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Il corpo di Superman: misura e armonia come simboli incarnati di credibilità e moralità – Seconda parte

Creato il 18 dicembre 2013 da Lospaziobianco.it @lospaziobianco
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 Il corpo di Superman: misura e armonia come simboli incarnati di credibilità e moralità   Seconda parte Zack Snyder Superman In Evidenza DC Comics Christopher Reeve

Il corpo di Superman: misura e armonia come simboli incarnati di credibilità e moralità   Seconda parte Zack Snyder Superman In Evidenza DC Comics Christopher Reeve

Il corpo di Superman: misura e armonia come simboli incarnati di credibilità e moralità   Seconda parte Zack Snyder Superman In Evidenza DC Comics Christopher Reeve
 

IV. Costume, panneggio e mantello

Il termine «costume» è stato usato in mancanza di un appellativo migliore per il vestito con cui Superman svolge le sue azioni. Tuta, calzamaglia, uniforme, tenuta, divisa, abito? Come definire l’indumento che caratterizza questo personaggio, ma anche un po’ tutti i supereroi? E che attinenza ha esso rispetto alla comunicazione della fisicità? Innanzitutto, nel caso di Superman, è un costume perché la sua ispirazione primaria, come scritto sopra e come noto, è quella dei vestiti da ginnasta/acrobata dei trapezisti del tempo che fu, da cui non solo la calzamaglia colorata ma anche il cinturone e il calzoncino sopra la tuta aderente. Il cinturone nasce dal fatto che prima dell’invenzione dei nastri elastici, per reggere i calzoni c’erano solo la cintura o le bretelle; e i calzoncini sopra la tuta aderente servivano sia a coprire le pudenda, le cui forme sarebbero state altrimenti troppo in rilievo sotto la calzamaglia (ma magari nelle tute degli acrobati del circo, che non hanno mai navigato nell’oro, non erano infrequenti strappi e buchi nella zona del cavallo rammendati alla bell’e meglio, da coprire con calzoncini), sia a dare all’acrobata un aspetto più decoroso. Si tratta pertanto, lo sottolineo a vantaggio di tutti coloro che hanno sempre e impropriamente parlato di «mutande», che quelle non sono mutande. Sono calzoncini corti e la loro doppia funzione è molto razionale.

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Se diversi disegnatori nel corso del tempo hanno fatto pensare ai lettori che questi calzoncini fossero mutande (con i fianchi alti e corti) invece che «boxer» attillati, e se ciò è avvenuto anche nella progettazione del costume di scena di Christopher Reeve, ciò non deve comunque far dimenticare la forma e la funzione originarie di questi pantaloncini; forma peraltro recuperata da alcuni autori particolarmente bravi, come Frank Quitely, che riconferisce nella sua versione di Superman una certa dignità ai calzoncini rossi.

La fisicità di cui si parlava è comunicata dal costume di Superman, naturalmente, proprio grazie al suo essere attillato, questo appare abbastanza ovvio. Anche qui tuttavia sappiamo bene che moltissimi autori (non solo su Superman ma in generale) trattano il costume del supereroe come se non esistesse: si limitano a disegnare un’anatomia umana «nuda» ma priva di ombelico, capezzoli, genitali e dita dei piedi. Non c’è panneggio, cioè non ci sono pieghe del tessuto del vestito che indichino che c’è del materiale tessile fra la pelle dell’eroe e il mondo esterno. L’astrattismo del costume insomma assume un valore interessante, come fosse una specie di tatuaggio, di body painting: ciò, per fare in modo di mostrare il più possibile la definizione dei muscoli dell’eroe, che non devono essere appannati dal realismo, cioè da una copertura di tessuto che, pur sottile, ne smorzerebbe l’effetto di bassorilievo scultoreo.

