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Il fascino discreto della panza

Creato il 31 maggio 2011 da Nina
IL FASCINO DISCRETO DELLA PANZADi sabato ho ricordi confusi, io funziono così. Quando vivo giornate problemose, capricciose e pretenziose, tendo a buttarmele alle spalle guardando avanti e oltre.
Però un paio di cosette ve le voglio raccontare, così per non lasciare nulla in sospeso e perchè in molte mi avete pensata quel giorno chiedendovi poi - Com'è andata? -
Normalmente risponderei con un laconico - E' andata - ma con voi non posso barare. E manco con me.
E' stato piacevole, per certi aspetti, è stata dura per altri.
Sono capace di incredibili performance, quando la situazione me lo richiede, trasformandomi in Nina l' Insospettabile che manco Lui (che mi conosce bene) è in grado di stabilire quanto la cosa mi abbia realmente toccato dentro.
Diciamo che non solo mi ha toccato, ma mi ha proprio perforato da parte a parte.
Ho avvertito il peso e il vuoto che una maternità negata genera giorno dopo giorno e quello che l'assenza di una madre lascia in eredità. Insomma c'era poco da ridere, eppure sui sorrisi e le battute non ho lesinato.
Dal di fuori avreste tranquillamente detto di me - Ah Nina, la solita cazzona! -
Ho esibito una capacità di controllo incredibile, certo, ma questo non vuol dire che (dentro) non ho avvertito il lavorio incessante di quei vuoti, mentre i tarli del male erano al lavoro.
La differenza tra la vecchia Nina e quella nuova non sta nel fatto che oggi io soffro meno, ma nel fatto che sono consapevole di quello che mi accade dentro e perciò rimando a momenti più opportuni l'esplosione.
Perchè ci sarà e devo aspettarmela, prevedendo opportuni spazi, aperti e grandi possibilmente, di espressione.
Come già anticipato (che sò lungimirante io) mi sono gustata le coccole e le attenzioni che mia cugina ha ricevuto e fin qui lo sapevamo. Quello che non avevo previsto era il contraccolpo che avrei subito in quanto testimone privilegiata della relazione madre-futura nonna e figlia-futura madre.
Questo non l'avevo calcolato, ahimè e, ve lo dico, è stata tosta assai. Perchè io non la vivrò mai e già so che sarà una delle mancanze più forti. Anzi se ci penso bene già mi manca adesso.
Poi ci sono stati i racconti di mia cugina, tutti per me e solo per me (anzi pure un po' per Lui), sui primi cambiamenti che la gravidanza porta con sè. Le emozioni incontrollabili (come la rabbia), la fame atavica e ingestibile che ti rende una divoratrice infaticabile di tutto quello che ti capita a tiro, il gonfiore dopo i pasti, la pancia che cresce (- oggi che doveva farmi fare bella figura si è sgonfiata! -), le ecografie e fatemi pensare che altro? Non ricordo, ma credo che a un certo punto, dopo una rapida verifica del mio livello di sopportazione, mi sono accorta di aver raggiunto il mio punto critico, quello di saturazione massima. E così, fedele alla politica dell' auto-tutela (che mi auto-impongo per non dover raccogliere miseramente i cocci di me stessa dopo), ho attivato l'unico neurone sveglio e utile che avevo in quel momento, quello scampato alla decimazione causata dal potere seduttivo che la donna incinta esercita sulla cacciatrice.
Perché è questo che scatta signore mie, vogliamo parlarne? E spendiamocele due paroline che l'argomento merita.
Io lo chiamo il fascino discreto della panza e grosso modo consiste in questo:
tu sei lì, avida di storie di vita vissuta e quell'atteggiamento morboso che di solito gli altri riservano alle disgrazie altrui, tu lo concentri sulle rotondità della donna eletta che ti siede accanto in quel momento. E potrebbe anche trattarsi di un' emerita sconosciuta che tu avresti la stessa espressione inebetita, stordita e rapita. Ti incazzi con lei, sogni con lei, gioisci con lei, vai in ansia con lei, fai tutto quello che fa lei perchè per un attimo (facciamo anche di più) TU SEI LEI. Tu senti il gamberetto che ti nuota dentro, tu sai esattamente cosa significa provare le emozioni di cui lei ti sta parlando e questo perchè tu mamma già lo sei. E lo sei da un pezzo (anni nel mio caso).
