Magazine Diario personale

Il blog di Errebì (1): amo molto parlare di niente. È l’unico argomento di cui so tutto.

Creato il 29 giugno 2014 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali
Mikhail_bakhtinLa frase di cui nel titolo è di Oscar Wilde, uno dei pochi spiriti che abbiano camminato sulla faccia di questa terra e i cui “ipse dixit” sono praticamente inscardinabili. Anche per una come me che ci prova. Sempre. Dichiarare di non coltivare dogmi, come faccio sovente, porta seco delle responsabilità, insomma l’inconsistenza del dogma e dell’assioma bisogna dimostrarla con argomentazioni valide. Dimostrare che la filosofia matter-of-fact, informata, profonda, credibile, irresistibile, di Oscar Wilde non sia tale è compito improbo per chiunque, anche per gli abitanti dei tempi e degli spazi digitali. Da qui l’ammirazione incondizionata per uno spirito che è stato uomo e che è ora un mito. Per uno spirito che è specchio di ciò che mi piacerebbe essere e che non sono.

Mi sono persa e non ho ancora spiegato che cosa ci faccio qui, in questa specifica location digitale che ho “ricavato” in Rosebud dopo lunga considerazione. Il fatto è che il sito as-a-whole, mercé la mia determinazione a farne una finestra che avesse un senso, una finestra a disposizione degli altri, dei colti come degli “asinai” direbbe Dante, dei seri come dei ridanciani, di ogni pensiero libero, di ogni pensiero diverso, di ogni pensiero scazzato, si è “allontanato” da me mano a mano. Insomma, a momenti mi sento anche io un ospite, un ospite che per ovvie motivazioni non può essere padrone nella sua casa e che non può pubblicare neppure tutto ciò che vorrebbe. Non posso farlo per molte ragioni, incluse mere questioni tecniche, laddove la scrittura di un pezzo giornalistico deve naturalmente obbedire a delle regole. A delle regole che sono “impedimenti” per quell’altro tipo di scrittura che vorrei coltivare, la scrittura che viene dall’anima.

Per queste motivazioni ho deciso di ricavarmi una rubrica tutta mia dentro Rosebud, una rubrica che si chiamerà “Il blog di Errebì”, un luogo dove vorrei tentare di sentirmi più libera intellettualmente. Mi rendo conto che in un sito che ha molti followers, e in particolare diverse centinaia di followers che ricevono una email ogni volta che un articolo viene pubblicato, la faccenda ha connotazioni autoreferenziali non degne. Ma cosa dovrei fare? Il bivio è scegliere di fare vivere Rosebud come un altro blog, un magazine di notizie e di opinioni, qualsiasi, o di farlo esistere come un blog, un luogo virtuale, che ha un’anima. Scelgo quest’ultima opzione. Comportarmi diversamente significherebbe optare per una situazione etica indegna: insomma, delegherei il “valore aggiunto” di Rosebud alle creazioni degli altri e ai miei momenti “inquadrati” dentro cornici e modelli da scrittura giornalistica o più impegnata. Questo non può essere, non per una come me, una che ha scelto da sempre la libertà intellettuale, mentale, come l’unico percorso possibile per la sua anima, per il suo spirito.

Che cazzo stai dicendo Rina?, mi ammonirebbe, qui, Franco Luceri. Fatti capire dalla nuora e anche dalla suocera…. Francamente che la suocera o la nuora capiscano il mio scrivere è l’ultima delle mie preoccupazioni, ma Franco avrebbe ragione con la sua obiezione ideale. Di fatto il punto dell’intero discorso, la sua significazione terra-terra, è che da oggi in poi, mi riservo questo spazio in Rosebud per scrivere pensieri miei, per buttarvi dentro “momenti”, considerazioni, cazzate, e farò tutto questo senza considerare la macro-cornice di Rosebud: non ho altra scelta! Ne deriva che il follower che troverà questa presa di posizione editoriale incorretta dovrà per forza andare, del resto vi sono blog e magazine digitali molto migliori di questo, colà potrà trovare il commitment, l’engagement sartriano, che cerca.

Lo ripeto, non ho scelta. Ho detto spesso che non scrivo perché gli altri mi leggano, scrivo perché ho qualcosa da dire. Qualcosa che mi scoppia dentro ha osservato in passato un altro Franco, Franco Pilloni, e aveva ragione. Non so per quanto tempo esisterà Rosebud, idealmente vorrei che esistesse per sempre. Vorrei quindi che conservasse dentro di sé tutti i momenti miei, tutti i momenti, i motti, del mio spirito, della mia anima, i momenti veri che se vogliono essere tali, credibili, non possono sottostare ad alcun diktat: di format, di “convenienza”, politica, scritturale o editoriale, di tempo di pubblicazione, di luogo reale o digitale che sia.

Questo primo pezzo è dunque un primo passo, quasi un toc-toc alla porta di casa mia per permettermi di entrare e di occupare il mio spazio. Uno spazio che resterà sempre a mia disposizione, proprio perché il suo esistere, il suo essere “occupato”, non dipenderà dagli obblighi anche editoriali che derivano dal tempo nel calendario (vacanze di Pasqua, Natale, estive, comprese), ma dalle necessità del “tempo” della mia anima. Dal mood di quella nel percepire lo straordinario cronotopo backhtiniano che è il mio esistere. Dal modo in cui decide di testimoniarlo. Il resto lo farò la mia innata tendenza a parlare molto di niente. È l’unico argomento di cui so tutto. Oscar Wilde docet!

Rina Brundu

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Featured image, Mikhail Bakhtin


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