In tal senso, un altro corto-circuito estetico-funzionale è nato in recenti versioni cinetelevisive di supereroi in cui il costume (1) non c’è proprio; si pensi all’Incredibile Hulk con Lou Ferrigno: quale miglior soluzione per mostrare i muscoli di un culturista che scegliere un eroe che in azione si mostra a torso nudo? Il costume di Ferrigno nel telefilm, a parte una bella ed esilarante parrucca, delle lenti a contatto e dei pantaloni stracciati, era una patina di trucco verde sulla pelle; (2) è imbottito e sagomato ad hoc per potenziare l’aspetto muscolare dell’eroe; è il caso di Flash dei primi anni Novanta con John Wesley Shipp, in cui il protagonista vestiva un costume molto tecnico, dove le imbottiture sagomate a muscoli erano giustificate come espedienti aerodinamici per attutire l’attrito con l’aria durante le sortite a supervelocità; (3) ancora, e questo è il caso che forse fa più sorridere e comunque il più emblematico di tale corto-circuito, in molti film recenti, per lo meno dallo Spider-Man di Sam Raimi (2002), il costume è dotato di un effetto trompe-l’œil, cioè alcune ombre ipoteticamente prodotte dal volume dei muscoli sono disegnate sul costume, a enfatizzare scenicamente quelli che, sotto alla tuta, sono effettivamente i veri muscoli dell’attore. 

Tutto ciò non accadeva nelle versioni cinematografiche di Superman fino a quella del 2013 di Zack Snyder (L’Uomo d’Acciaio). Nel telefilm The Adventures of Superman la tuta era di tessuto tradizionale, non saprei se in cotone o poliestere, ma non particolarmente aderente, anche per coprire in parte le manchevolezze fisiche dell’attore, a cui si sopperiva invece con un sottotuta imbottito, come mostrato anche in Hollywoodland (di Allen Coulter, 2006): film di grande interesse in questo contesto perché mostra una ricostruzione della carriera e della misteriosa morte di George Reeves, interpretato qui da Ben Affleck; la corporeità del fu Reeves viene ben restituita nella forma fisica di Affleck, che per questo film si allenò «al contrario», al fine di perdere definizione muscolare e acquistare adipe.

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Nei film con Christopher Reeve il costume era di un tessuto misto composto di fibre naturali e artificiali, né leggero né pesante, ma molto aderente e in grado di mostrare con buon gusto la fisicità dell’attore e quindi del personaggio, e al contempo comunicando in modo direi mimetico i colori e la «pasta visiva» del Superman fumettistico di quegli anni. In questo senso, il Superman di Donner è la perfetta trasformazione in carne e ossa del Superman a fumetti, grazie al lavoro di Geoffrey Unsworth (fotografia), John Barry (scenografia) e Yvonne Blake (costumi). In queste due celebri versioni reali di Superman e del suo costume, così come in quelle secondarie degli altri telefilm, si è sempre cercato di realizzare, insomma, costumi aderenti ma sempre tenendo conto di una facile riproducibilità tecnica a livello tessile da parte delle aziende licenziatarie (per i costumi di carnevale e per il resto degli indumenti marchiabili con lo stemma di Superman): non si è mai minimamente preso in considerazione il fatto che il vestito di Superman nella finzione sia composto di materiale alieno, perché la concezione di Superman come personaggio fittizio, fino ad anni recenti, tanto nei fumetti quanto a Hollywood non si è mai spinta oltre un certo livello di sofisticazione. Superman è un personaggio dei fumetti, un eroe per bambini, e come tale uno dei fattori primari d’utilizzo è sempre stata la possibilità che la sua apparenza fosse replicabile anche in casa con del cotone e del tendaggio rossi, gialli e azzurri. Questa semplicità pratica, tesa a una corrispondenza assai pragmatica in termini sia estetici sia commerciali fra quel che si vede nei fumetti e quel che si può realizzare nella realtà domestica o che si può acquistare in un negozio di costumi o di giocattoli, cessa con Superman Returns, dove il costume dell’eroe, influenzato dalla tendenza vincente inaugurata in Spider-Man, è divenuto gommoso e dai toni più scuri di quelli fumettistici familiari da decenni al pubblico internazionale. Tale scelta viene esasperata in L’Uomo d’Acciaio, in cui l’abito di Superman, ormai del tutto extraterrestre, assume valenze narrativamente ed esteticamente arzigogolate, a cui accenno nel capitoletto finale.

