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il Leo goes to Andy - riflessioni/emozioni dopo la visita del 02/03/2014

Creato il 15 marzo 2014 da Roberto Milani
Si è da poco conclusa la grande mostra a Palazzo Reale di Milano dedicata al genio della Pop-Art americana: Andy Warhol (http://www.warholmilano.it/)...
il Leo goes to Andy - riflessioni/emozioni dopo la visita del 02/03/2014
Un cronista d'eccezione, Antonio Leo, la visitata nel penultimo fine settimana d'apertura e così commenta:
Warhol @ Milano - riflessioni/emozioni dopo la visita del 02/03/2014 
Andy goes to Milano (in una Milano non più da bere)
il Leo goes to Andy
Si inizia con l’audioguida, e la cosa prende il tono sbagliato di un Bonami che  Si crede Picasso. In compenso la voce regalata a W. è stucchevole, a tratti irritante. Accentua il suo carattere fragile, instabile, malato, vulnerabile. Azione non corretta, ma non posso che essere l’ultimo a farlo notare.
Ecco la collezione della The Brant Foundation di Peter Brant, che presiede anche Interview (nessuna copia del magazine è però presente nell’allestimento..)
Iniziamo con una Greta Garbo del 1962 ed un profilo di donna, un disegno sempre del 1962, con graffi in blu, occhi chiusi, incantevole, un parallelo alla Girl with hair ribbon di Roy Lichtenstein del 1965. Alle volte basta poco x innamorarsi.
2 Natività,  con Gesù sempre con gatto abbracciato, simpatico.
Dead stop e carta da pacchi x star. Nella sala, Liv Taylor ospite principe di un pop che diventa -art accessibile. Reparto supermarket: Tomato Ketchup with Campbell's Soup Can, le box e una cassetta in legno con 24  silver coke bottles. A far da guardia, Dick Tracy. Poi.. davanti & di profilo. Foto segnaletica in grande formato del most wanted man # 5 d’America. Si va nel casino. Reazioni, la comunità italiana s’incazza vista l’origine del criminale, la comunità americana s’incazza viste le pene decadute.  Va rimossa. Ok, mettiamoci il direttore dell’esposizione. Niente, s’incazza lui. Rimuovere. W. si autocensura, colorando tutto in argento. L’allestimento è pronto.
Sopra la porta, poco visibile, un selfie. Ora sarebbe cool.
Sala 145, la migliore. Un portfolio di 15 electric chair con una perfetta illuminazione. Poi noti bene, l’illuminazione arriva direttamente dalle opere. Stupende.
Green disaster del 1963, ottima per un Cronenberg di Crash ma tanti anni prima. La morte ti prende in modo imbarazzante, l’immortalità è vanità, è continuare ad esser desiderati. Probabilmente per W. da Basquiat. Oxidation painting in altra sala, influenze astratte (le uniche) di un dripping Pollock-style.
Flowers. Grandi, rettangolari, e..mancano le dimensioni !!! In tutte le opere mancano le dimensioni !!! Inconcepibile.
Shot Light Blue Marilyn (1964). Bionda, sorridente. Un buco bianco di pallottola in mezzo agli occhi: “ammirare e colpire”. Dorothy Podber fece il solo gesto che ancora fa parlare di lei e, sparando alla tela “she got Marilyn right between the eyes”. In perfetto stile femminista, era il solo modo per possedere Marilyn. Si chiama invidia. Per curiosità..accostate la polaroid di Farrah Fawcett. Di Solanas, altra femminista che riuscì meglio nell’intento, è scritto solo nel pannello di skull in altra sala, dove si parla della morte. E…ecco il comunista Mao, diventato prodotto-carta-da-parati, ma sempre brutto, accostato spietatamente al dollar sign. 
Nella stessa sala la più azzeccata vena/anima pubblicitaria di W.:vuoi Nixon? Affideresti la tua vita a lui? Vote Mc Govern!
- Mr W., quali vorreste fossero le sue ultime parole famose?  - “Goodbye”.
Allo stesso modo, “Goodbye”. Gesù lascia perdere il gatto, il tempo per un the last supper (1986) di gruppo + dettaglio e possiamo andare.
Extra: stupende le sedute stile kayak in vetroresina quando gialla, quando rossa, blu o bianca. Di Jean Marie Massaud, designer di Tolosa.
Antonio Leo

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