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Il delitto del DAMS

Creato il 25 gennaio 2014 da Lundici @lundici_it
Francesca Alinovi all'inizio degli anni '80.Francesca Alinovi, la vittima. Affascinante, un po' dark, ben introdotta nel mondo dell'arte.

Francesca Alinovi, la vittima. Affascinante, un po’ dark, ben introdotta nel mondo dell’arte.

Giugno 1983, c’è un clima strano in giro. I governi italiani sono sempre ballerini, e fin qui nessuna novità, il terrorismo non è ancora debellato e la mafia ha ucciso il generale Dalla Chiesa con moglie e guardia del corpo (una sola) l’anno prima.

Innanzitutto, cos’è il DAMS ? E’ il dipartimento di lettere relativo alla specializzazione musica, arti e spettacolo, fortemente voluto dal semiologo Umberto Eco, a Bologna, studiato sul modello della U.C.L.A di Los Angeles. All’inizio attira molti studenti, ma, obietterà per esempio Roberta Manfredi (figlia del celebre Nino), che aveva provato a frequentarlo, era un posto da cui “tenersi alla larga”. Perché?

Nulla di strano: il contesto, secondo molti, risente ancora degli anni settanta, l’impostazione è libertaria, girano tipi eccentrici, molta droga, poca disciplina, occupazioni facili, non sembra un sito adatto a chi voglia davvero studiare, ad acquisire una laurea “seria”. Tuttora, sul sito della facoltà viene dichiarato esplicitamente che lo sbocco professionale è praticamente equiparabile a quello delle lauree umanistiche, cioè vicino allo zero, e la frequentazione è desiderabile solo per motivi da pescare nell’amore infinito e disinteressato, tipicamente italiano, per la cultura.

Francesca Alinovi, nata a Piacenza nel 1948, era una critica d’arte, nonchè una docente fuori dalle righe, almeno per i canoni tradizionali. Bella, di aspetto dark che poteva fare scena ma apparire anche inquietante (esiste una sua foto con Basquiat), frequentava la Grande Mela, dove appoggiava la corrente pittorica enfatista, che desiderava lanciare anche in Italia. Viveva nel centro storico di Bologna e frequentava ambienti disparati e poco allineati, personaggi rimasti misteriosi, come un certo “turco”, che qualcuno vorrebbe semplicemente essere stato il suo pusher preferito, mentre altri indicheranno come suo possibile assassino.

Siccome però il suo diario, e i suoi amici, parlavano di Francesco, quando la donna fu trovata assassinata a coltellate nel suo appartamento, il 15 di giugno 1983 appunto, gli inquirenti andranno subito a cercarlo. Cognome, Ciancabilla, originario dell’Abruzzo, era intimo della prof, suo pupillo come pittore di belle speranze.

Francesco Ciancabilla, l'assassino che si è sempre dichiarato innocente.

Francesco Ciancabilla, l’assassino che si è sempre dichiarato innocente.

Lei ne era invaghita, ma pare che non fosse mai riuscita a concretizzare un rapporto intimo con il giovane allievo. Molti riferirono che la donna non apriva a sconosciuti ed era solita affacciarsi alla finestra per vedere prima chi suonava al citofono, quindi il colpevole doveva essere stato qualcuno della sua cerchia. Apparve strano che non si fossero sentiti rumori o notati strani movimenti, poichè in via del Riccio, teatro del crimine, le abitazioni sono molto ravvicinate e le finestre erano aperte per il caldo, ma non si trovò nessuno che avesse un minimo contributo da offrire in veste di testimone oculare o almeno “auricolare”, vista l’efferatezza dell’atto, che non doveva essere durato poco. Sullo specchio di una finestra, si rinvenne una strana scritta “Your’ not alone, any way”, (la forma corretta è: “You’re not alone anyway”) che amici, ospiti giorni avanti della casa, sostennero non aver notato. In realtà era opera di un altro conoscente della vittima, il cui alibi lo fece uscire subito dall’indagine.

Non fu la sola morte violenta a Bologna, in quel periodo, e si parlò subito di un mostro, ipotesi nel tempo tramontata come le speranze di risolvere i casi, tranne questo. O meglio, la giustizia italiana credette di inchiodare Francesco Ciancabilla, per una serie di ragioni, a sentir le quali oggi coglie molta stanchezza. Anche se non esistevano RIS e analisi sofisticate del DNA, si ricorse per esempio all’orologio della Alinovi, bloccato su un orario preciso, ma poiché lo recuperarono dai parenti che se l’erano nel frattempo ripreso, pare che non fosse una gran prova per ricostruire il momento del delitto.

Restavano l’alibi traballante del giovane artista, l’ambiente un po’ lisergico dei due, e anche la modalità dell’omicidio: un solo colpo mortale, e gli altri, sulla parte destra del corpo, inferti quasi con mollezza, tanto che si pensò a un gioco erotico finito male tra due persone che, pur nella gaudente Bologna e in ambiente artistico, proprio stabili non sembravano, in base a criteri borghesi…


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