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Il dialogo come riconciliazione cosmica

Da Agueci

Principi e metodi fondamentali per una corretta comunicazione

La chiave di volta (presso gli Etruschi e, poi, nell’architettura romana era una pietra lavorata che, a forma di cuneo, chiudeva, al vertice, un arco o una volta, ed era indispensabile per scaricare il peso, retto dall’arco, sui pilastri laterali) del vivere cosmico, sociale, lavorativo, relazionale, esistenziale è il dialogo. In senso figurato è l’”elemento centrale o portante di qualcosa, attorno al quale ruota un sistema, una dottrina, una scuola, una serie di eventi”. Serve a scaricare peso, tensioni, forze su “pilastri” dell’esistenza umana.

Fin dalla nascita, ci ricorda il Concilio Vaticano II che elabora una lunga serie di motivi, “l’uomo è invitato al dialogo con Dio”[1] anche se molti uomini rigettano questo legame profondo con Lui, ponendosi al di fuori o contro questa verità-bisogno.

Com’è indispensabile il dialogo con Dio lo è quello fra gli uomini. Esso, in qualsiasi epoca storica e in qualunque civiltà, esprime fraternità, è espressione di pace, di aiuto vicendevole, di amore. Attraverso il dialogo si promuove “la mutua stima, rispetto e concordia, riconoscendo ogni legittima diversità”[2]. L’AA ci dà le linee guida di come dialogare con gli altri: “prevenendoli con prudenza e gentilezza” e con senso di «solidarietà»[3].

L’uomo, il credente in particolare, è chiamato a dialogare con il mondo e con tutta la creazione, come in un’osmosi che avvolge simbioticamente tutto. S. Francesco d’Assisi, definito “l’uomo del dialogo”, è colui che ha sperimentato con la vita e le parole come bisogna tenere in debita considerazione tutto ciò che ci circonda, perché mezzo di unità e di lode: «La strada che Francesco ha percorso – scrive Giovanni Spagnolo – per essere uomo del dialogo è stata quella della povertà, della kenosi (svuotamento), annullando le sorgenti dell’aggressività, baciando il lebbroso, chiamando fratelli il lupo, i ladroni e perfino la morte, frutto dell’irradiazione di una coscienza pacificata, di un atteggiamento di non violenza permanente e di una pace “politica”»[4]. Francesco vuole riconciliare le differenze di ogni tipo: etniche, culturali, religiose. Così fa nel rapporto con l’Islam e con il sultano: egli non vuole convertire ma testimoniare.

Il dialogo, per essere efficace, deve essere favorito, alimentato continuamente, supportato in tutte le situazioni della vita, perché è solo da esso che si ricava armonia e si alimenta l’amore e la convivialità tra i popoli.

Per raggiungere questi obiettivi sono necessarie una predisposizione all’ascolto, al rispetto dell’altro per capire che il mio pensiero vale (forse) tanto quanto quello dell’altro, che le mie scelte iniziano dove finiscono quelle dell’altro, anche se “io” «Posso non essere  d’accordo con le tue opinioni – dice la scrittrice Evelyn Beatrice Hall in un aforisma attribuito a Voltaire -, ma sono disposto a morire pur di difendere la tua libertà di esprimerle».

Ciò implica competenza sul valore del dialogo, conoscenza dell’altro, della propria psiche e di tutti quei meccanismi che sottendono a ogni essere umano, considerando che ogni individuo è unico nel suo genere e divenire. Sapere decodificare il messaggio dell’altro è essenziale per capire quello che mi sta dicendo o vorrebbe dire. L’ignoranza, anzi la presunzione,  non facilita mai il dialogo. Quante volte c’è capitato, al primo impatto con una persona che, nonostante l’antipatia istintiva, alla fine del dialogo, ne siamo usciti arricchiti di valori umani e cristiani! Anche la competenza sul vero significato e valore dei beni temporali aiuta gli esseri umani a un dialogo più equilibrato e fa smontare da posizioni granitiche. Questa tecnica è basilare per ogni tipologia di dialogo: politico, economico, pedagogico, spirituale…

È fondamentale, per una corretta metodologia, che si tenga presente: che la comunicazione sia incentrata sull’Altro e sulla relazione, che la ricerca della “verità” non sia pregiudiziale, che ci sia una certa disponibilità e apertura al cambiamento, che ci sia parità di potere tra gli interlocutori e che si mettano da parte le barriere preconcette.

Perché il dialogo sia efficace, bisogna che si abbiano dei contenuti da trasmettere e che sia chiaro: «Dite “sì” quando è “sì” – dice Gesù - e “no” quando è “no”»[5]. Occorre anche che sia comprensibile in tutte le forme di comunicazioni: suoni, colori, parole e immagini, silenzio. Si sappia anche che la lingua comprende un gran numero di linguaggi e questi precedono la parola. Ogni linguaggio, a sua volta, a seconda delle attività dell’uomo,  ha i suoi segni e una terminologia propria.

La chiave della comunicazione dialogica rimane però l’umiltà e l’amore. Senza queste virtù non può esserci vera comprensione. Se un individuo ostenta superbia e alterigia, già la comunicazione è nulla in partenza. L’umiltà e l’amore sono invece disarmanti e producono frutti, non fosse altro per capire le motivazioni del perché l’interlocutore ha operato e pensato in un modo piuttosto che in un altro. Amava dire S. Francesco di Sales, vescovo di Ginevra, che “si prendono più mosche con una goccia di miele che non con un barile di aceto”.

SALVATORE AGUECI


[1] GS 19.

[2] Ib. 92.

[3] AA 14.

[4] Giovanni Spagnolo, Pensieri su Francesco, Editrice Velar, Gorle (BG), 2003, p. 85.

[5] Mt. 5, 37.


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