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Il carnevale in sardegna: “su carrasecare”

Da Fidya

In Sardegna come in tante parti d’ Europa, il carnevale offre un vasto panorama di maschere tradizionali.
Maschere fatte in legno e che indossano pelli animali, campanacci e giubbotti in orbace (gabbanu).
Queste maschere si perdono nella notte dei tempi, richiamano riti agropastorali e sono di buon auspicio per l’ attivita’ del campo per l’ anno a venire.
Vengono chiamate anche “Mascaras Brutas” perche’ sono tristi e non hanno nulla a che fare con i carnevali allegorici ricchi di colori e divertimento.
Su Carrasecare ha inizio il 16 gennaio, la vigilia di Sant’ Antonio. Nei paesi dove hanno origine le maschere, in quel giorno si accendono grandi fuochi nelle strade e le maschere escono e girano attorno a questi in una sorta di benedizione.
Da quel giorno, sino al martedi’ grasso, i vari paesi sono in pieno carnevale e le manifestazioni vengono accompagnate da vino, frittelle e carne di pecora bollita.

A Mamoiada (Nuoro) troviamo le maschere degli Issohadores e dei Mamuthones.
IL RITO
Fino alla metà degli anni ‘70 il rito iniziava qualche giorno prima della manifestazione vera e propria, in quanto i pastori erano soliti andare in campagna per reperire gran parte dell’occorrente per la vestizione, veniva radunato il bestiame nel recinto e spogliato dei campanacci, dopo di che si ritornava in paese e questi venivano sistemati nelle apposite cinghie, il mamuthone o l’issohadore che non possedeva l’occorrente , lo chiedeva in prestito ad amici e conoscenti, pezzo qui pezzo lì, fino a comporre il costume completo. Guardando i vecchi filmati si nota chiaramente la differenza rispetto ad oggi, molti mamuthones non avevano la mastrucca, la maschera ecc.. rivoltavano la giacca al contrario per non rovinarsela, visto che avevano solo quella, l’issohadore doveva essere bello ed elegante e tutto quello che trovava di appariscente si metteva, la maschera veniva sostituita da un pezzo di tela, “su curittu” da un maglione rosso, “sa berritta” da un cappellino ecc… Oggi la situazione economica è sicuramente diversa, ogni singolo individuo possiede il suo costume personale, per quanto riguarda i campanacci, le funi, le maschere ecc… l’ associazione possiede tutto l’occorrente, e qualora un Mamojadino decida di voler far parte del gruppo, è sempre il bene accetto, e non avrebbe nessun problema a reperire il costume.
LA VESTIZIONE
Una volta la vestizione avveniva in modo celato, solitamente si svolgeva all’interno di un cortile privato e vi poteva accedere solo qualche amico che dava una mano, dopodiché si facevano le prove fino a quando non si riusciva ad eseguire la danza in modo uniforme. Nel momento in cui uscivano dal cortile, gli uomini dovevano essere tutti mascherati e nessuno doveva sapere chi fossero, durante la sfilata invece si scoprivano il volto. Oggi non c’è più bisogno di fare le prove, in quanto siamo abbastanza preparati, visto che ogni anno si fanno anche trenta esibizioni.
Da un po’ di tempo la pro loco per esaudire le richieste dei turisti, ha deciso di fare assistere tutti i presenti. La vestizione del mamuthone, solitamente va eseguita da due issohadores, e devono avere una notevole competenza, diversamente si potrebbe compromettere la sfilata. Ultimata la vestizione, il capo issohadore attribuisce le posizioni da tenere a ciascuno: i mamuthones vengono disposti in due file parallele e debbono obbedire e danzare quando gli viene ordinato dal capo issohadore (come un grande sacerdote di epoca nuragica) e non dovrebbero avere contatti con nessuno durante la sfilata (cosa che ormai non avviene più); gli issohadores una volta presa la propria posizione davanti e dietro al gruppo, si possono muovere liberamente e hanno il compito di scortare i mamuthones, allo stesso tempo col laccio catturano le giovani donne in segno di buon auspicio per una buona salute e fertilità. Un tempo si catturavano i grandi proprietari terrieri per augurargli una buona annata agraria: questi per sdebitarsi dell’onore ricevuto, invitavano l’intero gruppo a casa loro e gli offrivano vino e dolci. Oggi, non essendoci (per fortuna…) più i ricchi proprietari, si rivolge l’attenzione sulle autorità come il sindaco, il comandante dell’arma ecc., o verso l’amico in segno di affetto; un po’ di anni fa, erano stati presi al lazzo anche gli allora presidenti della Repubblica Sandro Pertini e Francesco Cossiga, mentre il presidente della Reg. Sardegna Federico Palomba venne catturato durante il carnevale di Venezia.
IL SIGNIFICATO
Essendo una tradizione antichissima, nessuno è in grado di sapere con certezza quale fosse il significato di questo rito; il primo a scrivere sull’argomento è stato lo studioso Raffaello Marchi, che descrisse questa cerimonia come una vittoria dei mamojadini issohadores contro i mamuthones saraceni mori invasori. Oggi le ipotesi sono tantissime: il bene e il male, i vincitori e i vinti, l’inverno e la primavera, il ricco e il povero, la tristezza e l’allegria, il giovane sano e forte e il vecchio stanco e malato, o magari erano tutte queste cose insieme…???
Da sottolineare è il fatto che fino agli anni ’50-’60, i mamuthones erano prevalentemente anziani, mentre gli issohadores giovanissimi, oggi si è quasi ribaltata la situazione e capita spesso di vedere mamuthones giovanissimi, assieme a issohadores già anzianotti. Ciascun indumento non ha un significato specifico, col tempo hanno subito sicuramente tanti cambiamenti ed evoluzioni, ma bisogna rivolgere l’attenzione a tutto l’insieme del rito (vestizione, sfilata ecc.) che è rimasto invariato nei secoli.

