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Il colpo di fulmine di Romain Gary

Creato il 18 gennaio 2010 da Massimo

Quando passi la tua vita di lettore ad incrociarla, capita spesso di ignorare quella frase abusata da ogni editore, per ogni libro, di ogni epoca - ovvero quel tormentone che parte da “un romanzo”, fa scalo a “toccato dalla grazia”, e termina in “un capolavoro”.

Il colpo di fulmine di Romain Gary

Gary imbronciato all'epoca in cui non aveva più niente da dire

Eppure qui la grazia da capolavoro è davvero reale, ed è quella toccata da Romain Gary, scrittore lituano vissuto in Francia, eroe di guerra, diplomatico, viaggiatore, cineasta, ma soprattutto vincitore nel 1956 del premio Goncourt con il romanzo Le radici del cielo, replicato nel 1975 con l’oggetto di questa recensione - La vita davanti a sé - per il quale non ritirò alcun premio poiché il romanzo lo aveva scritto sotto pseudonimo, e lo pseudonimo era Émile Ajar, un giovane definito dalla critica “il più promettente romanziere degli anni settanta”, mentre Romain Gary veniva già additato come uno scrittore senza più nulla da dire: i paradossi della critica.

I paradossi della vita: cinque anni dopo quel premio goduto in solitaria, Romain Gary si reca in un negozio e acquista una vestaglia di seta. Torna a casa, mette in ordine ogni cosa, indossa la sua vestaglia e si spara un colpo in testa. Aveva calcolato tutto: accanto a lui lascia una chiazza dello stesso colore della vestaglia, ed un biglietto:  “Nessun rapporto con Jean Seberg. I patiti dei cuori infranti sono pregati di rivolgersi altrove.”

Jean Seberg era l’attrice americana che aveva sposato nel 1962, divorziato nel 1979, e che un anno prima lo aveva anticipato decidendo di farsi trovare in macchina, ubriaca, nuda senza neanche una vestaglia, e meno ancora fiato in corpo.

Il colpo di fulmine di Romain Gary

Jean Seberg & Romain Gary in una foto che è questa

Lo stesso fiato che si perde a leggere La vita davanti a sé, il romanzo narrato in prima persona da Momò, un ragazzino algerino di dieci anni che negli anni 40 abita a Belleville, al sesto piano di un caseggiato senza ascensore ma con altri piccoli arabi, ebrei, neri che come Momò condividono lo stesso tratto di scale da fare a piedi, oltre al destino di essere “nati di traverso”, ovvero nati da madri, come Madame Rosa, che fanno il mestiere più antico del mondo.

Madame Rosa, un’ebrea polacca scampata al terrore di Auschwitz, il mestiere più antico del mondo non lo faceva più perché oltre che grassa era antica anche lei, ma gestiva quella pensione clandestina con passione e protezione, la maggior parte dedicata, ricambiata, al piccolo Momò: un legame ancora più forte di quello materno, un affetto profondo vissuto nel reciproco e continuo timore di perdersi a causa delle leggi della natura o quelle di Francia, fino a quando, fino a quando ve lo andate a leggere da soli perché non è che vi possa dire tutto io.

A volte si dice che un romanzo è “tirato via”. In questo caso il romanzo è tirato via nel senso che mentre lo leggi succede che te lo mangi, te lo bevi, te lo abbracci, a un certo punto provi anche a dargli anche un bacino, ma poi lo devi tirare via, altrimenti è capace che piangi.

Piangi perché quando trovi uno scrittore con addosso la rara capacità di mettersi nei panni dei suoi personaggi fino a creare un’identità propria, tangibile, fatta di un linguaggio unico e sovversivo – quello stile orale usato da Momò, preso e raccolto dai margini delle strade popolate da travestiti, venditori di tappeti, baristi, protettori, dottori che lui assorbe come una spugna, dimostrando a seconda dei casi di avere trentadue, quattordici, novantasei anni – proprio come se a parlare ci fosse uno davanti a noi che le parole te le fa respirare fino a sentirne l’odore, fino ad aprire uno squarcio di realtà tra le pagine scritte, succede che se uno non si commuove subito è perché ha letto la versione originale e non sa il francese, oppure perché non ha più vita davanti a sé, e allora se è già morto cosa legge a fare?

Io dico che è bene cercare, prima che sia troppo tardi, di leggere questo romanzo toccato dalla grazia, e da chiunque lo vorrà toccare senza il timore di restare fulminato al primo colpo.

Il colpo di fulmine di Romain Gary

Momò che guarda il titolo dell'edizione Neri Pozza

“Ho sempre notato che i vecchi dicono: ‘Sei giovane, hai tutta la vita davanti’, con un sorriso buono, come se gli facesse piacere. Sapevo che avevo tutta la vita davanti, ma non me ne sarei certo fatto una malattia”.



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