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Il flop dell'Heineken

Creato il 11 giugno 2011 da Robomana
Il flop dell'HeinekenOggi su Repubblica è apparso un articolo di Carlo Moretti in cui si legge che l'Heineken Jammin Festival è stato un flop. 50 mila spettatori contro i 100 degli anni passati, a dispetto di una copertura pubblicitaria corposa e, come ho scritto qualche giorno fa, di un programma in bilico tra pattume pop nostrano (esclusi i Verdena) e inedite aperture indie. Evidentemente non ha funzionato. E le cause sono parecchie, credo la più importante delle quali il fatto che non si possa puntare per anni su un pubblico di pantofolai del rock e poi all'improvviso sperare che i birromani con polsini e fascia in testa accorrano per i Coldplay o, figuriamoci, per gli Interpol e gli Elbow. I problemi sono di carattere logistico e burocratico, ma pure, come dicono alcuni agenti musicali intervistati nell'articolari, di educazione del pubblico italiano, che sarebbe troppo fighetto per accettare le sfacchinate, il rischio pioggia, le notti insonni, la stanchezza da adrenalina...: vale a dire tutto ciò che rende indimenticabile l'esperienza di un festival. A mio onesto parere, però, il problema sta nella promozione della musica veramente contemporanea, quella che in questi anni è stata promossa da riviste e giornalisti seri (mica Rolling Stone, che si è accorta degli Arcade Fire solo ora), quell'indie pop che a Londra, New York, Los Angeles, Berlino, Barcellona, Stoccolma, Sydney è offerto quotidianamente da club, palazzetti ed arene e che qui da noi è conosciuti solo dagli appassionati e visto dal vivo solo dai fortunati che abitano vicino a Milano, Roma e talvolta Torino. Basta buttare un occhio al tour di uno qualsiasi tra i gruppi indie oggi sulla breccia (fatelo coi Bon Iver, tanto per restare a post recenti) per accorgersi che le tappe italiane o non ci sono o sono ridotte all'osso, laddove non dico quelle inglesi - che vabbe', lì il rock l'hanno inventato per cui figuriamoci - ma pure quelle tedesche, austriache e spagnole sono parecchie.
L'articolo di Repubblica sostiene che la ragione del flop dell'Heineken e in generale dell'idea di festival in Italia starebbe anche nei programmi privi di grandi nomi, visto che, dicono loro, l'altra settimana a Rho per vedere i System of a Down "sono arrivati in 35 mila e per Bon Jovi a Udine se ne attendono 40 mila". Ecco, insomma, basta leggere cose come queste per capire dove si sbaglia.
A Barcellona, tanto per fare un esempio immediato, per il magnifico Primavera Sound di due settimane fa sono arrivate 140 mila persone - e pure Repubblica prende l'evento e i suoi numeri come modelli ideali. Ma a Barcellona, cazzo, non c'era Bon Jovi, cazzo e ancora cazzo. E non c'erano nemmeno i Metallica o i Soundgarden riuniti. C'erano i Pulp, certo, riuniti pure loro ma un metro sopra i tre citati sopra, e soprattutto gli Animal Collective, gli Ariel Pink's Haunted Graffiti, i Battles, i Belle and Sebastian, Caribou e James Blake, i Girls Talk e naturalmente, tanto per ripetermi un po', i Flaming Lips, i National e Sufjan Stevens... Nomi indie che qui in Italia sono nomi della madonna solo per chi sa di cosa si sta parlando. Nomi grandi e grandissimi della vera musica rock di oggi, che qui è già tanto che arrivino, e se lo fanno è al massimo per due date in posti da 1000 ingressi...
Il problema è in chi gestisce i rubinetti della comunicazione, tutto il resto viene dopo. E in ogni caso si ferma di fronte a Jovanotti, ai Negramaro, a Vasco Rossi, ché loro lo sanno come si fa musica buona per tutte le orecchie. Cazzo.

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