Nei due ultimi film su Superman non c’è praticamente più panneggio: il costume dell’eroe non produce pieghe di sorta, trasformandosi veramente in una seconda pelle, in una sorta di custodia dello smartphone, se mi è permessa la battuta. Il panneggio però viene usato, e in modo molto efficace, da alcuni disegnatori nel corso del tempo, e in particolare da quelli che vogliono dare un tocco realistico e una corporeità più autentica a Superman. Certo c’è sempre il rischio di calare Superman troppo nel mondo fisico, in questo modo: mostrare che l’eroe veste una tuta che fa le pieghe, che può cambiare di posizione sopra al corpo, lo umanizza anche troppo, nel caso specifico del kryptoniano. 

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Superman insomma non è né l’Uomo Ragno né Devil, i supereroi di quartiere per eccellenza, e il suo costume ha assunto nel tempo valori molto più simbolici di quelli di molti altri eroi: il diamante nel petto con il suo simbolo (e non prendiamoci in giro: non è altro che una s, a dispetto di tutti i panegirici e delle più disparate simbologie che vogliamo costruirvi: pesce della cristianità, simbolo della casata di El e altre amenità assortite), il ciuffetto sulla fronte e l’ampio mantello, aggiunta solenne al costume da trapezista. A tal proposito ricordo che i trapezisti, come i lottatori di catch/wrestling, prima della loro esibizione si presentano al pubblico con un mantello, che poi si tolgono con eleganza e solennità per eseguire il loro numero o combattimento.

Il mantello è, appunto, l’ultimo tema di questo capitoletto: sappiamo bene che quello di Superman ha assunto nel tempo diverse lunghezze. Al retroginocchio, a metà polpaccio, a volte alla caviglia, a volte corto e, diciamolo, ridicolo come un mantellino da paggetto (a metà coscia). A seconda della lunghezza esso può comunicare, e può aver comunicato, una diversa solennità eroica, in accompagnamento al suo attacco sulle spalle. Indubbiamente la versione più solenne è quella del mantello dall’attaccatura sulle spalle discreta e non rigonfia, e con la parte superiore del manto che accarezza e ricopre parzialmente i deltoidi. In tal modo il mantello cade sulla schiena largo, crea dietro al corpo di Superman un campo rosso, un po’ come un fondale scenico, e produce ampie pieghe ondose in grado di dare profondità e volume a tutta la figura. Il valore simbolico del mantello è di grande interesse e basterebbe conoscere un poco di storia di questo indumento nella realtà per capirne l’intensità: il mantello rosso come rimembranza dei senatori romani, l’attaccatura alle spalle come l’antico tabarro e soprattutto il mantello cremisi nella tradizione araldica quale simbolo di sovranità del re. Il mantello rosso in particolare, nelle monarchie europee, è proprio ai principi.

 

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V. Credibilità, misura e moralità nel corpo dell’eroe

L’eroe, come protagonista di una storia, deve possedere molte caratteristiche per essere tale e per distinguersi per un verso dal suo deuteragonista e per l’altro, e soprattutto, dal suo antagonista. In riferimento alla sua corporeità, nelle caratteristiche enucleate nei punti sovrastanti – dunque mi scuso per qualche ripetizione che si incontrerà – credo che le tre categorie centrali possano essere individuate nella credibilità, nella misura e nella moralità.

L’eroe deve avere un fisico credibile: adatto all’impegno fisico in termini di potenza, rapidità e resistenza, e visivamente atletico; ma un corpo che è bene sia misurato, non eccedente determinati canoni estetici che sono certamente variabili, ma entro certi limiti anche a distanza di molti secoli: ancor oggi i modelli della classicità greca sono in assoluto quelli a cui ci riferiamo come non plus ultra della bellezza e dell’armonia, laddove l’eccessivo accumulo di massa muscolare può produrre un effetto contrario, di mancanza della misura, di esibizionismo. Non è un caso che in molti miti originari ma anche moderni e contemporanei il protagonista, l’eroe, sia di stazza inferiore rispetto all’antagonista (umano, animale, mostro o alieno che sia). A livello fisico la moralità dell’eroe è comunicata dal fatto che il modo in cui si presenta, pur atletico, vibrante, potente, è misurato, moderato; la muscolatura non è esorbitante e non va oltre le regole di naturalezza di un armonioso sviluppo fisico.

