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Il Destino di Scarlett - L'anniversario della Saga - La Stella di Giada - Il nipote di Taylor Ferd I -

Creato il 24 dicembre 2014 da Stefaniabernardo
PARTE 1

Il nipote di Taylor Ferd

*1* Arabelle Jacobson era consapevole di avere tutti gli occhi puntati su di lei. Il suo nuovo vestito azzurro faceva risaltare la pelle bianca e i capelli neri come la notte. Gli occhi, piccoli ma seducenti, saettavano da un invitato all'altro. La bocca carnosa si schiudeva in sorrisi cordiali, la mano delicata agitava il ventaglio.Nessuno guardandola avrebbe potuto intuire la sua agitazione interiore. Lei era splendida come sempre, nonostante fosse ad un passo dallo svenire.Il tempo passava e lui ancora non era entrato nel salone. Sapeva che non era di servizio, non quella mattina. Durante l'impiccagione lui le aveva rivolto il solito sguardo, il che significava che presto si sarebbero visti, ma nulla.Mentre continuava a scrutare il salone di casa sua, le caddero gli occhi sul vice ammiraglio, suo marito, Harrison Duncshire. Era un uomo di cinquantasei anni, con un naso sporgente che lo faceva sembrare un avvoltoio e gli occhi di un azzurro quasi trasparente. Era alto, ma grasso, tanto che sembrava avesse ingoiato una botte. Tuttavia aveva un certo fascino nei modi e soprattutto il suo cognome era preceduto dal titolo di conte, cosa che faceva sparire agli occhi di chiunque tutti i suoi difetti. In realtà, Arabelle avrebbe dovuto sposare il figlio venticinquenne di Harrison, Lexinton, ma era morto di malaria e il padre ne aveva preso prontamente il posto.Arabelle distolse lo sguardo dal marito, intento a parlare con una giovane donna, e lo fissò sulla porta.I colpi del ventaglio aumentarono.L'amore era qualcosa di tremendo.Sussultò al tocco di una mano sulla sua spalla. Emise perfino un gridolino, soffocato immediatamente. Si girò con il sorriso di una donna innamorata, stupita di essersi fatta prendere alla sprovvista dall'uomo che tanto aveva atteso.Il sorriso andò sprecato.«Signor Hatwood, non vi avevo visto» disse, dopo essersi concessa solo un sospiro di delusione. «Volevo solo porgervi i miei saluti» rispose l'uomo, in tono gentile.George Hatwood era il nipote di Taylor Ferd, il mercante e armatore più ricco e famoso di Fort Law. Era giunto da Londra solo alcune settimane prima, dopo aver perso la madre e aver deciso di far fortuna insieme al suo lontano zio, che non aveva mai visto prima.Le donne di Fort Law avevano guadagnato così un altro affascinante gentiluomo. Alto, con spalle larghe e fisico muscoloso, un viso dai lineamenti dolci, due occhi profondi e verdi, modi gentili, voce suadente.Se il cuore di Arabelle non fosse già stato occupato, il giovane George avrebbe potuto riempirlo.«Vi ha impressionato lo spettacolo di stamattina?» chiese Arabelle, mentre faceva frusciare la sua preziosa gonna e si andava a sedere su un divano.«Certo che no. Vengo da Londra e mi è capitato spesso di vedere delle impiccagioni sul molo delle esecuzioni o a Tyburn».«Sarei curiosa di vedere Londra».«Si dice che presto sarete accontentata». «Non c'è ancora nulla di sicuro, il conte, mio padre ed io stiamo ancora aspett...» Arabelle si bloccò di colpo, il ventaglio a mezz'aria, gli occhi fissi su Mike Orgell.Sospirò di sollievo, finalmente era arrivato, ma il sollievo era accompagnato anche da una punta di fastidio. “Perché diavolo è accompagnato da Kate Lowels?" si chiese, poi notando lo sguardo interrogativo di George Hatwood su di lei ed essendosi dimenticata quello di cui stavano parlando, sbatté le palpebre in modo seducente e con aria al contempo dolce e dispiaciuta: «Vogliate scusarmi, caro George, vado a vedere come sta mio marito». Scusa perfetta. Mike si era appena fermato a qualche passo di distanza dal conte.Il giardino di casa Jacobson era un piccolo angolo di paradiso. Le palme offrivano un riparo dalla canicola e dal sole, i fiori erano composizioni