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Il commendator aristide paoloni e gli scheletri negli armadi

Creato il 08 agosto 2012 da Ciro_pastore
IL COMMENDATOR ARISTIDE PAOLONI E GLI SCHELETRI NEGLI ARMADI IL COMMENDATOR ARISTIDE PAOLONI E GLI SCHELETRI NEGLI ARMADI
Tutti nascondono almeno un segreto inconfessabile che gli fa temere di poter diventare prima o poi ricattabile dal film “IL CORAGGIO” con Totò http://www.youtube.com/watch?
Favorito da un sistema televisivo locale che - a causa delle sua ridotta disponibilità di risorse economiche - ce lo ripropone in tutti gli orari della giornata, sono un devoto ed approfondito conoscitore dell’intera filmografia del Principe Antonio De Curtis, in arte Totò. Come per tantissimi di voi, ne sono certo, ogni battuta mi è nota, ogni furbesco ammiccamento mi rivela un mondo fatto di cinismo e ma anche di antica saggezza popolare. In questi giorni, stimolato dagli scandali che vengono continuamente alla luce in ogni settore della società – dalla politica allo sport, da Formigoni a Schwazer - mi è venuta alla mente una scena inserita nel film del Principe della risata che si chiama "Il Coraggio". Il titolo, forse, vi dirà poco, ma brevi spunti sulla trama vi aiuteranno a focalizzare. Totò impersona un poveraccio (Gennaro Vaccariello) che è il solito napoletano esperto nell'arte di arrangiarsi, che furbescamente “si fa salvare " dal Commendator Aristide Paoloni (un impettito e pieno di sé Gino Cervi), industriale dedito ad un’anomala collezione di salvataggi dalle acque del Tevere di uomini che tentano il suicidio. Paoloni fa questo, non solo per soddisfare la sua boriosa vanagloria, ma anche con l'obiettivo di "scendere in campo" come uomo politico. La popolarità conquistata mediante salvataggi di vite umane è per lui un metodo abbastanza rapido per conquistare un più facile consenso elettorale. Totò, cercando di conservare la propria dignità, tenta di far mantenere se stesso e la sua numerosa famiglia dal ricco industriale. Il gioco non può durare a lungo, però. Dopo mille sotterfugi, e messo alle strette, Totò/Vaccariello – come estrema difesa - minaccia il Commendatore di rilevare un segreto inconfessabile che potrebbe stroncare la sua nascente carriera politica. Naturalmente Totò nulla sa di concreto dei segreti di Paoloni. Gli basta solo paventare la dilazione per ottenere il veloce ed impaurito rabbonimento del Commendatore. E' lui stesso che gli confessa l'esistenza di un'amante che è una straripante seduttrice professionista (interpretata dalla “malafemmina” Gianna Maria Canale). Un’amante sempre più pretenziosa ed ingombrante che mette a repentaglio il progetto politico del Commendator Paoloni. Come sempre, però, Totò non può essere completamente “negativo” e, quindi, più che ricattare l’industriale in difficoltà per le esose richieste di lei, si presta ad aiutarlo per liberarlo dell’arpia. Così, Totò decide di impersonare un improbabile Januario de Vaccarillos, sedicente ricchissimo allevatore e latifondista sudamericano. Januario, con abili artifici, "spedisce" definitivamente l'amante in America Latina, facendole credere di essere disposto ad “impalmarla”, nonostante il suo passato di plurimantenuta. Morale della storia: ognuno di noi ha uno "scheletro nell'armadio" che qualcun’altro potrebbe evocare, minacciando di distruggere in breve tempo un’agiatezza costruita in anni di piccole e grandi nefandezze. Personalmente, ho provato a combattere questo rischio esponendo in una vetrina mediatica l’intera collezione dei miei piccoli scheletri. Purtroppo - anzi fortunatamente – i miei scheletri sono tutti esposti in bella vista, da sempre. Tutto si sa di me, perché sono io stesso a parlarne ampiamente e con dovizia di particolari. Non mi nascondo e nemmeno mi mimetizzo, come molti altri fanno. Anzi, mi sovraespongo. Sono ingombrante, e non solo fisicamente. La mia storia professionale e personale è nota e, spesso, è stata fonte di gossip. Ma di questa trasparenza ne faccio una bandiera da sventolare con orgoglio, forte della consapevolezza - priva di falsa modestia – di valere e di dimostrarlo continuamente in ogni modo possibile. Mi espongo e me ne prendo ogni responsabilità e questo mi rende sereno. In mezzo a tanti "sepolcri imbiancati" mi ritengo inattaccabile, non perché non abbia mai commesso peccati (anzi, ne ho collezionati un bel po’ in passato). Semplicemente perché quei peccati amo renderli pubblici. E faccio ciò non per esaltata mania di protagonismo o per sedare un inconscio tormentato dai rimorsi. La mattina, ma anche di pomeriggio e di sera, mi guardo tranquillamente allo specchio. La mia è una solitaria – e probabilmente inefficace – guerra alla falsità ed alla ipocrisia. Sia i pochi miei amici spaventati da questa mia lotta all’ipocrisia che i tantissimi detrattori convinti che la mia sia solo una strategia orientata ad ottenere “piccole vendette”, mi invitano a fare un tuffo nel mio inconscio, magari con l’aiuto professionale di un terapeuta. Non escludo che possa – prima o poi - potermi giovare dei benefici effetti di una terapia, ma sono altrettanto sicuro che l’ipocrisia che oramai avvolge tutti fa sembrare follia il mio desiderio di verità. In uno strano meccanismo proiettivo il folle sono io che cerco, predico e pratico la verità; mentre tutti quelli che si sono passivamente adeguati al sistema dell’ipocrisia pensano di essere i “normali”. Occorre ricordare, però, che la proiezione è una difesa tipica di chi è affetto da condizione paranoide e si manifesta traslando sentimenti o caratteristiche propri su altri oggetti o persone. Dietro ogni proiezione c'è, insomma, un senso di inferiorità e di disagio psichico che viene reso inoffensivo attraverso l'individuazione di un "parafulmine" esterno a sé. Spesso, il soggetto su cui si proietta è, in fondo, "amato" dal proiettante e, non raramente, questa difesa arcaica nasconde un desiderio (anche omosessuale) represso ed inconfessato, che trova negativa sublimazione nel porre “all’indice” il trasgressore, colui il quale osa porsi fuori dalle regole comunemente accettate dal consesso sociale. Ritornando agli ignoti possessori di “scheletri negli armadi”, ritengo che la loro vita sia davvero dura, a tratti addirittura insopportabile. Convivere quotidianamente con l’abisso della paura provoca un perenne stato ansiogeno che nessuna benziodiazepina può totalmente eliminare. Imbottirsi di Xanax, Lexotan, Ansiolin, Control, En, Lorans, Tavor, Valium aiuta solo a dissimulare il dolore (a cui peraltro ci si affeziona) di una vita “finta”, in cui niente vale, perché niente è vero. E poi, come sempre, prima o poi, arriva un Gennaro Vaccariello che ti mette spalle al muro e ti riporta alla realtà. Prima o poi, infatti, ogni magagna (anche quella ben nascosta per anni) torna a presentarti il conto e, di solito, il conto è sempre molto salato.
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