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Il libro che non c’è, la Casalinga di Voghera e altro ancora senza importanza

Creato il 11 giugno 2010 da Sulromanzo
Il libro che non c’è, la Casalinga di Voghera e altro ancora senza importanza
Di Giovanni Ragonesi
Scegliere il libro giusto da leggere
In taluni momenti, in talune fasi del proprio affaccendarsi quotidiano, non si trova nulla da leggere. Lo sguardo si aggrappa curioso e sconsolato agli scaffali di casa in cerca di una costa che susciti ispirazione. A volte capita di trovarla in un titolo che mesi fa, dagli scomparti lucidi di qualche libreria a ridosso del centro, o da qualche bancarella di un polveroso mercatino domenicale, ci ha attratto in maniera speciale, o per via del suo suono, oppure perché evocativo di chissà più che cosa… Eppure adesso, aperto tra le mani infastidite dal tasso d’umidità che raggiunge e oltrepassa l’80%, non riesce a incatenarci oltre pagina 10. Non era quello che si cercava, non si riesce a proseguire e sfogliare un’altra pagina sembra impresa così ardua che pare di più semplice realizzazione il trasporto di una cassa di pietre su per i sentieri di un erboso colle appenninico.Il libro sfortunato lo si abbandona lì, sul primo tavolino a portata di mano o sul primo ripiano che ha spazio per accoglierlo, ubbidendo con discrezione a quel principio di estetico disordine che alberga nel DNA di ogni librofilo, sempre suo malgrado.Il giorno dopo magari, alla fine di una giornata trascorsa nell’ossequio remissivo al proprio contratto di lavoro definito da una serie di C che assai di frequente si trasformano in acronimi oltraggiosi, ritemprati e poi afflitti dalla lettura di pagine sparse di quotidiano e di approfondimenti destabilizzanti da settimanali che ammiccano al radical chic senza mai rinunciare al pop, si decide di disertare un aperitivo già fissato (dopo tutto si ha la fortuna di non essere Angela Merkel e tantomeno uno qualsiasi degli Elkann) e ci si avventura trepidanti tra le trincee di una libreria, disposti a scavare e sporcarsi, desiderosi – bisognosi – di scoprire qualcosa, un libro, il libro che in questo momento abbiamo un disperato bisogno di leggere, senza sapere qual è.Dalle classifiche, per vezzo innato e per sfiducia antropologica nelle masse al potere, ci si mantiene debitamente a distanza: per cui niente gialletti ingegnosi e noir metafisici (quindi lontani da Camilleri e Carofiglio e neppure stilosissimi nordeuropei); niente saggistica e neanche Citati (fortuna sua – e del suo conto in banca – così cicisbeo); niente sentimentalismi di buona creanza (neppure se targati e/o); non autori con sovraesposizione mediatica o rubriche su settimanali che furono rosa o d’antico e inutile lignaggio.Oltrepassati dunque i banchi iniziali ci si inoltra dove si ha la possibilità più alta – e lo si dice con baconiana esperienza – di fare qualche intrigante scoperta, dove tempo fa ad esempio è stata avvistata Lorenza Foschini (abbandonati i telegiornali socialisti, gli angeli e i misteri) avventurarsi sulle tracce di un cappotto di Proust, dove Gilbert Adair si è divertito a raccontarci la storia vera del vero Tadzio (con acclusa corretta pronuncia originale e digressioni sul feticcio visconteo), dove un coraggioso editore ha riproposto le gesta di Zuleika Dobson narrate da Max Beerbhom (imperdibile apologia del camp)… banchi librari come spiagge che accolgono perle deposte da incontrollate e bulimiche maree.Stavolta però la trincea mette alla prova le soglie di tolleranza. Non è giornata, non è periodo per le boreali e lucide e fredde intelligenze del meglio della narrativa nostrana recente, per i complotti e i cori e le innocenti digressioni sulla antropologia mutante e le trame piduiste negli anni ’80 e i link con avamposti americani tra delillianesimo e wolfismo. Poi si viene schiacciati, atterriti, nauseati dalla sterminata quantità di editori piccoli, esimi e infimi che con insipienza mandano allo sbaraglio non meglio identificate linee editoriali.Si seguita, con ardore. Ma… quel Voland è stato anticipato sulle pagine di D di Repubblica, e neppure in quella sede è riuscito a conquistarsi la nostra fiducia. Quella casalinga aborigena ci fa solo rimpiangere la nostra casalinga di Voghera (e per chi non lo ricordasse, o per chi pensa sia solo una arbasiniana figura retorica, è il