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Inoltre va detto che la forza di Superman non scaturisce dall’esercizio fisico in sé ma, nella fantasia dei suoi autori, dalle radiazioni del Sole giallo della Terra. Dunque Superman non avrebbe particolare bisogno di sviluppare massa muscolare, se non fosse per il fatto che i suoi muscoli, se ben allenati e rinforzati, serberanno molta più forza in modo esponenziale, visti i suoi poteri. E in ogni caso una delle fonti d’ispirazione, non solo estetica, di Superman in riferimento al mito antico è certamente Eracle/Ercole, il cui fisico è in effetti massiccio ma sempre entro i margini dell’armonia classica: basti pensare a versioni celebri antiche, come l’Ercole Farnese copia di un originale in bronzo di Lisippo, o moderne, come l’Ercole e Lica di Antonio Canova. La credibilità di Superman allora sta nel suo riferirsi al mito classico della forza pura, quella di Eracle, indirizzata sempre a iniziative morali. (Beninteso: Eracle non sempre è uno stinco di santo ma nella vulgata, e per quel che ne possono sapere e capire gli americani ma anche molti europei che non si siano letti in modo più approfondito gli scritti sulle imprese degli eroi classici, egli rappresenta un eroe puro, cioè buono e giusto).

La categoria della misura non sembra far parte in modo costante della rappresentazione di Superman in termini corporei, dato che sia nel passato sia in molte versioni fumettistiche recenti il figlio di Krypton è raffigurato con tanti muscoli, spalle molto larghe, pettorali e dorsali molto sviluppati, collo quasi taurino. Questa è una tendenza che, detto proprio fuori dai denti, reputo dovuta a un problema psicologico dei disegnatori, perché lungi dal titillare le fantasie di potenza (applicate all’immagine di sé) dei lettori adolescenti, a mio avviso mostra enormi limiti rappresentativi e nella resa delle anatomie, nonché una qualche forma di immaturità su cui qualcun altro indagherà, prima o poi. E invece la misura diventa parte integrante dell’eroe, ivi incluso Superman, quando i disegnatori hanno un atteggiamento più oggettivo dal punto di vista della concezione delle anatomie e quando sono più dotati graficamente e anche intellettualmente. Soprattutto, oggi la misura è una categoria dell’essere del Superman fumettistico se e quando viene messa in relazione, o in un rapporto di diretta filiazione estetica, con il corpo del Superman cinematografico incarnato da Christopher Reeve, su cui è inevitabile ritornare. Reeve fu una sorta di angelo sceso dal cielo per gli addetti al casting della produzione del film di Richard Donner. Per come rende sullo schermo – sono solo l’ultimo a scriverlo, sto parlando di un concetto assai evidente – Reeve riunisce in sé tutti gli elementi che la produzione teoricamente voleva comunicare al pubblico, più alcuni che invece furono farina del sacco di Reeve, della sua sensibilità e della sua personale decency come persona prima ancora che come attore.

