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Il giornalista Riccardo Forte nel 1950 rintracciò l’atto di abdicazione di re Carlo Alberto nell’Archivio di Tolosa

Creato il 10 aprile 2012 da Cultura Salentina

di Lucio Causo

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re Carlo Alberto di Savoia

 Il 12 marzo del 1849 Carlo Alberto, affidato il comando dell’esercito piemontese al generale polacco Chrzanowsky, denuncia l’armistizio di Salasco e riprende la guerra contro l’Austria, progettando di marciare per Milano.

Il 18 marzo, Radetzky lo previene ed esce dal capoluogo lombardo con 75 mila soldati e artiglieri deciso a portare la guerra in territorio nemico.

Mentre i piemontesi si preparano ad entrare in Lombardia passando il Ticino sul ponte della Buffalora, gli austriaci sorprendono la linea di difesa piemontese nella zona di Pavia. In questo settore la copertura dell’esercito di Carlo Alberto era affidata alla 5a Divisione, composta di 6.000 lombardi e comandata dal generale Girolamo Ramorino (che nel 1834 aveva guidato la spedizione mazziniana nella Savoia). Per la negligenza di questo generale, che viene processato e fucilato (tra vivaci polemiche), ma anche per la grande confusione che regna al comando superiore piemontese, gli austriaci riescono a passare il fiume senza difficoltà e piombano alle spalle delle migliori forze piemontesi.

La sorpresa dell’attacco austriaco sconvolge i piani del generale Chrzanowsky che, preso dal panico, ordina alle truppe di tornare indietro e di raccogliersi entro i confini del Piemonte.

Il 21 marzo giunge al Quartier Generale piemontese la notizia che il generale Bes ha fermato a S. Siro e alla Sforzesca, sulla strada di Vigevano, l’avanzata degli avversari, ma nella notte della stessa giornata, Radetzky arriva a Mortara col grosso del suo esercito e dopo un accanito combattimento presso questa città, sconfigge le truppe del generale Durando.

Carlo Alberto si dirige a Novara per approntare una forte resistenza e successivamente attaccare in forze gli austriaci. Fra l’altro, il Re, convinto assertore della guerra dinastica, mal sopportava le insurrezioni popolari e l’impiego isolato di forze irregolari, che, a suo parere, non agevolavano l’azione dell’esercito costituito da 90 mila uomini ben addestrati.

Il 22 marzo, data delle incertezze e degli errori fatali del comando piemontese, Radetzky si prepara per la battaglia decisiva di Novara.

Dopo qualche successo iniziale dei reparti piemontesi comandati dal Duca di Genova, nella località della Bicocca, sul far del pomeriggio sopraggiungono dalla strada di Vercelli i rinforzi austriaci, i quali prendono l’esercito piemontese tra due fuochi e lo sconfiggono. Negli scontri col nemico si distingue ancora il Duca di Genova, combattendo sino a notte, ma i piemontesi sono ormai battuti e non hanno più alcuna possibilità di scampo. Mentre la battaglia infuria, a Novara, il generale Ettore Perrone di San Martino, ridotto in fin di vita, vuole salutare il Re prima di morire. Da questa città, in preda alle fiamme, al vittorioso Radetzky si apre la strada verso Torino.

La disfatta di Novara del 23 marzo suggerisce a Carlo Alberto, che aveva invano cercato la morte sul campo di battaglia, la possibilità di abdicare in favore del figlio Vittorio Emanuele II, per salvare la sua dinastia e per non accettare le condizioni umilianti offerte dal nemico.

L’armistizio è firmato il 26 marzo in una cascina a Vignale, non lontano da Novara. Il Regno di Sardegna accetta le onerose condizioni della sconfitta, fra cui il pagamento di 75 milioni a titolo d’indennità bellica, ma il giovane Re ottiene di conservare il tricolore e di mantenere in vigore le leggi costituzionali (Statuto).

L’abdicazione avviene a Novara, la sera dello stesso 23 marzo e subito dopo Carlo Alberto, senza stilare alcun documento, si avvia all’esilio in Portogallo e lì rimane. Pochi mesi dopo, il 28 luglio 1849, muore nella silenziosa villa di Oporto.

Il 3 aprile, Carlo Alberto giunge nella cittadina di Tolosa, nella Francia meridionale, e fa chiamare un notaio per redigere l’atto di abdicazione più volte sollecitato dalle autorità austriache.

Questo atto viene sottoscritto da Carlo Alberto, da Carlo Ferrero, da La Marmora, da Gustavo Ponza di San Martino, da Xavier de Barcaiztegni e dal notaio Juan Fermin de Furundarena.

La firma dell’ex Re di Sardegna è chiara, non è “calligrafica” e si presenta senza i tradizionali svolazzi.

Il documento di rinunzia al potere sovrano da parte di Carlo Alberto fu stilato nella locanda di Pedro Sistiaga ed è stato rintracciato nel 1950 dal giornalista Riccardo Forte, nell’Archivio di Tolosa (l’originale o una copia?).

Il 9 maggio 1946, novantasette anni dopo, il pronipote di Carlo Alberto (Vittorio Emanuele III), ha firmato un successivo atto di abdicazione di Casa Savoia, facendo notare al Ministro della Real Casa che il documento doveva essere redatto in carta bollata.


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