A Ottana (Nuoro) troviamo le maschere dei Boes e Merdules.
Il Carnevale di Ottana è uno dei più caratteristici e interessanti dell’area del Mediterraneo. Non è chiara l’origine ed il significato delle maschere, sicuramente sono state tramandate nei secoli e rappresentano un rito plurimillenario. Nelle maschere dei Merdules sono evidenti le tracce degli antichi culti del Mediterraneo arcaico, in cui risulta radicato il culto della fertilità. Col nome “merdules” si indicano, in generale, tutte le maschere ottanesi. Il “merdule” vero e proprio porta la maschera umana, il nome (è solo un’ipotesi) si suppone che abbia origine nuragica: mere = padrone e ule = bue; quindi padrone del bue. “Sos boes” portano la maschera taurina che presenta decori e ornamenti realizzati con lo scalpello e il coltello; la figura del toro, antica divinità punico – nuragica, simbolo di forza vitale è sempre presente nella civiltà dell’intero bacino del Mediterraneo, “su boe” rappresenta l’animale che si ribella al padrone: inizialmente il suo passo cadenzato dà un particolare ritmo ai campanacci ma poi crea scompiglio tra la gente e si scaglia contro il merdule, suo padrone e domatore, che con il bastone “su Mazuccu” o una frusta di cuoio “sa Soca”, cerca di riportare l’ordine. Sia i boes che i merdules vestono pelli di pecora integre di vello e portano in viso maschere di legno fatte di pero selvatico dette Carazzas (cara, in sardo, significa viso). I boes portano sulla spalla un fitto grappolo di campanacci dette sas sonazzas o su erru, i merdules a differenza dei boes, non portano campanacci. Esiste anche una figura femminile “sa filonzana”, che rappresenta una donna triste che fila la lana col fuso.

A Orotelli (Nuoro) troviamo le maschere dei Thurpos
I Thurpos, uomini-animali ”ciechi”, rappresentano una delle maschere barbaricine di origine arcaica e dagli evidenti riti propiziatori legati alla necessita’ dell’uomo di ricercare un aiuto dalle divinita’ nelle difficolta’ del quotidiano.
E’ Dionisio, conosciuto anche come Baco o Maimone, la divinita’ pagana per la quale i contadini praticavano i loro riti, affinche’ potesse essere generoso nelle piogge, elemento fondamentale per la buona riuscita del raccolto.
”Sos Thurpos” ancora oggi si presentano con un abbigliamento che si lega alla vita di tutti i giorni del contadino. Il viso dipinto di nero con la fuliggine del sughero, ”su thintieddu”, si nasconde sotto il cappuccio -su cucuttu- di un lungo cappotto -su gabanu- realizzato in orbace nero. I pantaloni da cavallerizzo -a s’isporta- sono accompagnati da un gilet e una giacca in velluto -su corpette e sa zacca-. Ai piedi portano gli scarponi in cuoio utili per i lavori nei campi, essi sotto la suola sono arricchiti con grossi chiodi -sas bullitas- affinche’ possano essere piu’ resistenti durante il lavoro. Non mancano dei gambali in cuoio -sos cambales- che rendono tale figura ancora di piu’ legata alle tradizioni della Sardegna.
Indossato il cappotto, i thurpos, portano a tracolla una cinta spessa in pelle con i campanacci chiamata ”S’utturada”. Il tintinnio prodotto dai campanacci e il viso annerito, rappresentano le pratiche rituali per scacciare cio’ che di maligno potrebbe ostacolare la buona riuscita del raccolto.
Sos thurpos durante le loro esibizioni rappresentano il profondo legame che caratterizza il rapporto fra il contadino -su massaju o su voinarzu- e gli animali che con lui lavorano la terra, rispecchiando con le pantomime carnevalesche la tradizione economico-sociale sarda in modo profondo e positivo.
Sono diverse le scene rappresentate:
– I buoi in coppia vengono accompagnati dall’abile contadino -voinarzu- che deve tenere a bada l’aggressivita’ e l’irruenza taurina delle mandrie utilizzando spesso il pungolo -su puntorzu- e funi in canapa o cuoio -sos reinacros- con le quali tiene legate le bestie.
– I thurpos che impersonano i buoi scalciano -carchidana- e muggiscono -muliana- per imporre la loro forza animale sul contadino.
– Il gruppo dei Thurpos con l’aratro invece rappresenta la tranquillita’ dell’animale che si rende al volere dell’uomo per servirlo al meglio.
Non mancano altre figure che rendono tutto cio’ piu’ suggestivo. Esse sono:
– ”Su Thurpu ferradore” ossia il maniscalco che con i suoi attrezzi si prepara a ferrare i buoi qualora fosse necessario. Egli si serve di martello, scalpello, tenaglie, ferri e chiodi -zoos e pinnas-.
– ”Su Thurpu semenadore”, il seminatore, che mima la semina del grano nei campi, tenendo in mano un recipiente rigorosamente in sughero ”su malune o uppeddu” oppure una bisaccia ”sa bertula” che contengono reciprocamente i semi.
Oltre che scene legate alla vita contadina si puo’ partecipare anche a scene in cui i thurpos catturano con la forza un malcapitato spettatore che in tutta tranquillita’ ammira la sfilata, tranquillita’ rotta da un rito chiamato -sa tenta- che consiste nell’acchiappare uno spettatore, che nel rituale rappresenta l’annata, costringerlo con la forza ad accompagnare ed offrire da bere ai tre thurpos che scelgono la loro -preda-. La buona riuscita di questa prova di forza si dice sia un augurio per la buona riuscita della semina.

