mamme, racconti quotidiani, ecc.
Se invece si tratta di mettere in piedi un mommyblogging all'americana e vivere sul rapporto con le aziende, lo ritengo poco realistico. Ma proprio molto poco.
Soprattutto, però, non mi interessa.
Qualcuno mi dirà: ma come? Tu che ti sei venduta per un pacco di pannolini? Oh, molto peggio: mi sono regalata, perché di pannolini non ne ho visti né richiesti nemmeno uno, e oltretutto credo che la scorta di pannolini LIDL che mi sono comprata tempo fa mi coprirà fino allo spannolinamento di Ettore.
Mi sono regalata un'esperienza interessante, che difficilmente avrei potuto vivere altrimenti. Nessuno mi ha chiesto un'opinione sullo sponsor o sui suoi prodotti, altrimenti avrei risposto adeguatamente. Oltretutto, sono ancora qui a chiedermi se il guadagno dello sponsor sia poi così imponente, a fronte dell'aver speso un bel po' di soldini per mettere in moto la macchina di Zelig e dei teatri milanesi: non faceva prima a girare uno spot molto carino e farlo circolare su Youtube? Evidentemente gli interessa un lavoro di più ampio respiro, che può riscuotere solo la mia stima come tutti i progetti lungimiranti, volti a "preparare" il terreno presso i consumatori.
(A questo punto, sponsor, una preghiera: per essere veramente lungimirante, leggiti i commenti di questo e questo post, grazie. Così, tanto per tenerti informato proprio su tutto il mercato possibile.)
Pare però che la mia posizione sia di minoranza. Che le mamme blogger ritengano di poter fare del proprio blog un lavoro e per questo pretendere dalle aziende il giusto salario. OK, provateci, vi auguro ogni bene. Ma io non mi illuderei: credo che solo poche, altamente preparate e selezionate, possano aspirare a tanto.
In questo clima, è inevitabile che l'aver messo di mezzo i soldi (veri o presunti) abbia alzato i toni e reso le polemiche più aspre. I posti in cui si può esprimere la propria opinione senza dubitare della buona fede del tenutario o senza essere aggrediti dalla parte avversa (intesa come allattanti vs non allattanti, pro marketing vs contro, ecc.) stanno diventando sempre meno (grazie momatwork, per esempio, da te si parla sempre con grande tranquillità e senza ipocrisia anche di questioni che altrove sono spinose). Mi sembra che ci sia una corsa all'assolutizzazione delle posizioni, al voler dividere tra buoni e cattivi (magari più sulla base delle interpretazioni che dei fatti), al tenersi d'occhio reciprocamente per evitare che l'altro arrivi prima di me. Temo si scivoli nel pollaio o, peggio, nei combattimenti di polli, come è successo in molti forum.
Ecco, da questo punto di vista il blog non ci guadagna. Ma proprio per niente.

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