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Il “fool” denuda il re

Creato il 10 febbraio 2015 da Wsf

I am but a fool, look you, and yet I have the wit to / think my master is a kind of a knave”.

“Non sono che un matto, guardate, tuttavia ho abbastanza senno per credere che il mio padrone sia una sorta di furfante”


Da sempre la satira ha inteso colpire il potere e tutti i suoi rappresentanti. Il suo scopo è la denuncia, lo smascheramento della realtà del mondo e del male che in esso agisce, dei vizi e dei difetti, della verità che giace sotto le apparenze. La satira non è mai stata benevole, non ha mai fatto sconti, ha sempre voluto distruggere convenzioni. Ma il potere non sta a guardare e si difende ridicolizzando chi gli si oppone con il dileggio e lo sfottò per aumentare il conformismo generale.

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Simon Wiesenthal, ingegnere, scrittore e antifascista austriaco sopravvissuto all’Olocausto, nelle sue memorie («The sunflower», 1970) racconta degli ebrei impiccati dai nazisti nella piazza di Lemberg, a cui “un buontempone… attaccò a ogni corpo un pezzo di carta con su scritto ‘carne kosher” ( carne conforme alla legge).

Per giorni, i cittadini di Lemberg risero dei prigionieri dei campi di concentramento che i nazisti portavano a lavorare in città, perché «vedevano in quegli ebrei altra carne kosher a passeggio».Così, la massa prendeva le distanze dalle vittime. Così, si partecipa al divertimento sadico del violento.

Shakespeare attribuisce ai suoi cattivi (Iago, Shylock) lo stesso humor crudele per definire la loro immoralità e smascherare il potere e la sua disumanità. Nelle sue opere nessun tema viene risparmiato: il sacro, il profano, la politica, la religione, il sesso e la morte. Tutto da smascherare, da mostrare contraddittorio, ad opera di un fool, l’idiota-furbo, il saggio-stolto, che criticava le azioni dei potenti, mostrando, attraverso il linguaggio un potenziale sovversivo: portare gli altri alla comprensione del reale grazie alla follia.

Touchstone di As you like it e Feste di Twelfth Nigh sono i fools più riusciti e originali, investiti dal Re del loro statuto di “mattatori” di corte.

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Touchstone, il cui nome fa riferimento alla pietra di paragone con la quale si saggiava l’oro, all’imposizione di tacere risponde in un modo cui la stessa Celia, figlia di Federico, fratello del Duca e usurpatore del regno, riconoscerà verità e giustezza:

Touchstone: The more pity that fools may not speak wisely what wisemen do foolishly.

“Che peccato che ai matti non sia permesso di parlare saggio di ciò che i saggi fanno pazzamente!”

Celia: By my troth thou sayest true. For since the little wit that fools have was silenced, the little foolery that wisemen have makes a great show.

“In ciò ti do ragione, in fede mia: perché da quando hanno messo a tacere quel tantino di senno che hanno i matti, la scemenza dei saggi fa gran mostra di sé su questa terra”

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Nel King Lear, la pazzia di Lear è provocata e alimentata dal Fool. Cacciato da entrambe le figlie, si abbandona alla tempesta, seguito sempre dal suo “Matto” che gli corrode la coscienza, la sgretola, fino a disperderla in un mare di interrogativi sulla propria identità. Il momento culminante è l’invocazione di Lear della sciagura su di sé e sulla terra, infestata dall’ingiustizia e dall’ipocrisia. Il Re è costretto a un disonorevole vagabondaggio nelle mani del Fool che ha portato a termine la sua missione: trascinare Lear nel regno della follia per fargli rendere conto dei propri errori e poter così raggiungere un più profondo stato di coscienza, per pronunciare la sua emblematica profezia:

 

When priests are more in word than matter,

When brewers mar their malt with water;

When nobles are their tailors’ tutors;

No heretics burn’d, but wenches’ suitors;

When every case in law is right;

No squire in debt, nor no poor knight;

When slanders do not live in tongues;

Nor cutpurses come not to throngs;

When usurers tell their gold i’ the field;

And bawds and whores do churches build;

Then shall the realm of Albion

Come to great confusion:

Then comes the time, who lives to see’t

That going shall be us’d with feet.

“Quando i preti saranno più a chiacchiere che a fatti,

quando i birrai avranno annacquato i loro malti;

quando ai lor sarti i nobili faran da precettori;

i donnaioli andranno al rogo al posto degli eretici;

quando ogni nequizia sarà punita secondo giustizia;

quando non vi saranno più scudieri pieni di debiti

né cavalieri poveri in canna;

quando sarà svanita la calunnia da ogni lingua ardita;

quando starà lontano dalla folla il mariuol svelto di mano;

quando anche gli strozzini conteranno all’aperto i lor quattrini,

quando saranno edificate chiese da ruffiane e da donne malfamate…

allora il regno d’Albione sarà ridotto in grande confusione;

e sarà il tempo – chi vivrà vedrà –

che per camminare a piedi s’andrà.

