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"Il cuore ha più stanze di un casino" e il muffin di aringa sciocca con liquirizia e cedro candito per l'Mtchallenge 43

Da Lacucinadiqb

"sialodàtogesucrìsto". Maria si sorrise allo specchio. Un sorriso beffardo, comunque educato, stemperato dalle ombre grigie che si stavano mangiano i lati della superficie riflettente, come se volessero sostituire la cornice di legno sulla quale erano incastrate le poche foto che raccontavano la sua vita. "sialodàtogesucrìsto" Il saluto, ripetuto, entrò dalla porta della sua stanza, assieme ad un fruscio di stoffe pesanti e profumate. Non poteva essere il pastore, giunto fra le pecorelle smarrite, direttamente nel luogo dove queste amavano peccare. A lui piacevano le anime perdute dai capelli biondi e dalle unghie laccate di rosso e lo sguardo si pose nuovamente sulla sua immagine. Si, decisamente, di biondo non aveva proprio nulla. Altro sorriso ed un colpo di tosse. Caspita! Si stava dimenticando delle stoffe pesante e profumate! Si voltò, raccogliendo i capelli con le mani, un po' civetta mentre inclinava la testa per offrire un sorriso ed inquadrare il cliente che, ancora in piedi, non si era mosso dall'uscio.

