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Il cigno nero (Darren Aronofsky) ★★★/4

Creato il 01 marzo 2011 da Eda

Il cigno nero (Darren Aronofsky) ★★★/4Black Swan, USA, 2010, 108 min.

Così come questo film è tutto basato sugli opposti, sul bianco e nero, così anche il buon Darren Aronosky è uno di quei registi che si amano o si odiano. Come sempre in questi casi i detrattori imputano a Aronofsky di fare uso di una autorialità furbetta, piena di vuoti virtuosismi tecnici e colpi bassi allo spettatore, ma priva di reale spessore. Gli entusiasti al contrario vedono in Darren un regista visionario, in grado di esprimere concetti importanti attraverso una messa in scena personale e coinvolgente (spesso inquietante). Sarà che tra bianco e nero di solito preferisco il grigio, non sento di collocarmi in nessuna delle due fazioni, anche se nel complesso posso dire di propendere per un giudizio positivo. Confesso candidamente che mi piacciono quei registi che si assumono il rischio di giocare a carte scoperte con i simbolismi e gli archetipi cercando di darne una visione personale però, sarà un caso, il suo unico film “grigio”, senza estremi ma con una regia ben presente, The Wrestler, è anche il mio preferito, oltre a essere quello che ha ricevuto più premi (compreso il Leone d’oro).

Una Natalie Portman in un ruolo come si suol dire larger than life, in scena dall’inizio alla fine mettendoci passione, sudore, anima, corpo e qualcosa in più, giustamente premiata con l’Oscar proprio ieri (l’unico che il film sia riuscito ad accaparrarsi) è Nina, una timida ballerina che vive nella campana di vetro costruitale attorno da una madre iper-protettiva che ripone in lei tutte le speranze infrante nella sua modesta carriera. La carriera di Nina, invece, sembra stia per prendere il volo quando il direttore del corpo di ballo Thomas (sempre ottimo Vincent Cassell), accantonando l’etoile precedente per limiti di età, la seleziona come protagonista per una nuova versione del Lago dei cigni, nella quale la ragazza dovrà interpretare sia il cigno bianco che quello nero. Mentre con il suo candore e la sua innocenza Nina è perfetta per la parte del cigno bianco, le mancano la sensualità, la malizia e la cattiveria che richiederebbe quella del cigno nero. La neo arrivata Lily (una Mila Kunis dalla sensualità strabordante), suo naturale opposto, sarà la principale traghettatrice di Nina in questo viaggio ai confini dell’ossessione e della schizofrenia.

Il cigno nero (Darren Aronofsky) ★★★/4
Gli innumerevoli primi e primissimi piani del volto, dei piedi, della schiena di Nina suggeriscono uno studio sul corpo da parte del regista che si ricollega decisamente alla precedente rappresentazione di un altro corpo martoriato, quello di “The Ram” (Micky Rourke) in The Wrestler, ma qui gli intenti sono decisamente diversi e si avvicinano di più all’universo torbido e scioccante di Requiem for a dream. Un corpo flagellato da un’anoressia - tema non poco presente nella pellicola, ma sul quale il regista, con molto pudore, non insiste - che la porta a ferirsi compulsivamente e una passione distruttiva per la danza intaccano man mano la mente della protagonista, in perenne lotta col suo doppio nell’intento di raggiungere la tanto agognata perfezione, liberando la sua parte repressa e una sessualità mai coltivata. Sessualità che prima Thomas tenterà di far emergere e che poi Lily farà deflagrare in una rovente – e inquietante - scena lesbo. Interessante sempre nell’ambito della sessualità repressa, il ruolo del rapporto madre-figlia che produce una riflessione dolorosa e tragicamente realistica su tutti quei genitori che riversano le proprie aspettative sui figli, educandoli a perseguire uno scopo a tutti i costi, impedendo loro di sviluppare le loro reali inclinazioni e una personalità forte, reprimendo tutte le deviazioni non essenziali – ma in realtà vitali – e creando, in definitiva, dei mostri.

Aronofsky getta Nina in un turbine di allucinazioni e paranoie, una discesa agli inferi esemplificata dalla bella scena della discoteca dove è accompagnata da una Lily mefistotelica. Assieme alla protagonista lo spettatore si trova ad affrontare un tour de force per testa e cuore, messo in scena con abbondante uso di effetti horror o da thriller psicologico che spesso colgono nel segno e mettono i brividi (il finale su tutti), ma altre volte rischiano il ridicolo (la scena dei quadri e le risatine malefiche sono francamente un po’ troppo). Si riscontra qui uno di quei difetti che si citavano all’inizio: l’eccessivo uso di virtuosismi tecnici e la costante voglia di spiazzare lo spettatore, pur non raggiungendo i livelli di repulsione che provocava Requiem for a dream, rischiano di rovinare l’atmosfera e il personaggio, ma sono innegabili la forza del coinvolgimento e il talento visivo del regista, così come è d’impatto il riadattamento moderno di musiche classiche da parte del compositore abituale di Aronofsky, Clint Mansell.

Il cigno nero (Darren Aronofsky) ★★★/4
L’arte e la vita, così come realtà e immaginazione, si fondono progressivamente per diventare una cosa sola; la storia di Odette e Odine (i due cigni), diventa quella dei due volti di Nina, ogni sua barriera crolla, spingendosi senza protezioni troppo oltre nell’esplorazione del proprio io interiore. Si arriva così alla messa in scena ultima, ad una “prima” di drammatica bellezza che non ammette repliche. La rappresentazione del balletto finale è uno dei migliori pezzi di cinema dell’anno, la trasformazione in cigno sorprendente, mentre il volo finale di Nina, speculare a quello sul ring di The Ram, non è, come per il lottatore, un disperato inno alla vita e alla voglia di non arrendersi mai, ma, piuttosto, una liberazione da sé.

EDA


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