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Il grande calcio a Lucca: storie del presente del passato ricordando Ernő Erbstein

Creato il 22 febbraio 2014 da Marvigar4

Il grande calcio a Lucca

Sabato 22 febbraio alle ore 17 presso la sala conferenze del Museo della Liberazione di Lucca si terrà la presentazione del libro “Calciodangolo” di Marco Vignolo Gargini (Prospettiva).

Il calcio visto da un altro angolo, quello dei “vinti”, squadre e giocatori che nel corso delle loro vite hanno dovuto assaporare il gusto amaro e anche iniquo della sconfitta. La Lucchese Libertas, una società dall’illustre storia (prima squadra italiana del centro-sud a fornire giocatori alla nazionale), cancellata dopo 103 anni di calcio professionistico, dichiarata fallita tre volte, a partire da un “bel” giorno d’estate del 2008. Il Livorno, sorpresa del campionato 1942-43, che resiste per 26 giornate in testa alla classifica e lotta fino all’ultimo per conquistare uno scudetto moralmente vinto, perdendolo solo a quattro minuti dalla fine del torneo grazie a un gol rocambolesco di Valentino Mazzola a Bari.

Lucchese Libertas, Livorno ma non solo.

Una top 11 formata da giocatori che nella propria attività agonistica e nella vita non hanno potuto godere della stessa fortuna di altri atleti più celebrati. Undici ritratti di carriere spezzate, persino dalla morte, o compromesse da infortuni, “fatalità” avverse, scelte societarie e/o tecniche meramente opportunistiche.

Dunque un incontro tra calcio e storia con al centro Lucca e le sue storie.

Presentano il libro Remo Santini e Andrea Giannasi, che ricorderanno con l’autore del libro Marco Vignolo Gargini anche Ernő Erbstein.

In occasione dei 70 anni dalla Liberazione la città celebra l’allenatore ungherese di origini ebraiche nato nel 1898, mite mediano, studia da allenatore e nel 1928 il Bari lo chiama ad allenare la squadra. L’anno dopo passa alla Nocerina, poi al Cagliari (dove vince il campionato di serie C), di nuovo a Bari, e poi approda alla Lucchese. Proprio a Lucca, Erbstein si impone all’attenzione generale, portando la squadra nel giro di tre anni, con due promozioni dalla serie C alla Serie A, e conquistando, nel 1936/37, un ottimo settimo posto a pari merito con l’Inter.

A Lucca Erbstein era osannato e sicuramente sarebbe rimasto volentieri, ma le prime Leggi razziali fasciste emesse a partire dal 1938 lo colpiscono direttamente. I suoi motivi di apprensione, specialmente per la sua famiglia, sono da prendere in seria considerazione. Si ritrova a non poter più far frequentare una scuola pubblica alle sue figlie. Decide così di accettare l’offerta della dirigenza piemontese dei granata a guidare il Torino: il trasferimento sarebbe servito, in parte, a giustificare alle sue figliole l’iscrizione in una nuova scuola privata.

Da Lucca porta con sé il portiere, Aldo Olivieri, appena diventato Campione del Mondo. In quella stagione i granata arrivano secondi alle spalle del Bologna. Ma Erbstein è sempre più preoccupato per la situazione politica italiana, le leggi razziali si inaspriscono e prima di essere travolto dagli eventi decide di portare la famiglia in salvo, con la piena disponibilità di Ferruccio Novo. Con l’aiuto della dirigenza granata e dopo un travagliato viaggio durato più di un mese riesce a rientrare a Budapest con tutta la famiglia. Si tiene in contatto con Novo grazie anche al suo nuovo lavoro di rappresentante tessile per una ditta italiana, riuscendo anche ad incontrarsi segretamente, per tessere le strategie future per la costruzione di una grande squadra. È certo che Novo lo abbia consultato per gli acquisti di Ezio Loik e Valentino Mazzola.

Tutto questo fino al 1944, quando anche l’Ungheria viene occupata e la crudeltà dei nazisti magiari colpisce Erbstein che viene rinchiuso in un campo di lavoro. Riesce però a fuggire e a darsi alla vita clandestina. Ripara presso Raoul Wallenberg al consolato svedese, dove molti ebrei avevano trovato rifugio e dove rimane fino all’arrivo dei sovietici. Giungerà sulle rive del Po solo a guerra finita.

Dopo la guerra, fu rintracciato dal presidente Novo e fece il suo ritorno nella squadra granata in qualità di consulente prima e di direttore tecnico poi. Il Torino, non appena ricominciò l’attività agonistica, continuò a vincere scudetti su scudetti. La sua supremazia non si limitava al campo, ma anche a tutto il resto: il vivaio, l’organizzazione di consulenti e osservatori, il tutto sotto la supervisione di Erbstein. Nella stagione 1948-1949, affiancato da Lievesley, tornò ad allenare, e con la solita facilità Mazzola e compagni conquistarono lo scudetto, il quinto consecutivo: era nata la leggenda del Grande Torino.

Il 4 maggio del 1949, la squadra e lo staff tecnico, che rientravano in Italia dopo aver disputato un’amichevole a Lisbona, si schiantarono contro la scarpata della Basilica di Superga. Non vi fu nessun sopravvissuto.

Erbstein è sepolto nel Cimitero monumentale di Torino.



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