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Il federalismo all’italiana

Creato il 12 ottobre 2012 da Faustodesiderio

I destini della Lombardia, del Piemonte e del Veneto si decidono a Roma. In tempi di federalismo i destini degli “enti locali” dovrebbero decidersi in loco, ma il federalismo all’italiana è un’altra cosa. Nel giorno in cui il ministro dell’Interno scioglie il comune di Reggio Calabria per infiltrazione malavitose, a Milano è arrestato l’assessore regionale Domenico Zambetti con l’accusa di aver comprato dalla ‘ndrangheta un pacchetto di 4 mila preferenze, risultato anche decisivo per la sua elezione. Quella che un tempo era definita la capitale morale d’Italia, sembra avere rappresentanti politici dalla vita politica estremamente pericolosa. Ma mentre Reggio Calabria è a Sud, sulla punta dello Stivale, Milano è al Nord, nel cuore della regione più efficiente e produttiva del Bel Paese, quindi Reggio è commissariata mentre a Milano il presidente Roberto Formigoni, giunto ormai a metà del suo quarto mandato, può addirittura irridere chi gli serve il conto e ne chiede le dimissioni.

Tutti gli uomini lombardi delle Lega rimettono le loro volontà nelle mani di Roberto Maroni che da ex ministro dell’Interno diede filo da torcere, e anche qualcosa di più, alla criminalità organizzata e ai suoi boss, ma ora fa una certa impressione vederlo lavorare alla situazione milanese dove la politica si intreccia con l’ndrangheta. La Lega vuole che tutti gli assessori di Formigoni vadano via, altrimenti si va via tutti e si ritorna a votare. Allora, di buon mattino Formigoni scende a Roma e sì incontra con Angelino Alfano e con lo stesso Maroni. La sua linea è semplice ed è stata già istruita dallo stesso Alfano e Berlusconi: ritorsione. Se cade la Lombardia cadono anche il Piemonte e il Veneto. Cade, insomma, tutto il Nord del quale proprio Formigoni non più di qualche settimana fa disse: «È ora di fare la macroregione del Nord». Eccola qui.

Il federalismo all’italiana è il peggiore al mondo. Ieri lo sapevamo, oggi abbiamo anche le prove. C’era il sospetto che il federalismo non fosse una corretta e buona amministrazione del territorio e degli enti locali, ma uno smantellamento dello Stato o, peggio che andar di notte, la costruzione di tanti altri Stati e staterelli ognuno con la propria legislazione, con i propri ministeri e con i governatori che in poco tempo sono diventati dei piccoli Re Sole. Le istituzioni sono diventate dei bancomat e a rifondere la cassa dietro lo sportello bancario vi è stato messo il cittadino qualunque con la gran mole dei tributi che deve pagare. Ora che il federalismo, in men che non si dica, è giunto al capolinea, ecco che la politica ritorna a Roma. Non solo perché è il governo Monti che deve correre ai ripari dei guasti federalisti della sinistra, della destra e della Lega, ma anche perché proprio quando è il momento di far valere le ragioni delle amministrazioni locali interviene il riflesso condizionato della ritorsione: se cade la Lombardia cadono anche il Piemonte e il Veneto. Come per incanto non valgono più niente i territori, i patti con gli elettori, la responsabilità istituzionale, l’autonomia degli enti locali. Come per incanto riappare il centralismo e quel che resta dei partiti dell’ex governo Berlusconi e spazzano via ogni autonomia, ogni responsabilità, ogni decisione locale. Il federalismo cancellato nello spazio di una mattinata romana, il tempo necessario di prendere un caffè con Formigoni per non farlo ruzzolare a terra peggio di quanto non abbia già fatto con le sue gambe e la sua intelligenza.

È ancora sporca e inquinata la politica in Lombardia. Non ci sono solo tangentari, faccendieri, corrotti, corruttori e ragazze Bunga Bunga in consiglio regionale, eletti del centrodestra e del centrosinistra indagati con l’accusa di pratiche affaristiche; c’è anche la ‘ndrangheta in giunta al Pirellone, adesso, che alza in maniera esponenziale il degrado di un’istituzione da rimettere al più presto «sul sentiero corretto della civiltà», come esortavano a fare, in altri tempi, i grandi illuministi lombardi. A scrivere queste cose è un milanese come Giangiacomo Schiavi sul Corriere della Sera sentendosi un po’ parte della tradizione de Il Caffè dei fratelli Verri. Ma cosa ci possono fare i grandi illuministi lombardi se il federalismo all’italiana è naufragato proprio nella regione meglio amministrata d’Italia? Forse neanche don Lisander riuscirebbe ad ottenere le dimissioni di Formigoni che ha già fatto sapere di non aver commesso alcun errore, perciò andrà avanti così mentre la regione più ricca e importante d’Italia si prepara ad affrontare l’appuntamento internazionale dell’Expo con un governo locale delegittimato da se stesso. La Lombardia non ha conosciuto altri presidenti di Regione direttamente eletti al di là di Formigoni. È al Pirellone ininterrottamente da quindici anni. Potrebbe rivendicare tutto il suo lavoro e dargli un senso di dignità dimettendosi per non confonderlo con quanto sta accadendo. Ma non lo farà, perché non sa dove andare e la Regione Lombardia vivrà la sua agonia sotto i riflettori dell’Expo. Così, ancora una volta, un potere cadrà come una pera cotta, non perché sarà sostituito da qualcuno più degno, ma perché chi lo esercita ha perso la dignità per continuare ad esercitarlo.

tratto da Liberalquotidiano.it del 12 ottobre 2012



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