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Il denaro: l'equivalente generale

Creato il 14 ottobre 2010 da Bruno Corino @CorinoBruno

Il denaro: l'equivalente generale
Nel Trattato di storia delle religioni, Mircea Eliade, parlando della struttura del sacro, scrive: «L’“alto” è una categoria inaccessibile all’uomo in quanto tale, appartiene di diritto alle forze e agli esseri sovraumani; colui che s’innalza salendo cerimonialmente al Cielo, cessa di essere un uomo; le anime dei morti privilegiati, nella loro ascensione celeste, hanno abbandonato la condizione umana». Più gli esseri sono collocati in alto più sono pieni di sacralità. L’altezza, come scrive, Eliade è la “proprietà” principale dell’essere, dalla quale discendono poi tutte le altre: la trascendenza, la potenza, l’immutabilità, l’inaccessibilità, e la stessa sacralità. Il criterio dell’altezza per definire la gerarchia dell’essere, per quanto possa sembrare estrinseco, in realtà è presente in ogni cultura. La loro distinzione è dovuta a una qualità o a una proprietà inerente al loro essere che li differenzia l’uno dall’altro. Tale criterio, tuttavia, è sempre relativo al suo opposto. Non possiamo definire qualcosa come alto senza riferirlo al concetto di basso.

Quando scendiamo dalla dimensione del sacro a quella profana, cioè alla dimensione quotidiana, ritroviamo che tutte le cose, nonché i rapporti interumani, le loro reciproche relazioni, sono caratterizzate da proprietà specifiche. Tali qualità/proprietà, inerenti alle cose e alle relazioni, sono proprie quelle che le differenziano le une dalle altre. Anche nella sfera “profana”, le cose e le relazioni assumano un determinato valore in rapporto alla sfera del sacro: tutto ciò che partecipa o non partecipa all’ordine del sacro viene gerarchicamente posto su un piano superiore/inferiore. Ciò vuol dire che anche quando ci caliamo nella realtà profana possiamo distribuire le cose su un asse gerarchico, posizionato verticalmente, perché sappiamo che ciascuna cosa ha in sé una o più proprietà che la rende differente dall’altra. Se, per ipotesi, da ciascuna cosa fosse eliminata la sua qualità intrinseca, allora non potremmo più predisporla in un ordine gerarchico, ma dovremmo predisporla su un asse orizzontale.

Ebbene, il primo, in ordine di tempo, fenomeno che ha eliminato dall’essere delle cose la loro qualità intrinseca è stato l’introduzione e la diffusione dell’economia monetaria. Come ha messo bene in evidenza Georg Simmel, nella Filosofia del denaro, l’introduzione della moneta, come valore di scambio in astratto, ha declassato ogni aspetto individuale dell’essere, rendendolo un elemento generale comune. Il denaro ha sostituito ogni qualità intrinseca alla cosa con una misura di ordine puramente quantitativo. In altri termini, il valore della cosa non è più determinato dalla sua proprietà intrinseca, ma dalla quantità di denaro che occorre per comprarla. Il denaro diventa l’equivalente generale per tutti i molteplici oggetti, e ha il potere di “svuotarli” del loro nocciolo, della loro individualità, del loro valore specifico e del loro essere incomparabili o incommensurabili.

Allo stesso tempo, Simmel valuta un effetto importante provocato dalla diffusa espansione dell’economia monetaria: «Quanto più la vita della società risulta dominata dai rapporti monetari, tanto più efficacemente il carattere relativistico dell’essere si imprime a livello di consapevolezza» (Filosofia del denaro, p. 718). Disponendo l’essere delle cose su un piano puramente quantitativo, viene più facile calcolarne il valore. Ed è proprio la facilità e la velocità del calcolo a relativizzare il loro essere: infatti, in virtù di rapporti puramente quantitativi, tutte le cose possono essere comparate e tradotte simultaneamente in termini monetari. L’eccesso di comparazione, inevitabile in un’economia monetaria, togliendo alle cose la loro intrinseca specificità, accelera il carattere relativistico dell’essere.

Per tornare alle nostre considerazioni sull’axis mundi, è come se la diffusione dell’economia monetaria avesse avuto il potere di spogliare questo asse verticale di tutte le sue qualità, e di ridurlo a un rapporto puramente quantitativo. Tuttavia, la verticalità è salva! La gerarchia viene decisa in termini quantitativi. Anche all’interno di una azienda si può misurare il valore di un operaio o di un dirigente sulla base della busta paga! Così all’interno di un notiziario, il “valore notizia” di un evento si misura sulla sua distanza (vicinanza/lontananza), sul numero delle vittime, sul valore economico del danno, nonché sul valore del ritorno pubblicitario. Così, all’interno di un programma scolastico, il valore di una materia si misura sul numero delle ore che le sono assegnate. Si dirà: in realtà è il valore che s’attribuisce alla cosa, all’evento o al soggetto ad assegnargli una determinata importanza, tradotta anche in termini monetari. Sta di fatto che se un operaio e un dirigente prendessero lo stesso stipendio, pur svolgendo funzioni diverse, sarebbero di fatto messi sullo stesso piano. O meglio, se così non fosse, significherebbe che il valore viene assegnato da qualche altro fattore di ordine extraeconomico. Insomma, se si ragionasse in questi termini, che qualcosa costa di più perché vale di più, si tornerebbe indietro a un pensiero premoderno, quando appunto si credeva che le cose valessero perché avevano delle proprietà intrinseche uniche ed irripetibile. Già, perché l’economia monetaria ha avuto il merito di svelare l’arcano dell’essere: le cose hanno un valore non perché in sé hanno delle proprietà specifiche, bensì perché sono relate.


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