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Il Kosovo alle urne: prove tecniche di normalizzazione

Creato il 10 giugno 2014 da Bloglobal @bloglobal_opi

Il Kosovo alle urne: prove tecniche di normalizzazione

di Annalisa Boccalon

Si sono svolte domenica 8 giugno le elezioni politiche anticipate nello Stato più giovane d’Europa. Le consultazioni elettorali, che hanno visto trionfare il Partito Democratico del Kosovo (PDK), riconfermando il Premier uscente nonché ex leader dell’Esercito di Liberazione del Kosovo (UÇK) Hashim Thaçi, sono state le prime elezioni pienamente inclusive sul piano etnico dal 17 febbraio 2008 – ovvero da quando Priština si è dichiarata indipendente da Belgrado – vista la partecipazione anche degli elettori serbi delle municipalità delle aree settentrionali. Secondo i dati forniti dalla Commissione Elettorale Centrale, il PDK ha dunque ottenuto il 31% dei voti, mentre il principale partito d’opposizione, la Lega Democratica del Kosovo (LDK) dell’ex sindaco della capitale, Isa Mustafa, si è fermato a poco più del 26%. Mentre Alleanza per un Nuovo Kosovo (AKR), formazione dell’ex Presidente Behgjet Pacolli e membro della coalizione di governo, ha registrato solo il 4,7% dei consensi e il movimento nazionalista Vetëvendosje! (Autodeterminazione) di Albin Kurti si è confermato essere il terzo partito con il 13,5% dei voti, il risultato più sorprendente è stato il 5,2% ottenuto dal nuovo partito Iniziativa per il Kosovo: meglio conosciuto come Nisma, questo è stato fondato nel marzo scorso dall’ex braccio destro di Thaçi e già Ministro dei Trasporti e delle Telecomunicazioni fino alla fine del 2013, Fatmir Limaj, e dall’ex portavoce dell’UÇK e Presidente dell’Assemblea Nazionale, Jakup Krasniqi.

Si tratta di un risultato che ha tutto sommato sostanzialmente ricalcato le previsioni dei sondaggi della vigilia che davano in vantaggio il PDK con il 30%, seguito a ruota dal LDK con il 27%, mentre Vetëvendosje! si attestava al 17%. In totale hanno partecipato alla competizione elettorale 30 formazioni politiche, appartenenti non solo alla maggioranza kosovara, ma anche alle molteplici minoranze etniche presenti nel Paese: 8 formazioni a rappresentanza della maggioranza albanese, 5 della minoranza serba, 6 di quella bosniaco-musulmana, 3 dell’etnia rom, oltre ad altre rappresentanti le minoranze turche, egiziane, gorani e ashkali. La consultazione elettorale è stata monitorata da una missione di osservazione elettorale dell’Unione Europea di 90 delegati guidati dall’europarlamentare PD Roberto Gualtieri. L’OSCE aveva peraltro affiancato le autorità locali nelle fasi pre-elettorali. Le elezioni si sono svolte in un clima pacifico e sereno, grazie alla collaborazione multinazionale tra la Kosovo Police, EULEX e KFOR.

Lo scioglimento del Parlamento di Priština – Composto da 120 deputati – di cui 20 rappresentativi delle minoranze etniche, in particolare di quella serba a cui spettano 10 seggi (sono 120mila i Serbi su una popolazione di 2 milioni di abitanti) –, il Parlamento kosovaro aveva deciso il proprio auto-scioglimento lo scorso 7 maggio. La mancanza di una maggioranza parlamentare aveva indotto ad anticipare la tornata elettorale prevista comunque per il prossimo autunno. La causa della crisi politica – sulla cui accelerata è lecito supporre abbia comunque inciso il generale calo di consensi nei confronti del partito di maggioranza – era stata la proposta di trasformazione delle 2500 unità attualmente presenti nelle forze di sicurezza kosovare in un esercito composto da 5000 militari e 3000 riservisti. Secondo le disposizioni costituzionali del Kosovo per approvare la creazione di forze armate nazionali è necessario ottenere il voto favorevole dei 2/3 dei parlamentari, compresi i 2/3 dei sì delle minoranze etniche. La minoranza serba, però, si è opposta al provvedimento, subordinando il proprio voto favorevole all’ottenimento di seggi ad essa riservati nel prossimo Parlamento.

