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Il mazziniano del 7° Cavalleggeri

Creato il 22 maggio 2010 da Mcnab75

Il conte Carlo Camillo Di Rudio nacque a Belluno in una famiglia di nobili: il padre era il conte Ercole Placido e la madre la contessa Elisabetta de Domini. Detto "Moretto" per i suoi capelli neri corvini, assieme al fratello Achille, fu avviato, appena quindicenne, alla carriera militare presso il Collegio di San Luca a Milano. Nel 1848 fu coinvolto nei moti lombardi delle cinque giornate di Milano e uccise, sempre con il fratello, un soldato austriaco croato responsabile di uno stupro e del conseguente assassinio di due donne. Trasferito a Graz, ritornò clandestinamente, accompagnato dal fratello Achille, a Belluno. Abbracciando gli ideali mazziniani, accorse generosamente alla difesa di Venezia seguendo il patriota compaesano Pier Fortunato Calvi. Fu sulle barricate di Venezia che Achille trovò la morte a causa di una infezione colerica.

 

Sfuggito alla polizia austriaca, Carlo di Rudio riparò a Roma in difesa della giovane Repubblica. Qui conobbe Garibaldi, Mazzini, i fratelli Emilio e Enrico Dandolo, Aurelio Saffi, Goffredo Mameli e Nino Bixio. Con Venezia occupata dall’esercito austriaco e Garibaldi esule in America a New York, anche Di Rudio, ormai perennemente braccato dalla giustizia di Vienna, riparò in Francia, ove nel dicembre del 1851, a Parigi, si schierò coi Giacobini che si opponevano al colpo di stato di Napoleone III di Francia. Nello stesso anno partecipò all'insurrezione mazziniana del Cadore: lo stesso padre Ercole Placido e la sorella maggiore Luigia furono arrestati e incarcerati a Mantova.

 

Nel 1857 si trasferì a Genova, cercando un imbarco per l'America del Nord. Naufrago, fu costretto a riparare in Spagna, in Francia, Svizzera, Piemonte (ove incontrò i propri genitori) e, infine, in Inghilterra. Qui conobbe la sua futura moglie Eliza Booth e per un certo periodo il patriota dall'animo irrequieto ebbe una vita tranquilla, dedita tutta alla famiglia seppur continuamente angustiata da problemi economici. Per sbarcare il lunario, Di Rudio lavorò per qualche tempo come giardiniere al servizio di Luigi Pinciani, un noto filantropo amico di Victor Hugo e costantemente in contatto con Giuseppe Mazzini.

 

L'attentato a Napoleone III

 

Lo spirito rivoluzionario non tardò ad avere il sopravvento sulla quotidianità di una vita anonima. Così, quando si presentò la prima occasione per entrare nuovamente in azione, Di Rudio si trovò subito pronto.

 

Partecipò allo sciagurato piano progettato da Felice Orsini per assassinare l'imperatore Napoleone III di Francia ritenuto colpevole del fallimento dei moti italiani del 1848-'49. Il 14 gennaio 1858, alle 8 e mezza di sera, in rue Lepelletier, nei pressi del teatro dell'Opéra National de Paris, tre bombe furono lanciate contro il corteo imperiale che lasciarono però completamente illeso Napoleone III (subì solo una piccola ferita alla guancia) e l'imperatrice Eugenia, ma causarono invece otto morti e ben 156 feriti tra la folla assiepata ai bordi della strada.

 

Fallito l'attentato, Di Rudio fu catturato la sera stessa e processato nel mese di febbraio con tutti gli altri congiurati italiani: Giovanni Andrea Pieri (1808-1858) di Lucca, Antonio Gomez di Napoli e naturalmente l'Orsini. Un altro congiurato, il francese Simone Francesco Bernard riuscì invece a sfuggire alla cattura.

Felice Orsini di fronte ai giudici nel febbraio 1858. Alle spalle seduti, da sinistra, i complici:di Rudio, Gomez e Pieri

 

Orsini e Pieri, ritenuti colpevoli, furono condannati a morte e giustiziati il 13 marzo, mente Di Rudio, condannato a morte in un primo tempo, riuscì tramite l'abilità del suo avvocato, l'influenza del suocero inglese e grazie all'indulgenza dell'imperatore a sfuggire alla ghigliottina, rimediando però, nel dicembre 1858, una condanna all'ergastolo nella colonia penale della malfamata Isola del Diavolo nella Caienna della Guyana Francese.

 

La fuga negli Stati Uniti

 

Carlo Di Rudio giunto alla Caienna meditò costantemente su come fuggire al più presto da quell'inferno tropicale. Considerato un sovversivo politico anche dai compagni di reclusione, dovette rispondere con coraggio e forza fisica alle continue provocazioni degli ergastolani francesi.