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Il concetto di decency in inglese può essere tradotto come «l’essere per bene», cioè l’essere una persona onesta, retta, generosa, morale. Ecco, Christopher Reeve/Clark Kent/Superman incarna oggi l’eroe decent, per bene, per antonomasia: nelle azioni, nelle attenzioni per gli altri, nella rettitudine. La sua moralità, chiara nelle sue imprese, ha nelle sembianze del suo corpo il contraltare estetico: il fisico di Reeve, allenato ma non tantissimo, muscoloso ma snello, definito ma non pelle e muscoli, è appunto misurato, è finanche garbato. È per questo che Superman/Reeve è il Superman in assoluto più credibile della storia del personaggio, in tutte le sue versioni mediatiche. È il Superman che, penso, chiunque vorrebbe esistesse, se ciò fosse possibile. Il celebre slogan You’ll believe a man can fly, con cui fu lanciato il film nel ’78, concentrava la sua comunicazione sulla sospensione dell’incredulità di fronte al concetto, visivamente espresso in pellicola, di un uomo volante, alludendo al realismo degli effetti speciali; ma forse sotto c’era qualcos’altro: gli spettatori passarono tutti in cavalleria la chiara assurdità del pianeta Terra che viene fatto ruotare al contrario generando un effetto rewind nel tempo, e non perché gli effetti speciali fossero ben fatti ma perché il pubblico desiderò che ciò potesse avvenire per consentire all’eroe di salvare la donna che amava. Vari commentatori hanno già scritto in più sedi che il Superman di Donner è primariamente una storia d’amore e ciò è vero, ma non è solo la storia della nascita dell’amore di un uomo maturo e morale per una donna esteticamente insipida (la grandezza psicologica ed emotiva di Superman sta anche qui: si innamora di una donna fisicamente «così così» perché sono altre le caratteristiche importanti che vi vede, come autodeterminazione, intelligenza, intraprendenza, senso dell’umorismo, dinamismo, indipendenza ecc.), è anche la storia d’amore fra un alieno e il suo mondo adottivo, con tutti i suoi singoli abitanti.

Al di là delle ipotesi di connotazione pseudo-messianica della figura di Superman, con le quali, come penso si sia capito, sono poco d’accordo (ma passiamoci sopra, non è importante qui), Superman ama effettivamente il suo mondo adottivo e tutti i suoi abitanti. Ancora una volta: credibilità, misura, moralità, in un corpo armonioso e garbato, in uno sguardo che manifesta dolcezza e che nelle sue espressioni è sempre la negazione di qualsiasi aggressività.

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È anche per questi motivi che così tanti che hanno scritto sul recente film L’Uomo d’Acciaio hanno disapprovato la caratterizzazione che gli autori del film hanno voluto imprimere a Superman, nonostante l’attore che lo impersona, Henry Cavill, abbia anch’egli un volto e delle espressioni che in molte scene manifestano grande decency. Cavill è stato fatto allenare in modo da assumere una corporatura fortemente massiccia, evidente un po’ dappertutto ma particolarmente perturbante, rispetto al modello del corpo di Reeve, nell’esagerato sviluppo dei muscoli gran dorsali, a causa dei quali Cavill si muove pesantemente, inelegantemente e con posture da culturista da spiaggia (le braccia lievemente aperte sopra la massa incomprimibile dei dorsali). Già in questo il Superman del regista Zack Snyder non è misurato. Inoltre le azioni compiute da Superman sono irresponsabili e distruttive al massimo grado: non gli importa nulla che lo scontro con i suoi antagonisti si svolga in centri abitati, non porta il confronto altrove. Urla, brontola, impreca. Alla fine uccide, addirittura. Le sue azioni sono alimentate da buone intenzioni, ma non sono morali negli effetti, in alcun modo. È per questo che a mio avviso questo «pseudo»-Superman non è credibile. Il suo corpo, in particolare, è perfino più scultoreo e potente di quello del suo avversario Zod, più vecchio, più snello, indubbiamente più elegante: la sua tuta nera è bellissima, laddove quella di Superman è vanitosa, piena di orpelli e sembra inzuppata nel petrolio.

 In definitiva, come ho cercato di proporre, le qualità che un eroe mostra fin dal suo apparire fisico non sono secondarie e in Superman sono assolutamente primarie. La mancanza di equilibrio fra tali qualità genera un problema evidente in versioni di Superman come quella di Zack Snyder o come in quelle ipertrofiche che ogni tanto ancora spuntano qua e là nella vasta produzione fumettistica sul personaggio. Il tentativo di distacco netto da un modello funzionante e illuminato, come quello del Superman/Reeve di Richard Donner, assume pertanto, io credo, i tratti dell’arroganza e della mancanza di rispetto nei confronti di milioni e milioni di persone che hanno sempre visto in Superman un esempio di comportamento morale e una figura atletica e rassicurante, ma fisicamente non aggressiva.

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