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Il cibo sprecato che ci costa 1.700 euro all’anno

Creato il 03 giugno 2013 da Giulianoguzzo @GiulianoGuzzo

cibo

Attento a come mangi e, soprattutto, a come sprechi. Si avviasse una nuova campagna contro lo spreco alimentare la si potrebbe inaugurare con questo slogan; magari non avrebbe efficacia immediata, ma almeno attirerebbe l’attenzione su un problema assai serio e che, fra l’altro, ci costa parecchio. Già, perché da quanto emerso da un recente sondaggio curato da Laste Minute Market/Università di Bologna con Swg la notevole quantità di cibo sprecato – si parla del 30% di carne acquistata, del 28% di pane e del 32% di latticini – pesa sul bilancio delle famiglie italiane, in media, 1.693 euro all’anno. Una bella sommetta, converrete.

Le ragioni dello spreco alimentare – fenomeno cresciuto, a livello mondiale, del 50% negli ultimi quarant’anni (Cfr. Segrè – Falascon, Il libro nero dello spreco in Italia: il cibo, Edizioni ambiente 2011) – sono molteplici anche se determinati per lo più da errori nella conservazione e gestione delle scorte (40% dei casi) e da ragioni legate alla gestione del cibo cucinato o al bilanciamento fra acquisto e numero di pasti da preparare (20%). Ora, posto che vi sono già molte famiglie attente a non buttare via cibo e ad acquistarlo solo quando davvero serve, lo spreco non è affatto semplice se si pensa che persino in un Svezia, paese modello di efficienza, ogni famiglia butta via il 25% di quel che compra al supermercato.

Questo però non ci autorizza ad abbassare la guardia, affatto, perché lo spreco, come abbiamo visto, costa, oltre ad essere chiaramente immorale. Il dato curioso, emerso sempre nella ricerca citata poc’anzi, è che il 78% degli italiani considera quello dell’attenzione alla gestione alimentare un tema prioritario; e chissà quanti, anche fra quelli di quel 78%, hanno sprecato o sprecano ancora. Segno che, su questo come su altri versanti, è tempo di parlare meno e di fare di più. Da subito. Anche perché il contrasto allo spreco alimentare, fra l’altro, non costa nulla; anzi, ci si guadagna pure. Il che, in tempi di crisi, è un gran bell’incentivo. 1.700 euro – per stare in tema – sono infatti un bel bocconcino. O no?



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