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IL LEOPARDO - di Jo Nesbø

Creato il 01 settembre 2011 da Ilibri
IL LEOPARDO - di Jo Nesbø

Titolo: Il leopardo
Autore: Jo Nesbø
Editore: Einaudi
Anno: 2011

Una premessa: Il leopardo non c’entra nulla. Il titolo norvegese “panserhjerte” evoca un cuore blindato che, senza dubbio, è quello del protagonista, Harry Hole. Non evoca nemmeno le caratteristiche del killer, che gli investigatori battezzano “il cavaliere”. Ora, anche dando per scontato che un feroce assassino seriale in Einaudi non avrebbe mai potuto essere chiamato “Il Cavaliere” e che qualsiasi romanzo intitolato così nel nostro paese avrebbe evocato altro, il mistero sulla scelta del titolo italiano permane.

Altra premessa, più importante (poi ritorniamo ad Harry, promesso): sino a tre quarti, questo romanzo è uno dei migliori thriller scandinavi mai usciti! Poi Nesbø, magistrale sino a quel momento, la butta un po’ in vacca (si può dire?) ma resta il fatto che mi ha tenuto inchiodato per tutte le 759 pagine!

Torniamo ad Harry. Harry Hole è messo male. Buttato in una fumeria d’oppio a cercare di ricucire le proprie ferite nell’anima e nel corpo. Vorrebbe essere dimenticato, ma non succede. Non succede perché lui è il miglior investigatore norvegese e a Oslo sono state trovate morte due donne con ventiquattro ferite in bocca. Morti identiche e tremende: è stato il loro stesso sangue a soffocarle. Perciò la bella Kaja Solness va a cercare di riportarlo in patria. Per farlo è pronta a tutto, anche a rivelare a Hole che l’anziano padre è in fin di vita. E’ l’argomento vincente: Hole rientra in Norvegia e, da quel momento, la sua vita è spaccata tra l’assistenza al genitore, con cui tenta di tessere o ritessere un tardivo rapporto, e un’indagine intricatissima, nella quale solo Hole, nonostante tutto e nonostante tutti (a partire dall’ambizioso capo di Kaja, il capitano Mikael Bellman) riesce a scorgere nessi tra altre morti, apparentemente senza legami.

Un ottimo thriller, che sconta solo un po’ di eccessi di colpi di scena e di “hard-to-die”ismo del protagonista nell’ultima parte. Un po’ alla Deaver, per capirci. E questo, per tanti lettori, non è certo un difetto!


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