Magazine Calcio

Il “golden boy” del calcio italiano.

Creato il 20 giugno 2010 da Fabry2010

Il “golden boy” del calcio italiano.

Franz Krauspenhaar

Nel 68 Sivori viene ceduto, e il Milan torna a vincere dappertutto. Gianni Rivera, “golden boy” del calcio italiano ma anche “abatino” per il. sarcastico  giudizio del geniale Gianni Brera, scrittore finissimo, un Gadda che fa vedere le trippe più che di se stesso della selvaggina di cui, animale padano voracissimo di vita sport scrittura e cibo e vino, si ciba in lunghe scampagnate, sia fatte per sue conto che nella tivu dell’era Bernabei.  Famosa e godibilissima, una puntata del 57 delle scorribande per l’Italia dello scrittore-regista torinese Mario Soldati, che alla trattoria Ferrari di Pavia assistono e commentano la mondatura delle rane. Brera è di San Zenone Po, verso Stradella, è di quelle genti venute e situate negli acquitrini, dove si coltiva il riso, spesso amaro, e dove le province di Piacenza e Vercelli quasi si uniscono. Brera è figlio di un’atavica fame – d’altronde  le rane sono animali della fame come i gatti, animali dei campi acquitrinosi come i gatti lo sono delle colline venete e toscane. Brera è tifoso delle due milanesi, equidistante, critico impietoso ma anche avvolgente, come se la sua stazza che pare da ex lottatore di greco-romana (ha il fisico simile a quello dell’attore italo-francese Lino Ventura) potesse avviluppare le due grandi milanesi in un abbraccio che è affettuoso ma talvolta anche stritolante. Dunque Brera, il re dei giornalisti sportivi, questo straordinario prosatore e inventore di neologismi – tra cui “libero” e “centrocampista”- vede Rivera come una specie di figlio intelligente ma anche degenere. Lui ama il calcio nordico, fisico, si sente uomo del nord, antesignano colto e intelligente dei leghisti della penna. Di questi non ha nulla se non la provenienza e la cultura delle radici, intendendo le radici ultime, quelle che sono come il cordone ombelicale di sostituzione, che a differenza del primo, di genitura, rimangono a noi attaccate per tutta la vita. Perciò è naturale che la penna a volte avvelenata dello scrittore pavese punga un calciatore come l’alessandrino Gianni Rivera, normotipo quasi rivierasco, che si muove in punta di piedi con un’eleganza molto simile a quella dei brasiliani. Un talento unico, non supportato da un fisico adeguato al calcio, che lo costringe a esaltare le sue doti tutte tecniche, di estro straordinario, di grande capacità di servire l’attaccante per il gol. La sua è la rifinitura portata al suo estremo esito. L’esilità lo porta a risparmiare le forze più di chiunque. Per mezz’ore intere resta sul campo come imbambolato, a guardare gli altri giocare da puro testimone, corricchiando qua e là forse più per dovere di presenza che per necessità. Difficile che si getti in un contrasto, rarissimo che difenda un pallone in posizione passiva. Non è nella sua natura, e tanto meno nelle capacità dei suoi polmoni d’uomo medio. Poi, d’improvviso, Gianni il golden boy è come se accendesse un faro che lo illumina dall’interno del suo corpo dinoccolato: eccolo scattare  a inseguire il pallone, ad arpionarlo; il tempo di una finta di corpo che metta in ginocchio il difensore avversario, e la luce ormai è accesa al massimo dei volt per tutto il fortunato stadio, mentre Rivera fa scivolare il pallone a servire di estrema precisione il piede giusto del suo attaccante, per il tiro spesso risolutore; oppure fa da sé, con l’ultimissima mandata d’ossigeno, eseguendo un’altra finta, o un dribbling sull’ultimo difensore, e calciando poi col destro all’incrocio dei pali: è gol. Rivera entusiasmava per la nonchalance, per il passo breve, per la freddezza della risoluzione. Famosa la sua finta davanti al portiere tedesco Sepp Maier nella partita più bella della storia, la semifinale Italia-Germania allo stadio Atzeca di Città del Messico in Mexico 70: il gol del 4-3 che fa vincere gli azzurri è di Rivera, che finta di tirare da una parte e invece lo fa dall’altra, e Maier si getta dalla parte opposta. Un capolavoro di nonchalance in un momento da tremarella dei polsi e soprattutto delle ginocchia. Rivera non è nemmeno freddo, di quella freddezza  da killer d’area di rigore: lui è sornione, quasi distaccato, un ballerino di prima fila, un dandy del calcio; non sregolato e folle come Gorge Best, il genio irlandese multiforme che metteva insieme uno straordinario talento con un appetito insaziabile di alcol donne e motori. Rivera è misurato, è un puma che scatta d’improvviso sulla preda, ma ha anche un carattere forte che gli permette di rispondere ai suoi detrattori innescando polemiche delle quali a volte non si vede la fine. E’ un capitano, una bandiera del Milan che guidò dal campo per più di un decennio.

[Foto: Gianni Rivera nel 1975.]



Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :

Magazines