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Il corpo che non conoscevo

Creato il 14 gennaio 2016 da Pioggiadinote

warholgina

In verità, ho omesso di parlare finora di un evento importante al quale ho partecipato, che risale all’ottobre scorso, questo Convegno qui. Forse ero talmente immersa lì dentro, che non ho saputo osservarlo abbastanza da fuori. Non subito, almeno: non per farne una notizia degna del suo prezioso contenuto. Ma diciamo la verità: sono tanto nauseata dalla meschinità che di questi tempi mi trovo a toccare con mano, così occupata a sorprendermi di quanto tempo da perdere abbiano certi individui con il vizio del parlare male e alle spalle e farsi gioco delle persone, e così sorpresa pure della debolezza che riconosco in certuni e non mi aspettavo, sorpresa dei voltafaccia e dei voltagabbana, insomma: così impegnata a costruirmi una vaga idea di che cosa sia l’umanità, che finisco per perdere un mucchio di tempo anch’io (problema mio, che alla mia età ancora ignoro certe forme di esperienza), tanto da smarrire, temporaneamente, il senso della mia…esistenza professionale. E’ proprio così che ho potuto presto annebbiare il ricordo di questo Convegno, dal taglio del tutto particolare e nato da un’idea che da subito, senza perdere tempo in preliminari didascalici, ha mostrato l’anima della questione corpo musica. Il Convegno si è materializzato apparentemente dal nulla, come una pepita d’oro nella sabbia.  Ma ero io a non aver saputo fino ad allora riconoscere che, tra i personaggi dickensiani che popolano il fotoromanzo a puntate, senza fine, dell’Accademia Nazionale di Danza, c’era tra loro un cervello agganciato ad un’anima pulita.

A volte scegliamo di collaborare a un progetto o a un’idea, ovvero scegliamo di offrire qualcosa del nostro tempo e delle nostre capacità, perchè siamo consapevoli che riceveremo molto di più. Non siamo mossi quindi da una grande generosità, anzi, ma dalla convinzione di venire in qualche modo toccati e benedetti dall’intelligenza altrui, nella speranza che possa propagarsi anche a noi. E così, in un certo modo, è stato. Ho prodotto, immaginato, discusso e pensato e scritto come indirizzata da uno slancio, tesa nello sforzo di brillare come un pianeta che ruota nei pressi di una stella: l’importante è riconoscersi nel proprio ruolo. Se poi la stella è dotata di temperanza e modestia, non esiste cosa migliore che trovarsi un’orbita ideale e restare lì.

Per questo, avrei preferito che non finisse; invece, il Convegno, dopo la lunga e serrata preparazione, è durato tre giorni, come previsto… Mai che possa accadere qualcosa di autenticamente surreale (e questo è un bell’ossimoro).

Più di tutto, più di quanto ci hanno offerto e comunicato i docenti relatori, mi ha favorevolmente colpita e rigenerata l’adesione interessata ed entusiasta dei convenuti; la partecipazione attiva, la fervida attenzione di tutti; la volontà di sapere di più, carpire, portarsi via qualcosa, fino alla propria postazione dietro al pianoforte, in una sala di danza. Ovvero, mi ha incoraggiato fortemente la constatazione di far parte di una comunità che esiste davvero, che accomuna persone. Non un piccolo agglomerato di musicisti, neanche di prim’ordine, così come siamo comunemente conosciuti (e come si sentono molti di noi, sprecati – annoiati: vedi post precedente): bensì una moltitudine di persone accomunate da una professione speciale, che può manifestarsi in mille sfumature e possibilità, da esplorare tutte per arricchire la propria. Un gruppo di persone che pensano, e non semplicemente suonano,  e meno che mai “accompagnano”. Questa è stata una bella scoperta, di cui rammentarsi nei tempi bui.

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