colorate che rallegravano la vista, e si poteva dominare l'intero golfo della città. Si poteva ammirare il porto con le navi all'ormeggio, le due grandi scalinate che portavano sulla piazza bianca, le case che si snodavano verso l'entroterra. Si poteva osservare quanto fosse possente il forte di Gun Hill, che sorgeva proprio di fronte a Law Hill. Infine, voltando la testa, c'era la vasta distesa azzurra del mare che finiva a confondersi con l'azzurro del cielo sulla linea dell'orizzonte.Mike ogni volta ne rimaneva estasiato. Rimase alcuni istanti a godersi quel panorama, poi, si allontanò a piccoli passi, parlando una volta con un suo superiore, una volta con una signora che conosceva solo di vista, infine, prese la via del piccolo boschetto di palme, come un uomo desideroso di godersi un po' di ombra.Non ci volle molto prima che una mano bianca lo tirasse verso di sé.«Perché sei con lei?»La voce aspra e il volto imbronciato di Arabelle lo colsero alla sprovvista. «Ma... Ara... che...» balbettò.«Non fare lo stupido».«Ah, intendi Kate?»Arabelle incrociò le braccia e regalò all'amante uno sguardo di fuoco. «Abbi pazienza Ara, è la mia promessa sposa. Sapevi perfettamente che prima o poi ci saremmo fidanzati ufficialmente» rispose lui, in tono triste.Lei prese a mordicchiarsi un dito. «Fra quanto il...» non riuscì a pronunciare la parola.«C'è tempo. Si parla di mesi. Prima la mia promozione a tenente» rispose Mike, con un sorriso, sperando che la notizia potesse rallegrare la sua bella.«E se nel frattempo Harrison morisse?»La domanda fece boccheggiare Mike. «Che diavolo stai dicendo? »«Guardiamo in faccia la realtà: è vecchio. Ha la gotta e l’idropsia. Almeno una volta al mese gli viene la febbre e se… di notte, durante…»Mike la bloccò sapendo cosa stava per dire. «Sì, ho capito cosa intendi».«E poi mio padre mi ha detto che se rimanessi vedova potrei sposare chi voglio».Un guizzo di desiderio balenò nei due piccoli occhi neri di Arabelle e Mike non poté resistere, l'afferrò alla vita e la baciò.Poi fece un sospiro e si sedette ai piedi di una palma. «Hai ragione, ma non puoi sapere quando succederà. Potrebbe essere domani o potrebbe essere fra qualche anno. E cosa dovrei fare io? Farmi diseredare dalla mia famiglia nell'attesa che tu sia libera?»Arabelle si chinò su di lui e gli accarezzò i capelli castani, poi lo baciò teneramente su una guancia. «Chissà, forse sarà davvero domani» disse in tono dolce. Troppo dolce per una donna che stava augurando la morte a suo marito.Mike le afferrò la mano. «Ma se così non sarà, io ti amerò comunque per sempre. Non fa differenza essere sposati o no. Non fa alcuna differenza».Dei passi in lontananza fecero balzare in piedi Arabelle che prima di andare via fece correre le sue dita sulle labbra di lui, ringraziamento fugace per una promessa di amore eterno. Poi corse fuori dal boschetto e lui rimase a guardare l'orlo della sua gonna azzurra sparire oltre le palme.George Hatwood a stento trattenne uno sbadiglio. Era stanco. Prima l'impiccagione, poi la colazione a casa Jacobson, poi tutti i saluti e le chiacchiere con questo e quello, poi tutte le leccornie a cui fare onore e il vino da assaporare.Era da poco passato mezzogiorno e già aveva sonno. Non che si lamentasse, la vita agiata aveva i suoi privilegi, ma era anche faticosa.Salutò l'ennesimo ufficiale della Royal Navy, mentre cercava un posto per starsene un attimo in tranquillità. Uscì dal salone, prese il corridoio, infilò una porta e si ritrovò nella biblioteca di casa.Nessuno in vista. Si addentrò fra gli scaffali per vedere quali letture fossero apprezzate da un eroe conclamato come Jacobson, quando sentì dei rumori. Si rese subito conto che provenivano da una porta che si apriva nella biblioteca sul lato destro e di cui non si era reso conto inizialmente, dato che era stretta e nascosta fra due scaffali di libri.Si avvicinò. La porta era socchiusa, ma dallo spiraglio riuscì a vedere la figura