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Il doping di Rasmussen: dal sangue di papà a quello di cane

Creato il 05 novembre 2013 da Fumagale @ciclo_news

5 novembre 2013  |   

Mi sono dopato dal 1998 al 2010

Sono queste le parole, choc, di Michael Rasmussen, spogliato della maglia gialla nel 2007 quando fu smascherata – in telecronaca, da Davide Cassani – la sua elusione ai controlli antidoping fuori competizione.

Choc perché raccontano di un ciclismo che forse sta facendo più fatica del previsto a cambiare: il 2010 è tre anni or sono, non ere geologiche fa. Significa che o il ronzino (Rasmussen) non è mai stato in grado di tenere le ruote del gruppo con i propri mezzi leciti, oppure che il gruppo ha viaggiato grazie ad “aiutini” fino a poco tempo addietro, e non è detto che sia già riuscito a ripulirsi.

Choc anche per il racconto del doping che Michael Rasmussen fa nel suo “Febbre gialla”, un’autobiografia uscita ieri – lunedì 4 novembre – ma che sta già spaccando in due la Danimarca (e non solo).

Racconta Rasmussen:

Il medico Rabobank, Leinders, nel 2004 mi suggerì di far esaminare il sangue di mio padre per vedere se fosse compatibile con il mio per le trasfusioni. Purtroppo non lo era.

Dove abbiamo già sentito il nome di Leinders? Ma certo: è stato il medico del team Sky fino alla fine dell’anno scorso, quando – una volta esploso il caso Rabobank – è stato allontanato perché la sua presenza era poco opportuna nell’organico della squadra che ha dominato gli ultimi due Tour de France con Wiggins e Froome.

Ma il meglio di sé, Michael Rasmussen lo diede nel 2000. Racconta:

Alle Olimpiadi di Sidney si era sparsa la voce che la Telekom di Ullrich usasse emoglobina sintetica, e io scoprii che ce n’era una per cani identica a quella per gli uomini: me la feci spedire da Porto Rico e ne provai solo cinque gocce, per paura che non fosse compatibile. Non ci fu rigetto, ma ripensandoci posso dire che è stata una follia. Peraltro quel sangue artificiale non ha funzionato..

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