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il libro del cuore della settimana, Pioggia di giugno, Jabbour Douaihy, Feltrinelli

Creato il 09 settembre 2010 da Atlantidelibri
Beautiful Land/Beirut, Lebanon

Image by Sorgul® via Flickr

Elia è il protagonista di ‘Pioggia di giugno’,nato esattamente nove mesi e una settimana dopo un terribile fatto di sangue accaduto in una chiesa che segnerà l’inizio, nel 1957, della guerra fratricida tra potenti famiglie del Paese: siamo nel nord del Libano, tra i monti. Nato dopo quindici anni di infruttuoso matrimonio, su di lui aleggerà il sospetto di essere frutto di un’unione avvenuta proprio la notte precedente il massacro, prologo delle guerre civili che insanguineranno la nazione. Per questo motivo, per sfuggire ai sospetti, verrà allontanato dai genitori ed inviato lontano, prima a Beirut, poi a New York. Sarà proprio il ritorno al paese a scatenare la ricerca delle cause di una insensata guerra fratricida, dei motivi che hanno portato a decenni di stragi e morti, agli effetti sulle vite della popolazione, sulla scomparsa del padre. Una narrazione ferma, vivida e serrata, vista prima con gli occhi di un bambino che viene riportato con i compagni al villaggio, dopo i primi tragici fatti, accompagnato dal mesto e silenzioso pianto dell’autista del bus, per poi udire altre voci e altri punti di vista a dar vita all’opera. Un libro notevole, meritevole di entrare nella nostra personale top ten degli ultimi sei mesi! Ottimo!

Pioggia di giugno, Jabbour Douaihy, Feltrinelli

Elia, torna nel suo paese arroccato in cima alla montagna libanese per indagare sui motivi che lo hanno costretto, vent’anni prima, a partire per gli Stati Uniti… Una profonda indagine sulle cause e sugli effetti di ogni scontro fratricida. Una riflessione sulle fragilità delle ideologie, sulla caducità delle arroganze, sulle infinite varianti della resistenza degli umili.
Il libro
“San Michele è stato colpito all’ala da un proiettile calibro 14, san Giuseppe a un occhio. Un’altra pallottola è entrata nel breviario di padre Antonios, era un libro grosso e lui lo aveva in mano. Il pastorale del vescovo è caduto a terra, glielo abbiamo restituito soltanto due giorni dopo, quando il suo diacono è venuto a cercarlo. A quelli che le dicono che è stato colpito anche il tabernacolo, lei risponda che stanno mentendo, io l’ho visto coi miei occhi. Il confessionale sì, è vero, è stato crivellato di colpi. Dicono che, dentro, si fosse nascosto uno che sparava in tutte le direzioni…”

Pioggia di giugno non è soltanto la storia di un uomo, Elia, che, ai nostri giorni, torna nel suo paese arroccato in cima alla montagna libanese per indagare sui motivi che lo hanno costretto, vent’anni prima, a partire per gli Stati Uniti. Né soltanto la storia di sua madre, Kamleh, che in quel paesello ha consumato tutta la propria vita. Non è nemmeno soltanto la storia della faida tra due famiglie maronite che hanno condiviso un territorio angusto pur essendo separate da ataviche rivalità. Né soltanto la storia di un fatto di sangue avvenuto nel 1957, episodio che può considerarsi prodromo e paradigma della guerra civile che ha insanguinato il Libano dal 1975 al 1990. Pioggia di giugno è anche una profonda indagine sulle cause e sugli effetti di ogni scontro fratricida, una ferma denuncia dei danni del comunitarismo esasperato, una messa alla berlina delle velleità delle appartenenze identitarie, un’amara constatazione dell’impossibilità di rimanere neutrali.
In una carrellata, a tratti scanzonata, di individui strattonati tra la propria pochezza e qualche slancio di grandezza, Pioggia di giugno ci fa riflettere sulle fragilità delle ideologie, sulla caducità delle arroganze, sulle infinite varianti della resistenza degli umili e, per finire, anche sull’egoismo dell’amore.

Jabbour Douaihy
Professore di letteratura francese all’università di Tripoli, Jabbour Douaihy è nato nel 1949 a Zghorta in Libano. Lavora come traduttore e critico per L’Orient littéraire. Nel 2008 è stato tra i finalisti del Booker Prize per la letteratura araba con il romanzo Pioggia di giugno (Feltrinelli, 2010), dedicato al ricordo del giornalista Samir Kassir, al fianco del quale ha lavorato dal 1995 al 1998 nella redazione dell’Orient- Express.



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