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Il gran rifiuto di Giovanni De Prà, portiere che giurò amore eterno al Genoa

Creato il 18 febbraio 2013 da Controcalcio

di Manuel Proietti

Quanto conviene partire da Genova e arrivare a Torino già con la consapevolezza di dover fare un viaggio a vuoto? Sarebbe stato bello chiederlo a Giovanni De Prà, storico portiere del Genoa, eroe di un calcio che non c’è più, brillante emblema d’amore per la maglia. Sarebbe stato bello chiederglielo essendo stato lui il protagonista di questo viaggio, ma forse la risposta possiamo trovarla leggendo tra le righe del favoloso libro della sua vita

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Giovanni De Prà nasce nel capoluogo ligure nel 1900 e capisce subito di amare il calcio quando inizia a passare interi pomeriggi tra due platani, la sua porta immaginaria; lui, invece di calciare il pallone come tutti gli altri bambini, preferiva che la sfera non oltrepassasse quei due platani: voleva diventare portiere. La sua passione aumenta sempre di più con il passare degli anni e decide di fondare insieme a degli amici una piccola società di calcio chiamata Aquila. Inizia a giocare poi in piccole società fino ad arrivare alla Spes, con la quale, a soli diciassette anni, arriva dalla terza alla prima divisione. De Prà è giovane, fortissimo e stupisce tutti. A notarlo è anche William Garbutt (ancora oggi, definito il padre di tutti i mister del nostro calcio), allenatore del Genoa, che lo vuole in rossoblu a tutti i costi; De Prà non esita davanti alla proposta dei genoani e nell’estate del 1921 approda alla corte di Garbutt.

È solo l’inizio di un grande amore che durerà dodici anni. Il portiere diventerà un idolo per i suoi tifosi, anche per la sua grande correttezza e signorilità in campo. Approda in nazionale e con la maglia azzurra si toglie molte soddisfazioni, ma è in un particolare Italia – Spagna che attira ancor di più i riflettori su di sè. La partita mette in mostra un monologo spagnolo, la Nazionale soffre ma l’orgoglio di De Prà è più forte: il “Ragno” (così lo soprannominarono i tifosi del Genoa) para qualsiasi cosa ci sia da parare e inoltre subisce molti colpi proibiti nelle uscite: calci, pugni e altre scorrettezze. Il portierone non fa una piega, non subisce gol, al triplice fischio esce dal campo come un eroe e il Guerin Sportivo decide di conferirgli un medaglia d’oro per onorare la partita contro gli iberici. Quella medaglia appena ricevuta, la regalerà al suo pubblico.

Poi un giorno arrivò quella chiamata da Torino; il conte Enrico Marone Cinzano lo voleva a tutti costi all’ombra della Mole per vestire la maglia granata. De Prà partì per incontrare il presidentissimo: avrebbe tradito il suo eterno amore per la maglia rossoblu? Arrivato in Piemonte, venne ricevuto dal conte Cinzano che addirittura gli consegnò un assegno in bianco. Bastava una firma e una cifra da inserire a suo piacimento; De Prà in quel momento era l’artefice del suo destino, ma da quella penna non uscì neanche un puntino d’inchiostro e gelò il patron granata con parole che entrarono nella storia del Genoa. Guardò il patron torinista e disse:”Sono genovese, genoano e tale resto”.

E allora sì: è convenuto fare quel viaggio. Perché dimostrazione di un amore infinito, di un attaccamento alla maglia come pochi se ne sono visti e se ne vedranno nella storia del calcio. Perché ogni bambino che inizierà a fare calcio a Genoa e non solo, quando si farà raccontare da qualcuno chi era Giovanni De Prà, cosa fece in quel di Torino e per una vita tra i pali a difendere il Genoa, capirà cosa vorrà dire rispettare, difendere ed amare la propria maglia.

 



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