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Il filosofo Mazzarella: meglio la laicità di Scola che quella di Rodotà

Creato il 22 dicembre 2012 da Uccronline

Eugenio MazzarellaAd inizio dicembre 2012 il card. Angelo Scola, arcivescovo di Milano, ha tenuto un magistrale discorso in occasione della solennità dell’ordinazione di sant’Ambrogio vescovo e dottore della Chiesa. Un testo sul rapporto tra libertà religiosa e laicità dello Stato, in cui critica la presunta neutralità dello stato che di fatto spesso si traduce in «un modello maldisposto verso il fenomeno religioso», il quale ha prevedibilmente fatto inviperire numerosi esponenti del laicismo italico, come ad esempio il giurista Stefano Rodotà.

Il filosofo Eugenio Mazzarella, docente di Filosofia teoretica nell’Università Federico II di Napoli, preside della Facoltà di Lettere e Filosofia di questa università e parlamentare del PD, ha voluto replicare in modo molto intelligente, definendo il testo di Rodotà pubblicato su Repubblica un «animoso commento». Ha criticato il reazionismo del giurista, per il quale nelle parole del card. Scola vi sarebbe «la negazione della libertà della coscienza e l’affermazione che la definizione dell’antropologia del genere umano è prerogativa della religione». Secondo lui sarebbe «il pensiero laico, invece, a forgiare gli strumenti perché non ci si arrenda ad una deriva tecnologica, con la sua capacità di garantire l’umano attraverso i principi di eguaglianza e dignità, di autodeterminazione della persona».

Il prof. Mazzarella ha risposto sottolineando che Rodotà appronta alla riflessione etica «l’ideologia propria dello scientismo insito ad “visione scientifica del mondo” che si presume eticamente autoconsistente a reggere e “leggere” nel suo senso ogni ambito della vita, finendo per perdere anche l’eticità della scienza come sorveglianza non solo delle sue procedure, ma dei suoi limiti intrinseci. Non so se Rodotà si renda conto che parlare di “una nuova antropologia” prodotta dalla rivoluzione della scienza e della tecnica equivale a dire che esse produrrebbero un “nuovo uomo”, radicato nella sua autoproduttività tecnica, nell’artificio che è capace di fare se stesso, e tolto alle sue basi ontologico-naturali tradizionali, e fin qui conosciute. Questo significa l’attacco alla “natura” umana difesa nell’impianto argomentativo di Scola come reperto concettuale fondamentalmente archeologico per capire e orientare la modernità; ma questo significa anche che la riflessione etico-giuridica di Rodotà, lo voglia o no, e la sua antropologia, virano verso un post-umanismo programmatico; un post-umanismo che si congeda dalla vichiana consapevolezza che l’identità umana come scienza e coscienza di sé (singola e collettiva; consapevolezza antropologica) si costituisce attorno a “nozze, sepolture e are”, fino ad oggi domande fondative della vita, del suo “senso”, risolte lungo il filo di un’universale natura umana riconoscibile in tutte le culture e in tutti i tempi».

Contro il card. Scola si è levata anche al prevedibile replica del teologo gnostico Vito Mancuso, ma che tuttavia il filosofo della Federico II ha velocemente liquidato definendola: «storiografia da quotidiano», senza perderci altro tempo.

Tornando a Rodotà, certamente di maggior interesse rispetto ai noiosi sermoni del prete spretato Mancuso, Mazzarella ha anche contestato la indebita valorizzazione del giurista della rivoluzione francese come alveo per la nascita dello Stato laico: «a parte che anche per il rinascimento “filologico” il miracolo dell’uomo è “miracolo” di Dio – vi si mira la sua immagine: ennesima variazione dell’imago dei scoperta nel volto dell’uomo dal cristianesimo –, se citando Pico della Mirandola in definitiva si vuol dire (contro Pico invero, dove quel miracolo porta ancor più vividamente a Dio) che si è miracolo di se stessi, che l’uomo è miracolo di se stesso, si può certamente dire. Ma con ciò si attribuisce a ieri (via facilior della contemporaneità della storia) quel che ci interessa oggi: ma questo non è rinascimento, è scientismo; un elogio non della dignità dell’uomo, ma un’apologia della tecnica e delle sue possibilità, tutte pretese, di “produrre” un “nuovo uomo” e una nuova “ontologia”, a base autopoietica, dell’essere sociale degli uomini».

Chiudendo il suo interessante intervento, il filosofo ha quindi affermato: «Con la sua celebrazione dell’Editto di Milano, Scola non ha nascosto la polvere dei problemi della libertà oggi, anche di quella religiosa, sotto il tappeto delle belle parole sempre politicamente corrette. Perché i contenuti della libertà – eguaglianza, dignità, autodeterminazione della persona – nascono dal “cuore” dell’uomo, e lì possono essere negati, non dalle sue “mani” (la positività, anche giuridica, delle sue azioni), che pure possono aiutare o uccidere; quei “contenuti” sono una credenza antropologica, se si vuole, e per qualcuno una verità di fede, ma certo non un prodotto della scienza e della tecnica. Mi sembra che ci sia di che discutere, senza anatemi, e con un po’ di fiducia anche senza patemi».


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