Al fool di Shakespeare, il Re accordava la licenza di dire qualsiasi cosa. Aveva una posizione di privilegio” dice Oliver Double, che insegna arte drammatica alla University of Kent.
Erano capaci anche di criticare il Re” aggiunge il Jacquelyn Bessell, assistente presso University of Birmingham’s Shakespeare Institute.
Così intelligenti, così stupidi e pazzi, ma chi sono i nostri fool e quale licenza a loro è garantita oggi? Possono i “moderni fool” mettere in discussione i potenti, i politici, i governanti?

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Nel 2001, Dario Fo viene invitato a prendere parte al programma Satyricon e alla domanda di Daniele Luttazzi: “Dario, cos’e’ la satira?”risponde

Posso dire che e’ un aspetto libero, assoluto, del teatro. Cioe’ quando si sente dire, per esempio, ” e’ meglio mettere delle regole, delle forme limitative a certe battute, a certe situazioni”, allora mi ricordo una battuta di un grandissimo uomo di teatro il quale diceva: “Prima regola: nella satira non ci sono regole“. E questo penso sia fondamentale. Per di più ti diro’ che la satira è un’espressione che e’ nata proprio in conseguenza di pressioni, di dolore, di prevaricazione, cioe’ e’ un momento di rifiuto di certe regole, di certi atteggiamenti: liberatorio in quanto distrugge la possibilità di certi canoni che intruppano la gente. Ci sono dei limiti che realizza l’attore. Ma non per frenare, o per pudori e via dicendo. Lo fa per una conseguenza di ritmi, di tempi, di andamenti. Tu puoi dire la cosa piu’ triviale, cosi ad acchito, e puo’ diventare fine, addirittura poetica. C’e’ una sequenza, per esempio, che io mi ricordo. E’ la storia di un sesso femminile che ad un certo punto diventa indipendente. “La parpaia topola”, si chiama. Una ragazza racconta di aver dimenticato il suo sesso su un chiodo con l’acquasantino perche’ andava in chiesa e temeva di perderla li nella chiesa e magari qualcuno ci scivolasse sopra, le rompesse la grazie, l’armonia. Ebbene: e’ tutto al limite della trivialita’, dello scurrile. E alla fine diventa uno dei momenti piu’ alti di poesia di tutto quello che abbiamo.

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A distanza di anni, dopo la strage alla redazione del settimanale satirico francese Charlie Hebdo, si diventa tutti Charlie.  L’atto terroristico ha scosso coscienze, ma ha anche provocato accese polemiche sulla libertà di espressione, in nome del rispetto. Abbiamo, così, dimenticato che In Italia in nome del rispetto abbiamo avuto la censura di Daniele Luttazzi, Sabina e Corrado Guzzanti, Paolo Rossi; sono stati chiusi programmi come Rai Ot e spesso, ancora oggi, si imbavagliano giornalisti e i conduttori sgraditi.
11 gennaio 2015 Charlotte Matteini scrive: “Probabilmente se Charlie Hebdo fosse nato in Italia, non sarebbe mai nato. Forse in edicola sarebbe arrivato solo il numero zero, e poi più nulla. Imbavagliato, zittito, censurato”  Allora, forse, il discorso deve essere spostato su altro campo: deve l’arte sottostare ai dogmi della morale acclamata e riconosciuta?

Nella prefazione al Ritratto di Dorian Gray, Oscar Wilde scriveva: “Non esistono libri morali o immorali. I libri sono scritti bene o scritti male. Tutto qui.”

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Possiamo disquisire su quanto bene o quanto male sia realizzato Charlie Hebdo, ma non possiamo mettere il bavaglio all’ espressione artistica, soprattutto se, in conseguenza di minacce. La satira non ammette rispetto, ha il suo compito da portare avanti: criticare, sovvertire. La satira è nata per questo!

Il Tartufo di Molière suscitò molte proteste per aver rappresentato un uomo religioso come impostore. Orgone, ricco signore che insegue un suo ideale di perfezione morale, credendo nella buona fede di Tartufo, lo vuole come genero e lo nomina erede di ogni suo bene.
Tartufo diventa la guida spirituale di Orgone, lo aiuta a predicare contro la corruzione dei tempi nuovi,  a sostenere un’assoluta castigatezza dei costumi. Ma Tartufo, oltre che un ipocrita, è un arrivista e alla fine defrauda Orgone di tutti i suoi beni. Ma dov’è la satira? La satira è nel ridicolizzare il ruolo del Re, capace di ristabilire la giustizia, perché capace di leggere nei cuori dei colpevoli. Tartufo viene arrestato. Il Re viene denudato attraverso una burla: l’ipocrisia domina il mondo.

….

Un Sovrano ci guida, nemico della frode,

un Sovrano capace di leggere nei cuori,

che l’arte degli ipocriti non riesca a ingannare.

L’anima sua dotata di fine intelligenza

vede tutte le cose nella perfetta luce;

Vuole testimoniarvi che sa, quando nessuno

ci pensa, compensare le meritorie azioni,

che la virtù non viene da lui misconosciuta,

E che più che del male, del bene si ricorda.


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