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Il mal di scuola

Creato il 11 settembre 2012 da Faustodesiderio

Esistono solo due tipi di scuole: la scuola statale e la scuola libera. In Italia c’è il sistema della scuola statale che preferisco definire così e non scuola pubblica dal momento che la scuola è in sé pubblica (ma, per ora, lasciamo perdere questo tema, che pure è quello decisivo sia per capire cosa è la scuola sia come la si possa riformare con buoni risultati). La scuola statale funziona ad una sola condizione: che lo Stato sia autorevole e faccia sentire la propria autorevolezza. Come? Controllando. Purtroppo, la scuola italiana è da molto tempo una scuola fuori controllo che i governi hanno amministrato in modo clientelare per distribuire posti di lavoro tra le cattedre e gli uffici. Gli effetti di questa pessima politica scolastica sono stati deleteri non solo per gli studenti, le famiglie e gli stessi insegnanti, ma anche e soprattutto per lo Stato che di fatto ha rinunciato ad esercitare la sua autorevolezza che, nel sistema scolastico statale, è la fonte stessa della qualità dell’insegnamento. 
Le riforme della scuola si susseguono una dopo l’altra ma ottengono sempre scarsi e irrilevanti risultati. La grande macchina scolastica assorbe e neutralizza ogni cambiamento. Gli aspetti autentici della scuola – l’insegnamento, l’apprendimento, la preparazione, la formazione – sono secondari rispetto alla burocrazia che riguarda tutto. L’assunzione si chiama immissione in ruolo. La promozione ammissione. La bocciatura non-ammissione. Una volta si rimandava a settembre, oggi c’è la sospensione del giudizio. Il preside è ds: dirigente scolastico. I bidelli e le bidelle fanno parte del personale ata. Anche il risultato scolastico finale è figlio della burocrazia e serve per altra burocrazia: il diploma. La burocrazia non è un incidente di percorso del sistema scolastico: ne è la sostanza. Il valore della scuola è proprio – purtroppo – nella burocrazia. Il grande meccano burocratico orienta tutto verso il diploma in cui si concentra il valore del sistema. È un meccanismo diabolico che se non è compreso vanifica alla radice ogni tentativo di migliorare la scuola. Nella scuola libera il valore della scuola è nella scuola stessa – insegnamento e apprendimento – invece nella scuola statale con monopolio dell’istruzione il valore è nel diploma che è il frutto della macchina burocratica. Si può arrivare a questo paradosso: la scuola funziona benissimo ed è talmente perfetta da non essere più scuola. È una macchina auto-referenziale. Ecco perché il controllo nella scuola statale a carattere monopolistico è fondamentale: per riportare la scuola dalla burocrazia all’insegnamento e all’apprendimento.

Da un po’ di tempo si sta provando a introdurre nella scuola la verifica e la valutazione. L’Invalsi è l’istituto nazionale per la valutazione di istruzione e formazione: a tale istituto spetta il compito di redigere i test e somministrarli per capire se il lavoro scolastico dà o no buoni risultati. È un primo grado di verifica. Ne esiste un altro che riguarda gli ispettori dell’Invalsi che dovrebbero girare le scuole, vedere, verificare se funzionano o no, se son ben “dirette” dai dirigenti scolastici o no. La verifica non è fine a se stessa: ha lo scopo di migliorare le scuole che sono in difficoltà e di informare famiglie e società sui risultati. Le famiglie vogliono – o dovrebbero volere – il meglio per i loro figli e le informazioni sulle scuole che funzionano e le scuole che non funzionano sono preziose per orientarsi. In fondo, i genitori da sempre si informano su questa o quella scuola e le informazioni nelle città circolano con il passaparola. Il sistema Invalsi ha il compito di rendere disponibili queste informazioni sulla base di una verifica: teste e ispettori. Può funzionare? Può funzionare, ma con i limiti che ho segnalato sopra: anche le verifiche Invalsi corrono il rischio di essere assorbite nella grande macchina burocratica che è capace di neutralizzare anche i prodigi della mente di Leonardo.

L’Invalsi non è in grado di valutare gli insegnanti. È un nodo importante, se non il problema centrale. Una buona scuola è fatta da buoni insegnanti. Ma i buoni insegnanti vanno riconosciuti, gratificati, pagati. Una scuola che paga tutti allo stesso modo, il bravo professore e il pessimo professore, di fatto non è una scuola.

Purtroppo, in Italia gli insegnanti non chiedono e non vogliono essere valutati. Chi è il professore in Italia? Un dipende del ministero. Un impiegato dello Stato. L’insegnamento non è una libera professione ma un lavoro impiegatizio che appiattisce tutto. Nel sistema della scuola libera gli insegnanti sono scelti in base alla loro autorevolezza, alla preparazione, all’esperienza. Nel sistema della scuola statale monopolistica gli insegnanti se va bene sono reclutati da un concorso, se va male sono il frutto del precariato, delle graduatorie, dei corsi di abilitazione. Soprattutto sono il frutto di una seconda o terza scelta, insomma di un ripiego: male che vada c’è la scuola. L’insegnamento, purtroppo, non è legato all’idea di libertà e di libera professione, ma all’idea della sistemazione nell’impiego statale. Intervenire in questo punto specifico del sistema scolastico italiano cambiando lo status giuridico degli insegnanti – non più dipendenti ministeriali ma liberi professionisti – è fondamentale per provare a migliorare la scuola. A scegliere i professori, dopo che questi hanno superato un concorso, devono essere le stesse scuole che in questo modo saranno valutate proprio a partire dalla scelta che faranno dei loro insegnanti. I quali hanno tutto il diritto di contrattare il compenso e la funzione.