L’ultimo atto licenziato dall’assemblea uscente è stato dunque quello relativo all’approvazione della proroga della missione dell’UE nel Paese, EULEX, e l’istituzione di un Tribunale speciale per i presunti crimini di guerra commessi dall’UÇK tra il 1998 e il 1999 – punto che non ha mancato di suscitare reazioni contrastanti anche all’interno dell’opinione pubblica – sulla base di un Report del 2010 del Consiglio d’Europa, secondo il quale la maggior parte dell’attuale classe politica del giovane Paese si sarebbe macchiata negli anni della guerra contro la Serbia di gravi reati quali torture, traffico di droga, traffico di organi, oltre che di un indefinito numero omicidi. EULEX nel 2011 ha peraltro creato uno speciale ufficio investigativo con lo scopo di indagare proprio su tali crimini: gli esiti delle indagini dovrebbero essere resi noti entro la fine del 2014.

Le questioni interne – La conclusione anticipata della legislatura ha interrotto, di conseguenza, l’iter delle riforme, già di per sé piuttosto lento (in particolare quello relativo alla riforma elettorale, auspicata dall’UE), che avrebbe dovuto portare anche ad un esame approfondito dei brogli elettorali riscontrati in occasione delle precedenti elezioni politiche del 2010, le prime dopo la dichiarazione d’indipendenza, che assegnarono la vittoria al PDK (all’epoca ottenne il 33,5% di voti).

Ancora, i principali problemi cui la nuova maggioranza parlamentare dovrà dare risposte sono legati agli elevati livelli di corruzione nel Paese, che pongono il Kosovo al 111esimo posto su 177 Paesi al mondo secondo l’indice 2013 di Transparency International; il tasso di disoccupazione, che ha raggiunto il 35%; la mancanza di investimenti economici, dovuti all’alto livello di corruzione, zavorra per lo sviluppo economico e infrastrutturale dello stesso Paese. Anche la situazione sociale continua a non essere del tutto rassicurante: a febbraio gli universitari di Priština hanno protestato contro il malcostume imperante tra i professori dell’Università statale, i quali erano soliti pagare per la pubblicazione dei propri articoli su false riviste scientifiche. Le manifestazioni, che hanno condotto anche alle dimissioni del Rettore, erano rivolte, inoltre, alla fine della lottizzazione politica dell’università, che portava alla conseguente mancanza di trasparenza, soprattutto nell’assegnazione delle borse di dottorato.

I rapporti con la Serbia – Le elezioni dello scorso 16 marzo in Serbia hanno decretato (con il 48,8% dei voti) la vittoria dei conservatori del Partito Progressista Serbo (SNS) di Aleksandar Vučić. Il Premier ha annunciato da subito «riforme economiche sostanziali», per trainare il Paese verso l’ingresso nell’Unione Europea. Oltre alle riforme interne necessarie per l’adeguamento all’aquis comunitario, i rapporti con Priština – la cui indipendenza non è ancora riconosciuta da Belgrado – restano la questione più spinosa per il prosieguo del processo di integrazione europea della Serbia. Le elezioni politiche kosovare si sono inoltre tenute ad un anno dalla stipula del “Primo Accordo sui principi della normalizzazione delle relazioni”, meglio noto come Accordo di Bruxelles (19 aprile 2013), cui Thaçi e Dačić erano pervenuti grazie alla mediazione dell’UE e dell’Alto Rappresentante per la Politica Estera e la Sicurezza, Catherine Ashton. L’intesa ha reso possibile da un lato l’avvio dei negoziati di adesione all’UE per la Serbia (la prima Conferenza Intergovernativa si è svolta il 21 gennaio), dall’altro l’inizio dell’iter procedurale per la firma dell’Accordo di Associazione e Stabilizzazione per il Kosovo (formalmente cominciato il 28 ottobre scorso). Il primo test per la riuscita dell’accordo erano state le elezioni locali del 3 novembre, le prime a cui hanno partecipato i serbo-kosovari del Nord, quale primo passaggio di un processo che dovrebbe portare, in un futuro prossimo, alla creazione dell’Associazione delle municipalità serbe. I boicottaggi da parte Serbi, gli incidenti e gli scontri durante le operazioni di voto (emblematico è il caso di Mitrovica, dove l’incendio doloso di un seggio elettorale in una scuola ha costretto al ritiro degli osservatori dell’OSCE da tutto il Kosovo settentrionale) hanno costretto alla ripetizione delle elezioni, svoltesi infine il 24 febbraio in un clima di sostanziale tranquillità. La bassa affluenza alle urne – poco più del 20% – ha reso le elezioni dell’8 giugno ancora più rilevanti per una valutazione della maturità del Kosovo.