Nonostante tutto Di Rudio riuscì a trovare degli alleati disposti a partecipare al suo tentativo di fuga. Fallito un primo tentativo, dopo mesi e mesi di ulteriori preparativi segreti, la fuga riuscì suscitando un clamore eccezionale in tutte le terre coloniali francesi.

 

I fuggiaschi raggiunsero, dopo innumerevoli peripezie, il territorio inglese della Guyana trovandovi funzionari ben lieti di nasconderli alle pressanti richieste francesi (molti deportati infatti erano condannati politici, invisi alla monarchia francese ma non alla corona inglese). Da qui si imbarcò per l'Inghilterra riabbracciando nuovamente la famiglia. Era il 1860.

In Inghilterra, costantemente afflitto da problemi economici, il giovane Di Rudio avrebbe voluto partecipare ai moti del Risorgimento italiano ma, braccato dalla polizia francese e da quella austriaca, privo di un futuro in terra inglese, consigliato dagli amici più fidati e con in tasca una raccomandazione di Giuseppe Mazzini preferì emigrare con la famiglia negli Stati Uniti.

 

Sbarcato a New York City, anglicizzò il suo nome in Charles DeRudio e nel 1861 trovò presto impiego nell'esercito federale americano impegnato nella guerra civile. Come semplice volontario, sostituto di un giovane ricco americano, fu arruolato nel 79° Volontari Highlanders di New York. Si mise ben presto in luce presso i suoi superiori, a tal punto che meritò i gradi di sottotenente di una compagnia del 2° USCT, composta essenzialmente di soldati di colore, impegnata con compiti di polizia militare in Florida.


Il mazziniano del 7° Cavalleggeri

 

Terminata la guerra nel 1865 e ancora una volta raccomandato da influenti amici repubblicani (i soli a conoscere il suo vero passato), Carlo Di Rudio fu incorporato nei ranghi dell'esercito americano e nel 1869 venne assegnato al 7° Cavalleggeri degli Stati Uniti, alle dipendenze del personaggio più controverso della storia americana, il tenente colonnello George Armstrong Custer.

Il 25 giugno 1876 Carlo Di Rudio, assegnato alle squadre del capitano Marcus Reno, partecipò alla celebre Battaglia del Little Bighorn, che vide impegnata la cavalleria americana nella campagna contro le tribù dei Sioux, Hunkpapa, Oglala e dei Cheyenne capeggiate da Cavallo Pazzo.

 

Il tenente Di Rudio fu uno dei pochi superstiti del 7° Cavalleggeri. Nella battaglia eseguì diligentemente gli ordini che lo vedevano impegnato in una colonna parallela che doveva attaccare il campo indiano, ma si ritrovò ben presto circondato da migliaia di indiani pronti a massacrare chiunque incontrassero.

 

Al Little Big Horn erano presenti altri "italiani" del 7° Cavalleggeri: il famoso trombettiere Giovanni Martini, giovane recluta, salvatosi solo perché George Armstrong Custer lo mandò a chiedere rinforzi, il capo della banda del reggimento Felice Vinatieri, l'altro musicista Frank Lombardi, Giovanni DeVoto e infine Giovanni Casella.

 

Come uno dei pochi superstiti della battaglia, Di Rudio finì sulle prime pagine di tutti i giornali americani, tra polemiche, insinuazioni, inchieste, testimonianze in aula. Il suo valore e il suo corretto comportamento militare alla fine furono tuttavia riconosciuti.

 

Trasferito ad altri incarichi, fu assegnato nelle terre del Nordovest. Qui Carlo Di Rudio, ormai capitano, partecipò anche all'epica rincorsa a Capo Giuseppe, l'indiano Nez Percé che era riuscito a tenere in scacco l'esercito americano con i suoi pochi guerrieri e la sua disperata fuga verso il Canada.

 

Giunto in Texas con nuovi incarichi logistici, l'ormai anziano soldato italiano riuscì a conoscere anche il grande Geronimo degli Apache Chirichaua e nella ormai tranquilla guarnigione di frontiera, nel 1896, a 64 anni d’età, egli raggiunse la tanto agognata pensione.

Ritiratosi a San Francisco, nel 1904 gli fu riconosciuto il grado di maggiore. Carlo Di Rudio morì il 1º novembre del 1910 a Pasadena (California), in un letto sovrastato dai ritratti dei suoi tanto amati compagni d’avventura: Pier Fortunato Calvi e Giuseppe Mazzini.

Il mazziniano del 7° Cavalleggeri
Il mazziniano del 7° Cavalleggeri

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