Un ragazzo giovane, con la chioma ribelle messa a bada dalla brillantina, tormentava la falda del cappello con mani candide e nervose. Maria si alzò e il cliente si irrigidì ancora di più dentro al suo cappotto spinato di ottima fattura. Sapeva di colonia e gli abiti che indossava avevano portato nella sua stanza un profumo di pavimenti di legno lucidati a mano e di servizi da tè in argento. "Li' ti puoi spogliare" gli disse Maria indicando un paravento di ispirazione vagamente orientale, "e c'è anche il lavandino, il bidè e il sapone. Gli asciugamani sono puliti. E anche le lenzuola" aggiunse, come a voler rassicurare il ragazzo. "Sai Tesoro, la pulizia è una forma di virtù" concluse con un tono di voce che voleva accorciare le distanze. Il ragazzo annuì ma non si spostò di un millimetro. Una specie di statua di sale che sapeva di colonia. "Volevo dirti che il tempo passa" riprese Maria, come a voler puntare sull'aspetto economico del loro tacito accordo "e questo non è il posto più adatto per stare in piedi e vestito", anche se, da uno sguardo più attento dello strano cliente, l'aspetto economico non doveva essere per lui un problema. "Come ti chiami?" chiese Maria.  "Arturo", rispose il ragazzo con un filo di voce, mettendosi quasi sull'attenti ed aggiustandosi con la punta delle dita di quelle mani così delicate gli occhiali tondi che rendevano ancora più interessante un volto decisamente bello. "Hai idea di che cosa dovremo fare?" provocò Maria "Ecco...vagamente....." continuò con un filo di voce Arturo. "Signora, qual'è il suo nome?" Signora?! Da quanto tempo non veniva chiamata "Signora"! Improvvisamente si sentì ancora più vecchia dei suoi 27 anni. "Mi chiamo Maria, Arturo. Piacere." Allungò la mano, in un gesto improvviso e ne ricevette una stretta decisa e delicata. Arturo alzò lo sguardo e la ritirò. "Vuoi toglierti il cappotto? Sai, potrebbe aiutarti non avere tutti quei vestiti addosso." Arturo abbassò lo sguardo e silenziose lacrime iniziarono a rigargli le guance perfettamente sbarbate, congiungendosi tutte sull'angolo in cui la mascella si faceva squadrata e volitiva. "Io sono qui perché l'ha voluto mio Padre, Maria" confessò Arturo. "Dice che alla mia età bisognerebbe aver già iniziato a frequentare "Ca de Oro", perché finita l'università è già ora di pensare al matrimonio e con le donne bisogna saperci fare." disse Arturo, una parola dietro l'altra, senza fermarsi a prendere fiato. Maria capì al volo. "E cos'è che non ti piace di tutte queste cose che mi hai detto? Sposarti o essere qui? Forse l'università?". Arturo si sentì come scoperto. In pochi secondi la donna sconosciuta che l'aveva accolto in vestaglia e sottoveste aveva compreso ogni cosa. Aveva ragione: della sua vita non gli piaceva nulla. Non gli piaceva la facoltà di Legge, che l'avrebbe portato a divenire notaio, come suo padre e suo nonno. Non gli piaceva l'idea di sposarsi con Irene, la figlia del socio di suo padre, con il quale era cresciuto e che considerava vacua ed insulsa. Non gli piaceva essere in quella casa, la più rinomata di Treviso, con gli uomini che aspettavano il loro turno nei salottini e sui divani in velluto rosso, con i giovani piantoni che all'ingresso proteggevano la reputazione dei clienti e con il parroco che benediceva tutti a testa bassa.  Ma soprattutto non gli piacevano le donne. Mentre questi pensieri gli si palesavano in tutta la loro evidenza e ferocia, un fazzoletto che sapeva di buono e di bucato gli asciugò le lacrime. Gli sembrò un gesto di profonda intimità. Si tolse gli occhiali e guardò Maria, sorridendo appena, per ringraziarla. Ed incontrò due occhi che sorridevano divertiti. "Se vuoi apro le finestre", gli proposte la donna. Non era una cosa che si faceva visto che i casini erano luoghi dove si conservavano i segreti che tutto il paese sapeva ma, improvvisamente, aveva bisogno di aria e di luce. E ne aveva bisogno anche Arturo.  La luce di un marzo insolitamente mite inondò la camera, il letto in ferro battuto, le candide lenzuola di lino, il severo armadio di noce nazionale e il paravento, dal quale faceva capolino una calza ancora agganciata al reggicalze di seta nera. "Beh, che vogliamo fare?" fece Maria sedendosi sul letto, accennando a due salti, come una bimba in attesa di uscire a giocare. "Qualcosa a tuo padre dovrai pur raccontare" rifletté "e se non gli dirai le cose che vorrà sentire sono altri gli argomenti che dovrai affrontare. Lascia fare a me, del resto sono diplomata maestra e qualcosa ti insegnerò. Ora vai dietro al paravento e restaci!" Arturò obbedì mentre Maria suonava il campanello. Entrò una ragazzina con lo sguardo basso, le lentiggini ed i capelli rossi raccolti in due grosse trecce. "Il Signorino è venuto accompagnato dal padre che dovrebbe essere in uno dei salottini: riferiscigli che ha deciso di rimanere con me l'intero pomeriggio e poi vai a dirlo anche alla Signora, che si regoli con la marchetta da pagare." La ragazzina volò fuori dalla stanza, eccitata da quella strana novità, a riferire quanto le era stato ordinato. E Maria contava sull'effetto che la notizia avrebbe avuto sul padre di Arturo: "il suo pargolo che decideva di restare con la puttana per tutto il giorno! Appena entrato e già uomo fatto! Tutto suo padre non c'è che dire! Ava, portaci una bottiglia di quello buono! Qui c'è da festeggiare!" Maria sorrise alla donna che lo specchio stava riflettendo. "Forza" le disse "qui c'è da far uscire una farfalla dal suo bozzolo". Si avvicinò al paravento e silenziosamente attirò a sè Arturo. Gli tolse gli abiti, con lentezza, mentre dalla finestra la luce del pomeriggio inoltrato dorava la carta da parati ed i quadri di pittori sconosciuti. Lo fece stendere sul letto e delicatamente lo accarezzò, ogni singola parte del suo corpo. Sotto i tocchi delle sue dita la pelle candida, appena velata da una peluria scura, si tendeva in brividi, un misto di paura e piacere, di imbarazzo e desiderio che lo avvolse e lo rasserenò. Chiuse gli occhi e si lasciò andare. "Fatti sempre toccare così" gli sussurrò Maria "con amore e rispetto. E non smettere di essere curioso e giocoso con l'uomo che ami." Arturo si alzò, all'improvviso, e si sentì molto più nudo di quanto non lo fosse nella realtà.   "E sarebbe bello me lo facessi conoscere, un giorno, in un'altra città, quando mi sposteranno da qui. Ma fino ad allora sarai tu a dover imparare a conoscerti, a scoprirti, ad amarti." Sotto la regia della donna il pomeriggio divenne sera. Arturo si sciolse raccontando dell'uomo che amava in segreto, della fatica di vivere un sentimento che ai più faceva ribrezzo, del desiderio di condividere sospiri e progetti, lontano da tutto e da tutti. "Accadrà." gli disse Maria congedandolo, "Le porte non sono fatte per essere chiuse. Accogli l'amore e il dolore ed abbandona le tue paure nel guardaroba della vita, come un vecchio cappotto consunto. Sai una cosa? Il cuore ha più stanze di un casino." L'ispirazione  è un libro che mi fu regalato dai ragazzi dello Sherwood Festival, quando in un mese cucinammo per Don Gallo ed i Baustelle, per i Gogol Bordello e Stefano Bollani, in un mix incredibile di saperi e sapori, "La cucina impudica. Le ricette segrete di una donna di mondo rivelate a chi intenda diventarlo" edito dalla casa editrice Derive-Approdi. E poi io ci ho messo il resto. Gli ingredienti di questo muffin, preparato per la sfida 43 dell'Mtchallenge lanciata da Francesca, invece sono una miscela di nuovo e di antico, di oriente ed occidente: un mix curioso e tollerante. Come dovrebbe essere la vita. Come dovrebbe essere la cucina. Ah, e Ca' de Oro e Maria Orbeta (in quanto leggermente strabica), in quel di Treviso, sono davvero esistite ;)
Muffin di aringa sciocca con liquirizia e cedro candito
Ingredienti 150 g di Petra 5 150 g di farina di tipo 2 1 cucchiaino di sale fino 1 cucchiaino di pepe nero di Sarawak 10 g di polvere di liquirizia 10 g ras el hanout 8 g di lievito in polvere per salati 4 g di bicarbonato di ammonio 200 g di aringa sciocca 2 cucchiai di capperi dissalati 2 cucchiai di cedro candito 200 g di kefir 80 g di burro 2 uova bio
Per la salsa di accompagnamento: yogurt bianco, senape di digione, aneto, fior di cappero.
Procedimento Accendere il forno a 200° e disporre i pirottini dentro degli stampini in porcellana. Frullare l'aringa, tagliare in piccola dadolata il cedro, sciogliere il burro. In una ciotola unire le farine setacciate con il lievito, il bicarbonato di ammonio, le spezie. In una ciotola sbattere le uova, unire il kefir e il burro, la polpa di aringa, i capperi ed il cedro, regolare di sale. Versare il composto liquido nella ciotola delle polveri, mescolare pochissimo, dividere il composto con un porzionatore per gelati, riempendo i pirottini per i 2/3 e cucinare nel forno già caldo, abbassando a 190° per 20-25' circa. Sfornare, sformare e servire con la salsa preparata mescolando secondo il proprio gusto yogurt bianco con senape di Digione, qualche rametto di aneto tritato e qualche fior di cappero a decorazione.

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