Magazine Cinema

Il cinema al tempo del peer to peer

Da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

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Molto spesso si associa il fenomeno dello scambio peer to peer alla crisi del cinema, poiché ridurrebbe le disponibilità economiche delle produzioni cinematografiche. E per difendere le loro prerogative le major cinematografiche esercitano pressioni sui governi affinché siano approvate leggi repressive di tale fenomeno (come in Italia la legge Urbani o in Francia la cosiddetta legge Hadopi II). Tale repressione non ha motivo di essere. Innanzi tutto occorre preliminarmente fare chiarezza su quale sia l’entità del danno ipotetico arrecato dal libero scambio di file. Alcune case di distribuzione hanno provato a stimare il danno come il prodotto del numero di download per il costo (sul mercato “legale”) dell’opera scaricata. Tale valutazione è fortemente inesatta, in quanto non corrisponde al vero che ogni film scaricato sarebbe stato legalmente acquistato se si fosse impedito lo scambio gratuito. Molto più semplicemente quel contenuto, nella stragrande maggioranza dei casi, non sarebbe stato fruito. Quindi, senza produrre proventi per nessuno. Ciò premesso, significa che la discussione deve svolgersi non sul totale dei film scambiati, ma su quella minima percentuale che, se non scambiata, sarebbe stata acquistata.

Su questa quota vanno svolte ulteriori riflessioni: il libero scambio di film attraverso la rete ha permesso il formarsi di una nuova specie di fruitori, capaci di approfondire intere filmografie, di ricercare opere semisconosciute, e di procurarsi edizioni straniere alle quali hanno autonomamente (o in collaborazione con gruppi di cinefili) aggiunto sottotitoli e/o traduzione degli stessi. Questi sono cinefili che hanno espanso le loro potenzialità, e il loro numero è cresciuto esponenzialmente, grazie allo scambio gratuito. Qui non vogliamo insistere eccessivamente sul potenziale di democrazia, socializzazione della cultura, messa in comune dei saperi, eguaglianza e crescita culturale dei cittadini che amano o imparano ad amare il cinema in questo modo nuovo, intenso ed esteso, perché queste tematiche non interessano particolarmente le industrie cinematografiche o la maggior parte dei governi che ad esse si asservono. Ci limiteremo a sottolineare la convergenza reale di interessi che deve essere rilevata tra industrie cinematografiche, governi e cittadini.

Si tratta di una vera convergenza in quanto occorre considerare che l’aumento del numero di cultori della settima arte e la maggiore formazione di ciascuno di essi produce, inevitabilmente, anche una spinta al consumo di prodotti che, altrimenti, non troverebbero acquirenti; si tratta di una maggiore propensione alla fruizione in sala dei film di prima visione, un maggiore interesse verso festival cinematografici, canali tematici televisivi e riviste del settore, oltre che apparecchi televisivi, audio fonici, informatici e di proiezione. E’ importante sottolineare l’aspetto relativo alla fruizione cinematografica in sala, poiché il nuovo cinefilo, che si è formato a suon di dvx scaricati su internet, desidera fruire il prima possibile e nel miglior modo di un’opera appena prodotta. Questo suo atteggiamento è modificato dal background che ha formato gratuitamente e che produce non già una contrazione assoluta dei suoi consumi, bensì un’espansione. Quello che varia al ribasso è solo il costo unitario medio, da lui sopportato, per ogni visione (tenuto conto dei molti film che vede gratuitamente). Certamente la famelicità delle società di distribuzione le porterà a desiderare di monetizzare ogni singola visione, ma non hanno ragione di asserire che le tecnologie telematiche le abbiano inferto un danno quantitativo assoluto.

Nonostante la convinzione nelle dinamiche sopra esposte, vogliamo provare ad assecondare anche le pretese dei detentori dei copyright, formulando l’ipotesi che essi stiano realmente sopportando un danno. In tale caso la via da seguire non deve essere in nessun modo quella della proibizione e criminalizzazione dello scambio, ma quella delle royalties (che in parte si sta già seguendo). Il peer to peer necessita di banda larga fornita da Intenet Service Providers (ISP), supporti di memorizzazione di massa, PC, monitor. Una piccola tassa su questi materiali può andare a favore dei proprietari dei diritti di diffusione a recupero dei supposti danni sopportati.

Se tutte le osservazioni precedenti non fossero ancora sufficienti, sarà il caso di ricordare che il trend di digitalizzazione dell’informazione e la sua veicolazione sulle reti sono processi inevitabili e una politica muscolare e proibizionista non sarà certo in grado di fermarli. E’ il caso del mercato dell’affitto dell’home video: le videoteche sono già quasi del tutto scomparse. Grandi marchi hanno dichiarato il loro fallimento, a testimonianza dell’irreversibilità e ineluttabilità del fenomeno. Ancora un’ultima considerazione: se, nonostante le compensazioni delle royalities, si lamentassero ancora degli ammanchi ai guadagni delle società di produzione e distribuzione, non sarebbe male che tali perdite venissero ammortizzate riducendo i compensi dello star system hollywoodiano (o degli aspiranti tali), anche tenuto conto che i loro film sono certo tra i più scambiati.

Pasquale D’Aiello


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