Sara’ l’ultimo giorno di carnevale, che corrisponde alla prima domenica di Quaresima, giornata chiamata anche Carnevalone, che i thurpos faranno si che ogni spettatore possa gustare il buon vino offerto da loro, rappresentando esso l’ultimo rito di buon auspicio.

A Fonni (Nuoro) ci sono gli Urthos e Buttudos
qua puoi trovare la storia del gruppo.

A Orani (Nuoro) troviamo Sos Bundhos
La figura facciale de su Bundhu e’ totalmente in sughero provvista di naso prominente,baffoni e pizzo,nonche’ corna.Le corna non hanno niente a che vedere col diavolo,il quale e’ una pura invenzione teologica.Un corno rappresenta la mezza luna,due le due mezze lune crescente e calante o la luna piena che non sono altro che le tre fasi della donna:fanciulla,donna,vecchia.
L’abito de su Bundhu era costituito da un lungo mantello col cappuccio (saccu de furesi).
Il mantello era in orbace,bianco o nero.Il nero rappresentante la fertilita’,il bianco la morte.
A coronare l’abbigliamento della maschera,vi erano le ossa,le quali sono il simbolo piu’ vicino alla morte.Nei riti la morte era enfatizzata come rinascita,in quanto il re sacro veniva sacrificato per la rinascita della terra.
L’utensile de su Bundhu e’ il tridente,un lungo forcone in legno con tre denti (su trivutzu),il tridente dell’acqua e del grano.

A Samugheo (Oristano) troviamo i Mamutzones di Samugheo
Le maschere di Samugheo (Or) sono quelle che conservano maggiormente le caratteristiche da cui traggono origine. Anche se il loro significato primitivo si è in parte perduto, esse rappresentano un tempo la passione e la morte di Dionisio, dio della vegetazione, le cui feste si celebravano in quasi tutte le antiche società agrarie. Dionisio, il dio che ogni anno moriva e rinasceva, come la vegetazione, è rappresentato dalla maschera zoomorfa de “S’Urtzu”, che indossa una intera pelle di capro, con la testa attaccata. Il capro era infatti la forma più frequente nella quale il dio si manifestava. La rappresentazione della sua passione, che in tempi lontani era una cerimonia sacra, in periodo cristiano venne banalizzata e declassata a semplice maschera carnevalesca. In questa forma è giunta fino al nostro secolo. “S’Urtzu”, tenuto per la vita da Su Omadore, il suo guardiano, ogni tanto cade a terra fingendo la passione che precede la sua morte.
Le maschere dei “Mamutzones” rappresentavano invece i seguaci di Dionisio. Si vestono di pelli e nascondono il volto con un copricapo di sughero munito di autentiche corna caprine o bovine, cercano di raggiungere l’estasi dionisiaca e lasciandosi possedere dal dio per rendersi simili a lui. Ogni tanto circondano “S’Urtzu” e gli danzano intorno. Un tempo tutti i mamutzones portavano con sé un bastone avvolto di pervinca o di edera, a somiglianza del Tirso. Essendo tale strumento alquanto ingombrante, oggi viene portato solo da qualche maschera e da colui che conduce il gruppo.

I sonagli hanno significato apotropaico, vogliono cioè, col loro suono tenere lontani dalla cerimonia gli spiriti del male.

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Foto e Testo di Matteo Setzu


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