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Il giardino delle rose (o la permanenza del tempo)

Creato il 04 dicembre 2013 da Giuseppeg
IL GIARDINO DELLE ROSE (O LA PERMANENZA DEL TEMPO)Burnt Norton è un castello del Gloucestershire che il poeta T.S Eliot visitò nell’estate del 1934. Lo scrittore rimase molto impressionato dall’abbandono in cui versava l’edificio, e al tempo stesso dalla permanenza di alcuni oggetti che ancora portavano intatti i segni della loro vita passata. Ma la vita era davvero passata? E fino a che punto la permanenza dell’oggetto trattiene un ricordo di ciò che è stato e non c’è più, che ormai è trascorso, che è tornato nel nulla? E soprattutto esiste il passato, o è una nostra evocazione, un modo nostro di trattare con gli oggetti? Gli animali non conoscono il passato, ma soltanto la permanenza di alcuni stimoli, che messi a contatto con situazioni analoghe a quella da cui sono scaturiti si riattivano. Siamo solo noi che deteniamo il passato. E se domani scomparissimo, annientati in una distruzione atomica, il passato, forse, scomparirebbe con noi. E il futuro è un passato allo specchio? Ma siamo noi, lo specchio: una volta frantumato, non rimane alcun riflesso.   “Il tempo presente e il tempo passatoSono forse presenti entrambi nel tempo futuro,E il tempo futuro è contenuto nel tempo passato Se tutto il tempo è eternamente presente Tutto il tempo è irredimibile”
IL GIARDINO DELLE ROSE (O LA PERMANENZA DEL TEMPO)Ma se il tempo non esiste, se c’è solo un eterno presente, allora tutto ciò che non è stato si equivale a ciò che è stato, perché non esiste più la possibilità: tutto è fermo da sempre e per sempre al suo posto, e non c'è modo di avverarsi - ossia 'spostarsi ad esistere' - per qualcosa che non è, che non è stato. Non c’è quindi differenza tra il ricordo e l'oggetto: sono entrambi pietrificati, sono ombre proiettate nel presente.
“Passi echeggiano nella memoriaLungo il corridoio che non prendemmoVerso la porta che non aprimmo mai Sul giardino delle rose”.
La nostalgia è una scusa per non esistere; non serve a nulla scavare, sondare, interrogare gli oggetti: tutto avviene nella luce nebulosa del presente; tutto accade in evidenza, non ci sono zone oscure. La vita è un enigma che vuole restare irrisolto.
“Le mie parole echeggianoCosì, nella vostra mente. Ma a che scopoEsse smuovano la polvere su una coppa di foglie di roseIo non lo so”.
IL GIARDINO DELLE ROSE (O LA PERMANENZA DEL TEMPO)Gli oggetti vivono anche senza di noi. I rapporti fra gli oggetti si intercorrono, si interscambiano, si ramificano in una maglia fitta di cui noi facciamo parte. La nostra interazione con essi, il nostro 'rivolgerci agli oggetti' viene sempre dopo la loro intrinseca ‘disponibilità’ ad essere interagiti.
“Nel nostro primo mondo. Là essi erano, dignitosi, invisibili,si muovevano sulle foglie morte senza calcarle,nel caldo autunnale, per l’aria che vibrava,e l’uccello chiamava, rispondendo ala musica non udita nascosta tra i cespugli,e c’era lo sguardo non visto, perché le roseavevano l’aspetto di fiori che sono guardati”.
Quando l’oggetto smetterà di parlare, quando sarà prosciugato e reso sterile di significato, vorrà dire che il tempo, la permanenza del tempo - e delle rose - è finita.
“Via, via, via, disse l’uccello: il genere umanoNon può sopportare troppa realtà”.
                                                                            (T.S. Eliot, Quattro quartetti: "Burnt Norton")

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