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Il Mercoledì degli Scatoloni – Infodump e Deus ex machina

Creato il 26 marzo 2014 da Visionnaire @escrivere

Eccoci al quarto appuntamento con i consigli per gli scrittori tratti dagli Scatoloni in Soffitta.

Questa volta parleremo di:

Prontuario Per il Perfetto Scrittore: orrori da evitare

In particolare vedremo cos’è un Infodump e un Deus ex machina e perché vanno evitati.

INFODUMP

La traduzione del termine già aiuta a capire perché andrebbe evitato: ammasso di informazioni.

Più semplicemente, è quella cosa che si tende a fare quando si vogliono dare specifiche informazioni al lettore ma non si è capaci o non si ha voglia di gestirle durante tutto l’arco della storia. Allora si ammassano in un solo punto, tutte insieme, una cosa lunga e illeggibile che in gergo molti chiamano spiegone (termine più immediato, dà già un’idea di qualcosa di noioso, inutile, pesante da leggere).

Esempio: un certo Marco, quarantenne frustrato, rimprovera Giorgio, collega che gli sta particolarmente sulle scatole.

Lo scrivo così:

Quel giorno Marco si sentiva più nervoso del solito. Dalla finestra aveva visto grigie nuvole minacciose di pioggia e questo gli aveva ricordato quel giorno di tanti anni prima in cui Clara, la sua adorata Clara, l’aveva tradito con Giorgio proprio in quella casa, lì sul divano che ora Marco cercava di non guardare. Lui e Clara avevano vissuto insieme per dieci anni, lunghi anni di gioie e complicità che pareva non avrebbero mai dovuto aver fine, ma lei aveva distrutto tutto, cedendo a una passione fugace e incontrollata per il collega del marito, più giovane e sicuramente più attraente. Marco finì il caffè e uscì di casa, preparandosi a percorrere i pochi chilometri che lo separavano dall’ufficio sulla sua vecchia auto, dono del nonno, che poco prima di morire gli aveva lasciato la macchina e qualche buon consiglio sulle donne. Consigli che Marco, per sua sfortuna, non aveva seguito. Giunto che fu in ufficio, si ritrovò davanti proprio Giorgio, quel ragazzino che aveva preso sotto la sua ala protettrice, che aveva istruito e guidato nei primi mesi di apprendistato, a cui aveva fatto da mentore e amico allo stesso tempo. Proprio Giorgio, che l’aveva ripagato portandosi via la sua Clara. Marco lo guardò dritto in faccia e, con uno sguardo sprezzante, gli disse di sistemarsi la cravatta, perché sembrava un barbone.

Reazione del lettore: coma profondo.

Come evitarlo: creare prima delle scene in cui Marco assiste il nonno morente, vive felice con Clara, aiuta Giorgio al lavoro, scopre Giorgio con Clara.

Così da arrivare poi al punto incriminato e scrivere solo:

“Marco era più nervoso del solito, forse perché pioveva come il giorno in cui scoprì Giorgio e Clara. Non appena entrò in ufficio si ritrovò faccia a faccia proprio con Giorgio, lasciò che il nervosismo venisse a galla e lo rimproverò per la cravatta storta anche se quella era perfettamente dritta”.

Un’altra occasione in cui si tende a inciampare nell’infodump senza accorgersene è quando si scrivono i dialoghi.

Anche in questo caso, si tenta di dare al lettore informazioni importanti, ma lo si fa attraverso personaggi che quelle informazioni le hanno già, e che quindi non le ripeterebbero.

Scena di prima, Marco e Giorgio si incontrano davanti all’ascensore.

“Buongiorno, Marco”
“Buongiorno, carogna”
“Scusami, cosa hai detto?”
“Ho detto che sei una carogna, perché lo sai benissimo che ti odio. Come hai potuto andare a letto con mia moglie quel giorno piovoso di tre anni fa nonostante io ti trattassi come un figlio e ti aiutassi a farti un nome qui in ufficio?”

Non regge, e si vede subito che non regge.

Voi non incrociate un amico per strada e lo salutate dicendo “ciao, amico carissimo che quando eravamo alle elementari mi ha regalato un biscotto”, perché ve lo ricordate entrambi e non ve lo dite ogni volta che vi vedete.

Far dire a un personaggio qualcosa che non direbbe mai, solo perché in quel punto della storia dovete buttare dentro un’informazione, è pigrizia.

Come evitarlo: anche qui, bisogna aver dato prima le informazioni necessarie, così che il dialogo risulti naturale e non forzato.

