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Il condominio dei cuori infranti

Creato il 22 marzo 2016 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma
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  • Anno: 2015
  • Durata: 100'
  • Distribuzione: Cinema
  • Genere: Commedia
  • Nazionalita: Francia, Gran Bretagna
  • Regia: Samuel Benchetrit
  • Data di uscita: 24-March-2016

Sinossi: Un condominio in un complesso periferico di case popolari. Un ascensore in panne. Tre incontri. Sei personaggi. Stemkowitz abbandonerà la sedia a rotelle per trovare l’amore di un’infermiera che fa il turno di notte? Charly, l’adolescente abbandonato a se stesso, riuscirà a far ottenere un ruolo a Jeanne Meyer, attrice degli anni ’80? E cosa sarà di John McKenzie, astronauta caduto dal cielo e accudito dalla signora Hamida?

Recensione: Una manifesta nostalgia analogica pervade Il condominio dei cuori infranti, quinto film dello scrittore e regista Samuel Benchetrit, trasposizione cinematografica di due racconti tratti da Chroniques de l’asphalte, opera composta dallo stesso Benchetrit. Già il formato scelto per la proiezione – un anacronistico 1,33:1 – rivela l’intenzione del regista di retrocedere dall’era della proliferazione dei segni e della desertificazione dei rapporti ad una in cui l’incontro assume ancora un ruolo decisivo, fornendo la possibilità di trascendere una condizione di angusto solipsismo. L’incontro di due esseri umani, sebbene raro, è ancora possibile, senza essere caratterizzato da un eccesso di verbosità che, il più delle volte, occulta ciò che di più autentico si cela in noi.

Gustave Kervern interpreta un solitario signore che, caduto dalla cyclette, perde, almeno momentaneamente, l’uso delle gambe, ed è costretto a deambulare su una carrozzina, finché, girovagando di notte in un ospedale alla ricerca di un distributore di vivande, incontra una paziente infermiera (Valeria Bruni-Tedeschi) che gli regala un po’ del suo tempo, offrendosi come modella per un improvvisato servizio fotografico, realizzato con un’antiquata macchina con pellicola; Isabelle Huppert è un’attrice decaduta che trova un’improvvisa complicità nel giovane vicino di casa, con il quale comincia a rivedere i suoi vecchi film, rigorosamente in videotape, rivalutando la possibilità di presentarsi a nuovi provini; Michael Pitt (uno dei protagonisti del fortunato The Dreamers di Bertolucci) è nientemeno che un astronauta della Nasa precipitato con la capsula di salvataggio sul tetto di un palazzo della periferia parigina, che un’affettuosa donna di origini marocchina, naturalizzata francese, accoglie come un figlio, pur non parlando una parola di inglese.

La periferia costituisce il luogo ideale per la ripresa delle relazioni che salvano, una zona franca in cui è ancora possibile scampare l’equivoco della società fluida contemporanea: alle cadute dei tre personaggi protagonisti corrispondono altrettante risalite, ma tutto avviene senza strepiti, a scapito della spettacolarità, e il miracolo, quindi, si consuma silenziosamente. Quel misterioso rumore che tutti gli abitanti del fatiscente palazzo scambiano per un lamento, o per chissà che, è in realtà prodotto dal cigolio di uno sportello che il vento sbatte a più riprese durante il corso della giornata. Nulla è come sembra, o meglio le cose sono più semplici di come di primo acchito potrebbero apparire. La nostalgia analogica di cui si diceva all’inizio è in questo senso funzionale a ripristinare un processo di disvelamento dei fenomeni che tenga conto della manifestazione della realtà nella sua immediatezza, genuinità e autenticità. La parola, il detto, troppo spesso si rivela un strumento che surcodifica; il linguaggio intrappola, è la vera prima vera Legge con cui ci si confronta e a cui bisogna sottostare. È necessario, dunque, azzerare questo meccanismo, ‘disimparando’, retrocedendo dalla rappresentazione alla ‘presentazione’, cioè alla manifestazione della realtà prima dell’ingresso del linguaggio. Un tentativo titanico che può essere esperito attraverso un atto di umiltà che sappia recuperare quanto di più vero è contenuto in un soggetto, che realizza il proprio processo costituivo all’interno di un sistema comunitario cui è continuamente connesso. L’intersoggettività, rivisitata ‘analogicamente’, si rivela ancora una volta la piattaforma a partire da cui ripensare le coordinate dei punti di fuga delle modalità di individuazione, riattivando quella riserva di senso e di sacro fatalmente dispersa.

Molte, dunque, sono le suggestioni evocate da questo piccolo ma efficace film che Cinema coraggiosamente distribuisce nelle sale italiane a partire dal 24 marzo. Consigliata caldamente, dunque, la visione.

Luca Biscontini

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