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Il Ceppo 2016

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Il Fregio dello Spedale del Ceppo

In un racconto in versi di
Paolo Fabrizio Iacuzzi

Pietra della Pazzia
Il segreto è nella testa

Presentazione sabato 12 marzo 2016
Ore 17-18 • Libreria Spazio di Via dell’Ospizio
Ore 18-19 • Galleria d’arte contemporanea Vannucci

Apertura del 60° Premio Letterario Internazionale Ceppo Pistoia
in vista di Pistoia Capitale Italiana della Cultura 2017

Con quale bisturi stanno cercando la pietra

della pazzia nella tua testa? Viene da qui

il nome della città? Te ne stai contro il cuscino

di piume d’oca. Tutto il bianco è per questo

quadro immacolato…

Per festeggiare i 60 anni del Premio Letterario Internazionale Ceppo Pistoia, in vista di Pistoia Capitale Italiana della Cultura 2017 e in occasione del Giubileo della Misericordia 2016, il presidente e direttore artistico del Premio ha scritto  “Pietra della Pazzia. Il segreto è nella testa”.

Un libro sul Fregio dello Spedale del Ceppo, che viene riprodotto interamente a colori con le foto di Niccolò Begliomini, edito dalla Giorgio Tesi Editrice, grazie a Banca di Pistoia – Credito Cooperativo e a Giorgio Tesi Group.

PRIMA PARTE • 12 MARZO, ore 17.00 • Libreria Spazio di Via dell’Ospizio • MUSICA – MEMORIA – POESIAPresentazione del libro di Pietra della Pazzia. Il segreto è nella testa. Racconto in versi per il Fregio dello Spedale del Ceppo. In omaggio alla memoria di Umberto Eco. Foto di Niccolò Begliomini (Giorgio Tesi Editrice – Accademia Pistoiese del Ceppo). Musiche da Arcangelo Corelli, Sonata opera 5, XII La follia (per il Giubileo del 1700) eseguite dalla violinista Teresa Dereviziis, in omaggio alla memoria di Umberto Eco. Lettura di Paolo Fabrizio Iacuzzi con proiezione delle immagini del Fregio dello Spedale del Ceppo. Saluto di Elena Becheri, assessore alla Cultura e all’Istruzione del Comune di Pistoia.

SECONDA PARTE • 12 MARZO, ore 18,00 • Galleria d’arte Vannucci – Via della Provvidenza 6 • ARTE – OBLIO – RACCONTOPietra della Pazzia di Paolo Fabrizio Iacuzzi e Lotofagie di Luca Caccioni, manifesto del 60° Ceppo. Dibattito con Paolo Fabrizio Iacuzzi, Luca Caccioni, Sergio Risaliti, Marco Massimiliano Lenzi e Silvia Evangelisti, curatrice della mostra in corso alla Galleria Vannucci fino al 12 marzo.

Con un brindisi di benvenuto al 60° Ceppo

«Uno Iacuzzi, forse il primo vandalo che Pistoia annoveri nelle sue cronache, scolpì nome e cognome su una colonna che sostiene il portico dello Spedale del Ceppo: “Giobatta Iacuzzi 1816. Proprio sopra quella colonna è collocato lo stemma del Ceppo e del Premio Ceppo… Giobatta, esattamente a 200 anni di distanza, sogna il Ceppo come una “opera pistoria”, un’opera di pasticceria, alla maniera del Satyricon di Petronio: vede biscotti glassati al posto delle formelle di ceramica invetriata… Ma è il racconto Visitare gli infermi il cuore dell’enigma: che cosa cerca col bisturi (termine derivato dal nome di Pistoia, in latino Pistorium) quel medico che scrive incidendo la testa di quel malato? Forse cerca la “pietra” che nel Medioevo si credeva responsabile della “Pazzia”?… La Storia del Novecento si fonde con una storia familiare, fatta di segregazioni e di prigionie, attraverso le quali le opere di misericordia diventano un teatro per animare, fra reale e immaginario, l’interrogazione del male… alla fine la meditazione sull’“opera di Pistoia”, capitale del coraggio e della paura, altro non diventa che la riflessione su un’idea stessa di civiltà che finisce nella polvere: giubileo della vanità delle vanità.» Paolo Fabrizio Iacuzzi, nota al libro.

«Fare il bene in sogni mobili, gettare gli incubi in cenere equivale a riassumere in sentenze quanto mai appropriate due dei precipui (ed “eterni”) compiti umani della poesia. Prendendo le mosse da questi due presupposti, lucidamente enunciati in epoca leopardiana dall’antenato Giobatta Iacuzzi, il poeta Paolo Fabrizio – una delle voci più originali nel panorama attuale della nostra poesia – s’impegna a bagnare di parole la lucente meraviglia del Ceppo.» Alberto Bertoni, prefazione al libro.

«Un infinito gioco di riflessi: l’arte che si fa vita, la vita che si fa arte; il vedersi ritratti nei propri avi, nei genitori, nei tableaux; il riflettersi nelle opere di misericordia nei due ruoli di chi offre e di chi riceve, guaritori e malati al tempo stesso… C’è molto ritmo, quasi a voler tenere il tempo avviato da Giobatta e, allo stesso tempo, una contemporaneità rap, quella del dire il proprio nome nel testo, forse come quel segno lasciato sulla pietra dall’antenato del poeta. Poi si arriva agli assetati e ci si rende conto che si sta eseguendo una salmodia, quasi una preghiera, ma laica, terrena, umana, mortale.» Ignazio Tarantino, prefazione al libro.


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