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Il dio Epicuro

Creato il 23 agosto 2013 da Albix

Il dio Epicuro

Da tempo immemore l’uomo va cercando le ragioni della sua esistenza e delle sofferenze ad essa connesse.

Nel  quinto libro del suo capolavoro “De Rerum Natura” Lucrezio elogia Epicuro per il suo sforzo di eliminare la religione dalla vita di ogni uomo (e con essa forse anche le sofferenze).

Quando ero giovane ero convinto che la religione fosse uno strumento in mano dei preti per controllare e condizionare la vita e la mente del popolo;  esattamente ciò che Epicuro sosteneva sin dal III Millennio a.C. con le sue teorie, poi riprese da Lucrezio in “De Rerum Natura”.

Secondo queste teorie l’uomo deve perseguire la sua felicità prescindendo da qualsiasi religione, fede o dio;  e ciò egli deve fare innanzitutto vincendo la paura della morte; d’altronde, chiosava il pensatore greco, la morte non ci riguarda: quando siamo in vita, essa non c’è; quando essa c’è (e cioè noi saremo morti) non ci renderemo conto di esserlo.

Dalla paura della morte, secondo Epicuro, dipendono tutti i nostri condizionamenti.

Secondo Epicuro Dio non esiste affatto.

Poi, in età più avanzata, ho incontrato la fede nell’Unico Dio;  e l’ho trovata attraverso le parole, l’esempio, gli insegnamenti di suo figlio, Gesù Cristo, che discese in terra nei panni di un uomo il cui ricordo ancora commuove e fa riflettere le genti.

Lo so che la mia fede non è una risposta razionale ai pensatori come Epicuro e come Lucrezio; la fede è una ricerca di ragioni: le ragioni per cui vivere, i motivi delle nostre sofferenze, i perché di tante cose;

D’altro canto, se è vero come vero che  Epicuro e tanti altri filosofi greci possono essere considerati degli illuministi ante litteram, allora le risposte alle loro profonde riflessioni le hanno date tanti teologi prima e meglio di me (ma qui non è certo la sede adatta per affrontare simili, ardui ragionamenti).

E neppure voglio diminuire la grandezza del loro pensiero: ho profondo rispetto per i loro sforzi, le loro teorie, gli sforzi intellettuali da loro affrontati per dare delle risposte ai dubbi del pensiero umano; soltanto che non posso condividerli alla luce di Dio.

Non va neppure sottaciuto che probabilmente il pensiero occidentale non avrebbe raggiunto le vette alle quali è pervenuto, ivi compresa quella di accettare la presenza di Dio, senza doverGli attribuire necessariamente le nefandezze dell’umano umano (guerre, egoismo, sfruttamento, inquinamento e quant’altro), senza il grande pensiero dei pensatori  della cultura greco-romana.

Angelo Ruggeri, un brillante studioso dei testi classici, ed in particolare degli autori latini ed italiani, nella sua analisi del pensiero di Lucrezio,  sottolinea l’inutilità delle teorie di Epicuro con riguardo alle sofferenze che l’uomo, in quanto tale, è condannato a patire (sia che creda in Dio, sia che non ci creda).

Come scrive acutamente lo stesso  scrittore Angelo Ruggeri: “ In realtà quasi tutti vorrebbero vivere come Epicuro consiglia perché i suoi precetti sembrano condurre alla felicità, però non lo fanno in primo luogo perché la vita presenta mille difficoltà e mille  dolori che non è nei poteri dell’individuo evitare. Sulla paura delle morte che Epicuro pretende di allontanare col semplice ragionamento:  quando essa c’è non ci siamo noi, l’errore colossale sta nel fatto che gli uomini non temono tanto ciò che possono incontrare nell’aldilà,  quanto temono il nulla, l’annientamento.”

 Propongo per concludere (ameno per adesso) i versi 1-51 del Libro VI. Chi ne volesse la traduzione, a cura di angelo Ruggeri, può andare nel mio blog in lingua inglese attraverso il link in calce al presente post.

In lode di  Epicuro di Lucrezio Caro

Libro V, VV 1-51

 

Chi può con mente possente comporre un canto

degno della maestà delle cose e di queste scoperte?

O chi vale con la parola tanto da poter foggiare

lodi che siano all’altezza dei meriti di colui

che ci lasciò tali doni, creati dalla sua mente?

Nessuno, io credo, fra i nati da corpo mortale.

Infatti, se si deve parlare come richiede la nota

maestà delle cose, un dio fu, un dio, o nobile Memmio,

colui che primo scoperse quella regola di vita

che ora è chiamata sapienza, e con la scienza

portò la vita da flutti così grandi e dal buio immemore

in tanta tranquillità e in tanto chiara luce.

Confronta, infatti, le divine scoperte che altri fecero in passato.

E in effetti si narra che Cerere le messi e Bacco la bevanda

prodotta col succo della vite abbian fatto conoscere ai mortali;

eppure la vita avrebbe potuto essere senza queste cose,

come è noto che alcune genti vivano tuttora.

Ma vivere bene non si poteva senza mente pura;

quindi a maggior ragione ci appare un dio questi

per opera del quale anche ora, diffuse tra le grandi nazioni,

le dolci consolazioni della vita placano gli animi.

E se crederai che le gesta di Ercole siano superiori,

andrai assailontano dalla verità.

Quale danno, infatti, a noi ora potrebbero recare le grandi

fauci del leone nemeo e l’ispido cinghiale d’Arcadia?

E ancora, che potrebbero fare il toro di Creta e il flagello

di Lerna, l’idra cinta di un groviglio  di velenosi serpenti?

Che mai, coi suoi tre petti, la forza del triplice Gerione

tanto danno farebbero a noi gli uccelli  del lago›

di Stinfalo e i cavalli del tracio Diomede che dalle froge

spiravano fuoco, presso le contrade bistonie e l’Ismaro?

E il guardiano delle auree fulgide mele delle Esperidi,

il feroce serpente, che torvo guatava, con l’immane corpo

avvolto intorno al tronco dell’albero, che danno alfine farebbe,

lì, presso il lido di Atlante e le severe distese del mare,

dove nessuno di noi si spinge, né alcun barbaro s’avventura?

E tutti gli altri mostri di questo genere che furono sterminati,

se non fossero stati vinti, in che, di grazia, nocerebbero vivi?

In nulla, io credo: a tal punto la terra tuttora

pullula di fiere a sazietà, ed è piena di trepido terrore,

per boschi e monti grandi e selve profonde;

luoghi che per lo più è in nostro potere evitare.

Ma, se non è purificato l’animo, in quali battaglie

e pericoli dobbiamo allora a malincuore inoltrarci!

Che acuti assilli di desiderio allora dilaniano

l’uomo angosciato e, insieme, che timori!

E la superbia, la sordida avarizia e l’insolenza?

Quali rovine producono! E il lusso e la pigrizia?

L’uomo, dunque, che ha soggiogato tutti questi mali

e li ha scacciati dall’animo coi detti, non con le armi,

non converrà stimarlo degno d’essere annoverato fra gli dèi?

 

Per la versione in lingua inglese di Angelo Ruggeri clicca il link sottostante

http://poetryandmore-albixforpoetry.blogspot.it/2013/08/titus-lucretius-carus-ii.html


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