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Il giorno che Keith Haring mi diede buca

Creato il 07 giugno 2011 da Phoebe1976 @phoebe1976
 

Il giorno che Keith Haring mi diede bucaOra, non è che la mia città brulichi di mostre.
Manco per niente.
Quindi, quando ho visto comparire i cartelloni pubblicitari inneggianti l’apertura il 21 maggio di una mostra sufficientemente strutturata e completa su Keith Haring mi son detta che dovevo andarci.
Insomma, la presentazione su internet prometteva l’esposizione di una sessantina di lavori originali, serigrafie, offset, installazioni e pezzi unici provenienti da gallerie e collezioni italiane e americane.

 

Mi sono documentata. Ho cercato l’indirizzo della mostra, che non era nelle (poche) sedi abituali deputate all’arte nella mia città.
Ero tutta bella contenta.
Sì.
Così ho precettato l’Amoremio e sotto un acquazzone che tendeva all’uragano siamo andati.

E non c’era nulla. Cioè, il palazzo dove si doveva tenere la mostra c’era. L’ingresso, le vetrate, gli scalini. Ma non la mostra. Entriamo dentro il blasonato caffè che si trova lì davanti e chiediamo. Il barista non sa nulla. Ci sorge un dubbio. Entriamo nel palazzo e una imbarazzata bigliettaia ci informa che sì, la mostra ci doveva essere. Anzi, era pronta. Ma non ha mai aperto.

In che senso? Perugia è tappezzata di manifesti!

La mia domanda è caduta nel vuoto, la ragazza fa spallucce e non risponde.
Dopo attenta ricerca su internet scoprirò mio malgrado che la mostra non è mai stata inaugurata perché 12 ore prima è arrivato il veto degli avvocati della fondazione.
Tutto bloccato.
O sospeso.
Che culo.
Lo sapevo che era colpa di qualche avvocato.
Li odio.
Tutti.

Per consolarmi l’Amoremio mi ha portato prima alla Feltrinelli (era lì accanto e poi è stato prima del mio nuovo fioretto, calmi!) dove mi sono appropriata dell’ultimo libro di Mario Vargas Llosa, Il sogno del Centa.
Lo bramavo, ora è mio.
E con lo sconto del 20%. Un affarone. Sì.


Poi, dopo una benedetta piadineria che sforna anche prelibatezze di farro e kamut (esistono posti così anche in Italia, basta cercare parecchio, ma ci sono) ho trascinato il mio compagno e due sventurati amici a vedere l’ultima fatica (per sé e per gli altri) di Terrence Malick, il fischiato ed osannato vincitore di Cannes The tree of life, con Sean Penn e Brad Pitt.
che detto così sembra quasi un blockbuster, e invece manco per niente.
Sì. Dicevo.
Dicevamo.




Un momento di raccoglimento per il mio cervello, che dopo alcuni giorni si arrovella per cercare un senso che congiunga le varie parti del film con il documentario sulla creazione che contiene al centro. E anche diverse altre cosette. Tipo lo storpio sotto il tetto, per dire. Cercasi cinefili per esplicazione accurata, che ci devono essere dei tecnicismi che mi sono sfuggiti.
Eppure non era Kubrick, per dire.
E poi ho creduto fosse un film ateo, almeno fino a tre minuti dalla fine. E invece è un film molto cattolico. Cercasi anche teologo che mi illumini su mille cose che, evidentemente, non ho capito.
Oppure un’aspirina per il mal di testa, in assenza.

E voi dov’eravate quando le stelle del mattino gioivano in coro?

 



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