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Il Giuoco delle Parti: il Relativismo delle Maschere Umane

Creato il 15 maggio 2015 da Dietrolequinte @DlqMagazine
Il Giuoco delle Parti: il Relativismo delle Maschere Umane

Dopo quindici anni dal suo debutto nella messa in scena di Gabriele Lavia per il Teatro Eliseo, Umberto Orsini ha deciso di riprendere tra le mani Il giuoco delle parti e, lasciandosi trasportare dalle emozioni della rilettura, stravolgerne ancora di più i legami che tengono in piedi un triangolo borghese fuori dall'ordinario. Il classico pirandelliano è stato quindi riadattato seguendo l'impulso di uno scavo oltre il fondo cui sembra arrivare il protagonista, Leone Gala, alla fine della tragica commedia: la consapevolezza di un qualcosa che rimane sotto la sua ferrea maschera di cinismo e impassibilità, una vita che deve necessariamente proseguire al di là della fatalità con cui si sono fissate le relazioni umane alle quali partecipa, in un macabro mescolamento di istinto vitale e ineluttabilità della morte.

La regia di Roberto Valerio ha preso le mosse dal fulcro della novella Quando si è capito il giuoco, testo ispiratore dell'opera teatrale scritta nel 1918. "Le novelle di Pirandello si presentano. in genere, come racconto di una situazione, di un caso che determina uno scarto, uno strappo. Un momento di crisi nella vita ordinaria di un personaggio", spiega il regista. "Rifarsi alla novella offre una grande possibilità creativa sul piano dell'interpretazione". L'intreccio, composto dagli elementi base di qualsiasi tormentata vicenda passionale, offriva quindi gli stimoli giusti per un ulteriore "strappo al cielo di carta", secondo la più radicale filosofia pirandelliana: il tacito accordo stipulato tra Leone Gala e la moglie Silia si rivela un gioco perverso tra vittima e aguzzino, in cui i ruoli continuamente vengono scambiati, in un'alternanza di fierezza, sprezzo, ma anche accondiscendenza e fragilità.

La continua ricerca di un'aderenza coerente al proprio ruolo nella vita, porta ciascun individuo al paradosso di un anelito all'indipendenza che si rivela poi una ricaduta nella fissità di una condizione di servilismo. Silia (qui interpretata dalla bravissima Alvia Reale), assieme all'amante Guido Venanzi (Totò Onnis), potrebbe godersi tranquillamente i vantaggi della libertà concessale dal marito, ma è poi l'indifferenza di lui a irritarla, quella totale atarassia ormai raggiunta che lo fa vivere distaccato da qualsiasi passione terrena; dal canto suo, Leone appare vividamente come l'emblema della rassegnata tranquillità a una vita scandita da certezze quotidiane (i libri ammucchiati nello studio, il passatempo della cucina, le chiacchiere astruse con il maggiordomo), ma si arrovella intorno all'instancabile adempimento al suo dovere di "marito", la sua parte all'interno del gioco della vita.

Così, con la moglie, mette in scena ogni sera un dramma meschino e grottesco, ricercando in quella mezzora che trascorre nell'appartamento di lei un "pernio" che gli consenta di rimanere attaccato al ruolo che gli è stato assegnato. Una lucida follia intanto lo attraversa, la repressione di un odio violento troverà presto lo spiraglio per venire alla luce, designando nello sciocco di turno la vittima: il duello è l'estremo scacco del gioco delle parti, la manche finale in cui si punta tutto, la resa dei conti cui la vita stessa pone chi continuamente la sfida a fornire una chiave di lettura univoca al suo flusso inarrestabile.

E di tutto questo il Leone/Orsini, invecchiato e ormai recluso in una struttura a metà tra un sanatorio e un carcere, serba nella mente immagini a volte nitide, altre confuse, tanto da far dubitare, adeguandosi, lo spettatore stesso, al relativismo conoscitivo cui Pirandello lo ha abituato, dell'effettiva attendibilità dei fatti riportati sulla scena e trasfigurati dalla memoria alterata del personaggio.

Commenta Orsini: "Il luogo dove collochiamo il nostro protagonista è certamente uno spazio dove la ragione convive con la pazzia, dove gli abiti mentali con cui si sono mascherate le apparenze sono stati dismessi, dove il passato ritorna perché del passato non si può vedere solo ciò che è passato, ma anche ciò che è sempre presente". La grande innovazione apportata al dramma pirandelliano risiede qui nella costruzione di un "dopo" da cui tutto parte e a cui, circolarmente, tutto fa ritorno: Leone Gala si vede vivere nell'impotenza del suo status di malattia, costretto, volente o nolente, a ripercorrere il proprio dramma, tra allucinazioni, sogni e ricordi, privo ormai di un'identità-pernio, senza più maschera alcuna, relegato a una claustrofobica presa di coscienza da cui, questa volta, non si può evadere nemmeno con la fantasticheria. Colui che poteva essere Uno, ora è Nessuno, mentre i Centomila altri versanti della sua personalità potranno esser scavati magari in una successiva rilettura del dramma. Perché è certo che l'operazione compiuta nella messa in scena di Roberto Valerio e Umberto Orsini è solo una delle tante possibili continuazioni di un dramma ben lungi dal rappresentare la sterile chiusura del triangolo borghese. Pirandello è Maestro, Orsini si è riconfermato tale: la loro parte continuano a giocarla.


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