caso di rimembrare, e magari correre il rischio di rendere wallaceiana questa parentesi, che la Casalinga di Voghera aveva ed ha un nome ed un cognome, ed è quello di Carolina Invernizio, vendutissima e smerdatissima – dalla critica, compreso Gramsci che la appellava come gallina – scrittrice di fine ‘800, autrice di successo per Salani – ben prima della Rowling – che ha riempito gli scaffali della media borghesia, piemontese e umbertina e infine anche littoria, la quale ne traeva maggior piacere che da un pastorizzato D’Annunzio, e dopotutto la Signora era una di loro, molto italica – e pertanto esterofila nel furto di maniera – nel gusto e nel pensar le cose, e se un tendaggio da pagina 20 a pagina 81 cambiava di colore che vuoi che sia… così come, d’altronde, prima ti ammazzava con una revolverata, ma se più avanti, per esigenze coreografiche, era meglio utilizzare un coltellaccio, la signora Invernizio – molto andreottiana – ti cambiava arma del delitto, e a tutti andava bene). Quel Bevilacqua incoronato fa paura e tra 10 anni, si sa già, lo riproporrà Adelphi scansando la naftalina e sostituendola con essenza chimica di alloro. La signora B., col suo nobile casato e qualche carta ben giocata, nottefacendo oramai sforna più pagnotte delle cucine elettriche dell’Esselunga, e non si ha la voglia di mettersi a spulciare dietro le troppo bianche copertine, le si lascia lì, chiuse come i portagioie di una vecchia zia troppo freak.Non sembra esserci nulla e si esce dopo mezz’ora con uno sconforto interiorizzato, un nichilismo pungente, senza la più vaga ombra di stella polare.Cosa vogliamo?Cosa stiamo cercando?Che libro vorremmo in questo momento?Non sapremmo. Un libro breve ma intenso, sofferto ma gioioso, timido ma esemplare, intelligente ma senza esibizionismo, discreto ma che sappia scavare, emotivo ma senza sentimentalismo. Lo si vorrebbe in formato sobrio, senza stramberie di dimensioni o angolature, carta decente, immagine consona se proprio deve essercene una. Un piccolo gioiello, qualcosa che ci possa ricordare in una qualche – strana e imprevedibile – maniera il Tonio Kröger o i Tre sentieri per il lago o Il nostro bisogno di consolazione o Pellegrinaggio o La dedica… In certi particolari momenti del nostro affaccendarci quotidiano non sì è disposti a giocare al ribasso, si pretende con intransigenza, come a certi consigli dei ministri di metà legislatura. Ma per l’appunto, come certi primi ministri (si pensi a uno Spadolini – magari bis – o ad un depressissimo Prodi), oltrepassata una certa soglia, si incassa mestamente la sfiducia, e come una dignitosissima – fraseriana – Maria Antonietta si china la testa nel raccogliere le proprie carte dalla imponente scrivania mussoliniana di ciliegio (restaurata su premure dalemiane) e ci si congeda. Si scendono le scale – antipoliticamente senza ritorno – per l’ultima volta: se le pensioni non si possono risanare, se il welfare sembra oramai solo un relitto laburista temporalmente inadatto, se il PIL è destinato a rimanere sostanzialmente invariato nel prossimo quinquennio (attentati permettendo), se l’universo si espande senza concederci tregua, se Padre Pio può passare dagli annali psichiatrici a fenomeno turistico, se l’ecologia può diventare un business planning, se un vasodilatatore per l’ipertensione polmonare può risolvere problemi di impotenza, se sua santità sembra ossequiare la fenomenologia – un po’ Husserl un po’ francofortese – di Lady Gaga e nel contempo controllare il 22% del patrimonio immobiliare della capitale, se Alain Delon continua a non riconoscere il figlio – suo clone – avuto con Nico, se la Coca Cola spende più soldi per fare le lattine che la bibita… beh allora possiamo riconoscere, certi di non avere nulla da aggiungere, che esiste ed è concreta la possibilità  che in certi momenti di questo fragile vivere non vi sia nulla da leggere, non c’è libro o storia o prosa o qualsivoglia suppellettile che riesce a trovare un accordo con le nostre esigenze.Ed è forse in uno di questi momenti che si sorride con una consapevolezza in più di quella vecchia boutade del caro Giorgio Caproni che diceva che in Italia la poesia è come la pasta, ognuno preferisce farsela in casa.Vale a dire: se non hai un buon romanzo da leggere, scriviti da solo almeno una poesia.

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