di un uomo corpulento, intento ad amoreggiare con una ragazza. Di lei poté vedere solo una ciocca di lunghi ricci castani.Sorrise, convinto di aver colto in flagrante uno degli invitati che se la spassava con qualche domestica, ma la donna emetteva gemiti che non sembravano quelli tipici provocati dal piacere. Sembravano grida soffocate.Non era del tutto convinto che fosse un'ottima idea quella di intromettersi in faccende che non lo riguardavano, ma ci fu l'ennesimo gridolino e stavolta poté cogliere un "aiut..." smorzato da un rumore, quello di uno schiaffo, seguito per altro da una serie di nominativi, non molto carini da rivolgere ad una donna consenziente.Così si decise. Per prima cosa aprì la porta e questa cigolò sui cardini, distraendo l'uomo dal suo intento. Il conte Harrison si voltò di scatto: la parrucca di sbieco sulla testa, così che si poteva vedere il suo cranio spelacchiato e macchiato, le brache mezze calate, gli occhi simili a quelli di un merluzzo appena pescato.Hatwood si portò una mano alla bocca, si stampò sulla faccia un'espressione di sorpresa e dispiacere, e fece finta di richiudere la porta. «Oh, signor conte, davvero… scusatemi, non avevo idea... mi sono perso, sapete sono nuovo... non temete, non ho visto nulla...»Il conte si riebbe dallo spavento. Si risistemò le braghe, raddrizzò la parrucca, sorrise affabilmente. «Oh, non vi preoccupate. Io e la ragazza stavamo solo giocando» disse in tono bonario. «Non è vero?» La ragazza a cui era stata rivolta la domanda sembrava essere di parere contrario. Con la gonna sollevata fin oltre la testa, era prona sul tavolo, con già la biancheria mezza strappata. Resasi conto che era libera, con uno scatto veloce si rimise in piedi; una massa di ricci castani con riflessi ramati e biondi ondeggiò a quel movimento. Ancora più velocemente si sistemò biancheria e gonna, raccolse la cuffia che era cascata per terra e si racconciò i capelli come meglio poteva.Hatwood rimase senza fiato. Era alta e snella, con le curve perfette. Aveva una pelle luminosa, ancora più bianca di quella di Arabelle. Zigomi alti e labbra sottili ma sensuali e poi gli occhi... erano grandi, allungati in una forma quasi esotica e di un colore intenso e caldo: due gioielli di ambra.Ma erano anche due occhi che in quel momento stavano guardando con odio profondo il conte Harrison. Due occhi asciutti senza la traccia di una lacrima, cosa insolita per una ragazza che aveva subito un tentativo di violenza. Finì di lisciarsi la piega del grembiule e nel farlo le sue labbra si schiusero in un ghigno di sprezzo e sfida. «Certo conte, stavamo solo giocando. Per caso volete prestare la bambola anche al vostro amico?» La voce era calma, il tono misto fra la freddezza e l'ironia.«Se non vi spiace, signor Hatwood, io torno da mia moglie. E non fate quella faccia perplessa, siamo uomini, no?» Il conte fece l'occhiolino, poi diede un ultimo sguardo lascivo alla ragazza e una pacca sulla spalla a George. «Posso contare sulla vostra discrezione?» Un sorriso per celare la vena di minaccia nella voce.«Ma è ovvio, signor conte, ci mancherebbe altro».Una volta che Harrison fu uscito, George ritornò sulla ragazza che ora era intenta a rimettere in ordine il piccolo studio, scombussolato dalla lussuria del conte.Poté notare l'impronta di cinque dita sulla parte inferiore del suo viso, una piccola goccia di sangue sull'angolo destro delle labbra.«Avete bisogno di qualcosa? Vi porto dell'acqua?» le chiese.La ragazza si fermò e si girò a guardarlo. Gli occhi ambrati lo stavano fulminando con la stessa ira che aveva usato per il conte. «No, grazie. Andate pure a divertirvi di là». Fece un passo verso la porta. «E siate discreto, mi raccomando». L'ironia di quella frase finì George, che rimase paralizzato nel piccolo studio, colpito da quella ragazza che aveva dimostrato una dignità e un orgoglio decisamente fuori dal comune.

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