Per fortuna questo pericolosissimo delirio ha una fine,  ma tanto più sosterai in quella terra di nessuno, tanto più rischierai di esserne fagocitata viva. E poi ti risveglierai bruscamente dal tuo sogno ad occhi aperti per constatare sempre la solita cruda e stronzissima realtà: LEI E' INCINTA. TU NO. Lei è quella che torna a casa col suo bottino e lo stende sul divano, tu sei quella che torna a casa a mani vuote e un cazzo di divano dove crollare e piangere manco ce l'hai.
E non ci voleva sta scienza per accorgertene prima.
Perciò dopo innumerevoli esperienze che mi hanno vista capitolare esanime e esangue di fronte all'enesimo incontro con una di Loro (in cui puntualmente esibivo le mie ormai note abilità masochistiche), qualcosa l'avrò imparata pure io no?
Si, l'ho imparata ed è questa: a un certo punto fermati e dì basta. Cambia postazione, interlocutore e argomento di conversazione. O le sabbie mobili ti inghiottiranno.
In questi frangenti l'unica cosa che aiuta è l'esperienza, che ti impedisce di spingerti troppo a fondo, là da dove sarebbe veramente faticoso riemergere. Questo non vuol dire che non subirai il trauma del ritorno (rassegnati), semplicemente poi non sarai da Neuro. Ti fermerai appena un passo prima. Tutto qui.
Perchè lei aveva tutto il sacro santo diritto (she can) di parlare del suo dono, della sua gioia, della sua vita mentre io avevo il sacrosanto dovere (I must) di salvaguardare la mia integrità mentale. Affare non da poco, direi, visti i tempi.
Così ho cambiato il mio centro d'attenzione, ma a fatica. Perchè ho scoperto che è uno sforzo disumano, una prova incredibile di forza riuscire nell'intento (che tanto poi gli occhi e il cuore sempre là mi finivano, comunque), perchè sono da ricovero: sono inguaribilmente attratta dalle pancia farcita, io la voglio, la desidero la bramo. Darei un rene. Volevo essere lei, provare quello che prova lei. Ecco mo ve l'ho detto.
Un esempio per tutti. A un certo punto, dopo l'ennesima vivisezione culinaria e consecutiva rinuncia (per timore della toxo) mia cugina ragionevolmente (e comprensibilmente) esasperata ha esclamato:
- Ecchepalle però, non ne posso più! -
Ecco, una mente scevra delle nozioni basi riguardo a cosa comporti la ricerca estenuante di un figlio, affermerebbe che ci sta tutta. Anche il mio amico neurone saggio a dire il vero. Gli altri 4 neuroni (quelli impegnati nell'adorazione della pancia-feticcio) invece l'hanno presa molto male, quasi sul personale e ci ho messo un bel po' (e un altro paio di bicchieri di vino) per riportarli alla ragione. Vaglielo a spiegare che mica tutti possono stare nella tua testa, Nina, e stare attenti a come parlano e reprimersi di conseguenza per paura di ferirti. Il mondo non gira attorno a te, smorza quell'ego. Losò losò come no emmica sò deficiente...epperò non si fa. Io non posso averne (di figli), io pagherei (pagherò in effetti) per avere quella cazzo di chance che spero mi porti un giorno a evitare tutte le verdure non-lavate-con-l'amuchina del mondo, che se mi dicessero che non posso mangiare tiramisù per un anno perchè devo salvaguardare la mia gravidanza... ma sai che cazzo me ne fregerebbe a me! Ma ti metto la firma col sangue porca di quella zozza burina. Non si fa, non ci si lamenta dei contro di una gravidanza con una donna diversamente fertile, non si fa...se vabbè come no. E vaglielo a spiegare tu.