A livello nazionale la partecipazione elettorale questa volta è stata del 43%, mentre sul piano locale nelle aree settentrionali le percentuali sono rimaste basse anche se in aumento: a Mitrovica del 17,6%, a Zvečan del 23,4%, a Leposavić del 24,8% e a Zubin Potok del 36,1%. Considerazioni di tipo politico (leggasi appunto i negoziati in corso con l’UE) avevano indotto Belgrado ad invitare serbo-kosovari a non boicottare il voto, chiedendo di dirottare le preferenze su Lista Srpska, appoggiata dallo stesso governo:  con il 4,1% dei voti (2,91% senza considerare quelli espressi dalle municipalità del Nord) la formazione di Aleksandar Jablanović  non è tuttavia riuscita a superare la soglia di sbarramento del 5% prevista per l’ingresso nel Parlamento nazionale, ma costituisce un importante punto di partenza per la normalizzazione dei rapporti tra le comunità.

Il ruolo di Kosovo Force – Nel complesso, la missione NATO  in Kosovo, tuttora a guida italiana, ha dato un contributo importante al sereno svolgimento delle operazioni di voto, per quella che il Generale di Divisione Salvatore Farina ha definito “una pietra miliare nel processo di normalizzazione delle relazioni tra Pristina e Belgrado, un esempio di democrazia e pluralismo”. Dalla nota diramata dal contingente italiano in Kosovo si apprende che in preparazione al voto è stata condotta un’accurata attività finalizzata alla pianificazione dell’operazione: il personale di KFOR ha dedicato particolare attenzione a garantire la presenza delle forze in corrispondenza delle zone ritenute a più alto rischio con particolare riguardo alla parte nord del Paese. In particolare, il 52° Reggimento Artiglieria Terreste `Torino´, ha operato nella parte ovest del Kosovo coordinando le attività delle forze multinazionali di Austria, Moldova e Slovenia mentre i Carabinieri, inseriti nella Task Force a guida americana, hanno concentrato la loro presenza a nord.

KFOR è giunta ormai al 15esimo anno di attività. Quest’anno, la sua attività è stata caratterizzata da una novità importante, che ha permesso di dare una prima forma di normalizzazione al Paese: a inizio aprile, infatti, è stato riaperto lo spazio aereo civile sopra i cieli kosovari consentendo il sorvolo diretto di velivoli civili lungo le rotte internazionali.

Le prospettive future – Nel complesso non si può negare che il Kosovo, almeno sul piano istituzionale, abbia dato prova di un maggior consolidamento dello Stato di diritto, come dimostrato dal sereno svolgimento del processo elettorale e dalla partecipazione della minoranza serba al voto. Tuttavia, le elezioni hanno premiato l’attuale classe politica, ovvero la stessa che sinora non è stata in grado di sradicare gli alti livelli di corruzione che permeano il Paese, né di porre in essere misure di politica economica capaci di agganciare la crescita. I risultati dell’investigazione sui crimini di guerra commessi dagli ex vertici dell’UÇK, inoltre, gettano un’ombra importante sulla classe politica che guida il Kosovo e il lavoro che verrà condotto dal tribunale speciale, se confermerà le accuse mosse quattro anni fa dal rapporto del Consiglio d’Europa, potrebbero aprire un nuovo capitolo nella storia politica del Paese.

La normalizzazione del Kosovo, tuttavia, si dimostra ancora una volta un processo che, seppur avviato, non può prescindere ancora né dalla presenza internazionale sul territorio kosovaro, né dalla mediazione politica e diplomatica dell’Unione Europea – per quanto resti ambiguo il quadro giuridico all’interno del quale essa si muove –, a cui si deve quanto meno il merito di aver condotto Priština e Belgrado attorno allo stesso tavolo e aver indotto la Serbia, con l’incentivo dei negoziati di adesione, a contribuire al progressivo raffreddamento della sua ex provincia a maggioranza albanese.

* Annalisa Boccalon è Dottoressa in Scienze Internazionali e Diplomatiche (Università di Trieste)

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