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Il Festival di Fotografia Europea di Reggio Emilia: gli ultimi giorni
Creato il 09 giugno 2012 da L'Immagine Allo SpecchioLe fotografie, tutte in bianco e nero, restituiscono un intenso ritratto dell’Europa a partire dal primo dopoguerra, mostrando i suoi paesaggi e abitanti in momenti e fasi storiche diverse, mettendo in questo modo in evidenza le molte differenze, ma anche le profonde analogie, presenti tra i paesi attraversati.
"Un pellegrino appassionato", così Cartier-Bresson viene definito da Jean Clair nel 1998: "seguendo il battito di un cuore avventuroso, palpitante, ritorna sempre alla sua Europa fatta di antiche mura. Dall’Austria al Portogallo, dalla Svezia alla Turchia, dalla Lapponia all’Irlanda, per mezzo secolo ha colto con il suo sguardo l’immagine di un territorio che nel corso degli anni, dal Piano Monnet al Trattato di Maastricht, è diventata il nostro".
Da non perdere è anche la mostra La pace impossibile a Palazzo Magnani, una rassegna di ben 160 scatti eseguiti dal fotografo Don McCullin sui più strazianti scenari dei conflitti bellici e delle tragedie umanitarie del secolo scorso.
Si parte da immagini che testimoniano la costruzione del Muro di Berlino (1961), lo scontro tra Greci e Turco-Ciprioti a Cipro (1964), la guerra in Congo (1964), la guerra del Vietnam (dal 1965 al 1968), la guerra civile in Biafra (1968-69), finoai massacri di Sabra e Shatila (1982), i lebbrosi dell’India (1995-97) e le vittime dell’Aids nell’Africa meridionale (2000).
A queste immagini si aggiungono anche quelle di una pace abitata dal conflitto, tra cui l’impietoso ritratto della contraddittoria società inglese delle gang e dei Teddy-Boys, dei senzatetto e delle ricche corse equestri ad Ascot, le nature morte e la desolata campagna inglese fotografata sempre e solo nel periodo invernale, quando la pioggia e il gelo si accaniscono sulla natura e la luce non filtra che da qualche rado spiraglio tra le nubi.
Il tutto accompagnato da didascalie estratte dai suoi molti libri, capaci di dare forma alla figura di un artista che disdegna l'ormai abusata etichetta di fotografo di guerra, percepita come infamante, e che concepisce il suo lavoro come una missione, tanto dolorosa quanto necessaria, per comunicare al mondo gli orrori e le brutture di cui è testimone e che altrimenti cadrebbero nell'oblio: "Il mio scopo è mostrare la vergogna insita nella distruzione di esseri umani che non hanno commesso nessun crimine, non hanno nessuna colpa. Volevo ritrarre la dignità del loro dolore". "Qualcosa stava succedendo e dovevo esserci. Ecco quello che ho sempre cercato di fare: esserci".
Il calendario completo del Festival
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