E infatti ho fatto pippa. Muta.
Essì che Nina è forte, se pensiamo anche che per due volte è riuscita a non rispondere (male) alla zia toscana che le chiedeva con una certa ossessiva insistenza:
- E voi un cittino quando lo fate? -
e alla terza scena muta che ha fatto si è sentita rispondere:
- Ma non è che pure tu non puoi averli? -
e nonostante tutto non è partita di testa fracassando di netto (alla zietta adorata) il setto nasale. E non per educazione, ma solo per pietismo, sia chiaro.
Essì che son coriacea, perchè sono riuscita a mantenermi sui tacchi, in equilibrio, anche quando, dopo aver confidato le mie paure in vista della FIVET, del pick up che fa male, diciamocelo, fa male cazzo, mi sono sentita controbbattere (ma seriamente eh):
- Eheeeee...e allora pensa quando dovrai partorire, quelli si che so dolori! -
E perchè invece quello che sto passando io, che passerò, è sta passeggiata de salute eh! Pronto? C'è nessuno lì dentro?
Io sono sempre quella di prima eh? Mica nel frattempo so stata miracolata.
No spirito santo, no party! da ste parti almeno.
Ma magari c'arrivo io a partorire, allora, forse, io e te ne riparliamo. Magari.
E poi tutto il parentame (dalla parte di mia madre) al completo, i suoi tre fratelli tutti lì coi loro figli e Lei no. Mia madre: unica assente. E il vuoto incolmabile, che poi si sa che quando sei dolorante (soprattutto) è la mamma che cerchi istintivamente. E due dei tre fartelli le somigliano davvero tanto. Dio come mi è mancata, da non riuscire a trovare le parole. E infatti neanche le cerco.
A casa sentivo un macigno sul cuore, nonostate le risate, il prosecco, il vino, l'amaro, i momenti piacevoli e leggeri (perchè ci sono stati eh), nonstante ci fosse Lui e mio fratello e l'Amoredezia.
Ho colto al volo la proposta della mia amica G di andare a un concerto, mi riprendo la mia vita, ce la posso fa.
Orgoglio cazzo! Orgoglio!
Ma poi saranno stati i postumi (non da sbornia), sarà che al concerto c'era un bambina che ha ballato tutto il tempo davanti a noi e la mamma che le sorrideva dalla sedia... sarà che a un certo punto sono entrati anche una coppia di amici più piccoli di noi, con la loro brand new baby, che se l' ammiravano estasiati e il papà la faceva ballare tra le sue braccia e poi guardava la mamma con complicità...
Sarà quel che sarà, ma Nina non ha retto più e da Insospettabile cacciatrice si è trasformata nell' Inevitabile piagnona.
Mi sono alzata, ho detto a Lui che stavo male e con le lacrime che iniziavano a  colarmi (insieme al trucco) sulle guance, sono corsa, letteralmente scappata fuori. Ho sentito dei passi dietro di me e poi, girato l'angolo, delle braccia che mi avvolgevano. Ho riconosciuto l'odore della mia amica G. Casa.
- E' stata una giornata difficile - sono riuscita a dire tra i singhizzi
- Non devi dirmi niente - ha risposto lei.
Così ho lasciato cadere la borsa e il giacchetto che avevo in mano (chissà perché li ho afferrati uscendo, quasi stessi fuggendo da un pericolo) e mi sono abbandonata a un pianto liberatorio.
Era di un abbraccio materno, che avevo bisogno.
Era quella comprensione, quell'accoglienza, quell' intimità, che solo una donna ti può dare, a mancarmi più di tutto.
Nient'altro.
E in quel cerchio perfetto, tra le sue braccia, io ho ricomposto i pezzi di me e attinto a nuova linfa vitale.
Nell'accettazione della mia parte fragile e sconnessa ho ritrovato l'unità.
Ho passato al setaccio le emozioni e ho tenuto solo quelle buone.
IL FASCINO DISCRETO DELLA PANZA

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