Oggi, proprio perché è un impiegato ed è inserito all’interno di una macchina burocratica che produce diplomati, l’insegnante è un burocrate e il suo primo compito è quello di tenere le carte a posto. La mortificazione della figura degli insegnanti si deve prima di tutto agli insegnanti che rifiutando anche l’idea del libero insegnamento di fatto si degradano nel lavoro burocratico fatto di collegi, consigli, riunioni, procedure che producono montagne di carte. È proprio questo il sistema che può funzionare al meglio, applicando in modo geometrico regole, circolari e procedimenti, e proprio perché funziona al meglio è le negazione della scuola. Una scuola perfetta è una scuola falsa: il suo cuore – insegnamento e apprendimento o formazione attraverso i mezzi della cultura – è stato svuotato dall’anima burocratica. In una scuola governata dalla burocrazia e indirizzata alla produzione di diplomati anche i controlli e le verifiche possono essere fasulli. Detto in due parole: il controllo è necessario ma insufficiente. Le carte possono essere a posto, ma il posto dove cercare la scuola non è nelle carte.
Se l’anima della scuola italiana è la burocrazia, la scuola che conta è nella casualità. C’è sempre da qualche parte un professore o una professoressa che è in grado non tanto di “svolgere” il programma quanto di “svolgere” l’alunno o l’alunna. La scuola è proprio qua: nell’utilizzo dei mezzi culturali – le materie – per formare i ragazzi. Le due cose vanno di pari passo: non si può ridurre tutto all’informazione – nozioni – ma non è possibile formare senza le nozioni. I due momenti – istruzione e educazione – non possono non andare insieme.

Una testa ben formata è sempre una testa ben fornita e una testa ben fornita è una testa ben formata. Mi rendo conto di aver usato una parola desueta, forse maleducata: educazione. Ma una scuola senza educazione è come una macchina senza ruote e senza motore. Educarsi significa condursi nel mondo con (relativa) autonomia. Chi insegna fa proprio questo a vari livelli: formare una persona autonoma che sia cioè in grado di dare la legge di condotta a se stesso. La scuola burocratica italiana svolge ancora questa funzione? Non lo fa da molto tempo. Produce diplomati che confidano nel pezzo di carta per trovare un impiego in un sistema sociale che (non) funziona sulle referenze burocratiche. Una scuola di questo tipo è quello che si può definire in modo calzante “corso di formazione”. Un po’ come una scuola guida o un corso di sommelier.
Che cos’è una scuola che è finalizzata all’esame di Stato se non un corso in cui si cerca di fornire ai corsisti delle abilità utili al superamento della prova? Cos’è questo se non un corso di formazione? Si dirà che è già una buona cosa. Può darsi, ma la scuola – sia per chi insegna, sia per chi impara, e le due funzioni non hanno ruoli fissi – è un’altra cosa.

Che anno scolastico sarà, questo 2012-2013? Veniamo da una stagione in cui si è abusato di una formula: i compiti a casa. La scuola italiana deve fare i compiti a casa. Oggi la scuola fa notizia. I giornali, la televisione e tutti gli altri “media” parlano della scuola e i “casi scolastici” si moltiplicano. I media farebbero bene a fare anche loro i compiti a casa. Si parla della scuola per l’uso dei telefonini, per le gite, per le fotografie su Facebook, per i precari, per le graduatorie, per i concorsi, per i libri di testo e per un’infinità di altre cose. Si parla tanto, troppo di scuola, eppure non se ne parla affatto. I problemi seri e veri della scuola non sono mai toccati. A cominciare da quello quantitativo: il sistema scolastico è ingovernabile perché è elefantiaco.
L’idea di amministrare la scuola ancora attraverso il ministero è stata sconfitta dalla stessa scuola. Lo Stato italiano non è autorevole in materia scolastica perché a partire dagli anni Sessanta ha rinunciato ad esserlo. La scuola di massa che è nata sulle regole del monopolio del diploma ha finito per danneggiare proprio i più bisognosi e i più meritevoli. Chi non ha altra minestra deve accontentarsi, ma chi può manda i propri figli a studiare altrove. I difensori ideologici del modello della scuola statale unica dovrebbero porsi la questione: è meglio avere una scuola statale ridimensionata ma autorevole o una scuola statale gigantesca ma scadente e cadente?
L’ennesima riforma non serve a niente. Va superato il sistema. Il modello unico, monopolistico e burocratico va sostituito con un sistema duale, libero e creativo. La scuola libera va immessa nel sistema con l’ingresso di privati, con scuole autonome, con professori liberi professionisti. La scuola oggi in Italia sta morendo per un eccesso di scuola. È ammalata di se stessa. Ha il mal di scuola.

tratto da Liberalquotidiano.it dell’11 settembre 2012


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