Nota: porto l’esempio di un dialogo vero e proprio, ma valgono anche quegli espedienti che si rifanno al dialogo: mail che riassumono le ultime 100 pagine di avvenimenti, messaggi in segreteria che spiegano come mai un personaggio agisce in un certo modo, messaggini sul cellulare che svelano emozioni fino a quel momento mai descritte, verbali di polizia che smascherano gli errori condotti durante l’indagine, eccetera.

E valgono anche i pensieri di un personaggio: “Marco pensò che Giorgio, che gli aveva rubato la moglie nonostante lui l’avesse trattato come un figlio e lo aveva fatto cornuto proprio sul divano di pelle del salotto, fosse un bastardo”, è un palese infodump.

La rogna più grande dell’infodump è che si può annidare anche in frasi brevissime.

In questi casi, più che di ammasso di informazioni, si tratta di eccesso di informazioni.

Ovvero tutti quegli aggettivi e avverbi che riportano ciò che il personaggio sa già e non ripeterebbe, o che non descriverebbe in quel modo perché la sua attenzione è focalizzata altrove.

“Mi persi nei suoi splendidi occhi neri” (sa già che sono neri, perché ripeterlo in quel momento?);

“La porta cigolante dietro cui si nascondeva l’assassino” (ha paura di morire, cosa gliene frega se la porta cigola o no?);

“Quel giorno indimenticabile che ogni anno festeggio” (se lo festeggia è ovvio che se ne ricorda);

eccetera, gli esempi potrebbero essere milioni.

Essendo l’infodump tanto subdolo e sempre in agguato, come capire se lo si fa o no? Come distinguere uno spiegone da una spiegazione (spesso indispensabile)?

- L’infodump spezza il ritmo. Non si inserisce fluidamente nella storia, amalgamandosi con il resto, ma fa un saltino.

Se, rileggendo il vostro testo, notate un punto in cui vorreste giungere “al dunque” ma c’è della roba da leggere prima di arrivarci… molto probabilmente quello è un infodump, e lo stesso effetto che fa a voi lo farà agli altri.

- L’infodump non spiega davvero.

Riassume in poche righe qualcosa che andava detto più ampiamente, o ripete cose già dette che potevo dire meglio se volevo che rimanessero impresse nella mente del lettore.

- L’infodump non serve.

Se togliendo alcune informazioni, alcuni aggettivi o alcuni avverbi, la trama si capisce lo stesso… beh, toglieteli!

- L’infodump è comodo. E questo penso sia l’unico modo davvero valido per capire se lo si usa o no.

Se volete dire una cosa importante e ve la cavate con tre righe inserite non importa dove; se volete affrontare un concetto chiave e lo piazzate là dove vi serve che venga fuori, senza versare una sola goccia di sudore perché si incastri alla perfezione con le altre cose scritte… ecco, molto probabilmente è un infodump ed è brutto da leggere.

Per cercare di evitarlo mostrate la vostra storia poco a poco, attraverso piccole scene importanti, usando i personaggi e le loro azioni come bussola. Dovrebbe funzionare.

DEUS EX MACHINA

Ovvero il dio che viene dalla macchina.

Nel teatro greco l’attore che impersonava la divinità veniva imbragato e agganciato a un sistema di funi e carrucole (il mechanè) in modo da venir calato dall’alto quando entrava in scena.

L’arrivo del dio dalla macchina coincideva dunque con il momento di svolta della vicenda, quando l’eroe in difficoltà invocava l’aiuto degli dei perché lo traessero d’impaccio.
Al giorno d’oggi questo modo di dire indica quelle situazioni letterarie in cui un qualcosa sblocca un punto altrimenti morto. Quando un intervento inaspettato e propizio risolve la situazione.

Il problema sta nel fatto che il deus ex machina è una risoluzione forzata e spesso inverosimile.

Per dirla semplice: ogni volta che, leggendo, ci troviamo davanti una scena che ci fa pensare “toh, che coincidenza” oppure “toh, che fortuna”, siamo di fronte a un deus ex machina.

E infatti non ci suona realistico.
Facciamo un esempio che non lasci più spazio ai dubbi:

state scrivendo un libro psico-thriller-splatter in cui il normalissimo Marco scopre che l’amata moglie Clara lo tradisce e inizia a fare una strage di cadaveri girando per la città con una motosega.

Nei primi capitoli avete introdotto il normalissimo Marco, avete raccontato della sua monotona vita in ufficio, del suo amore per Clara, dell’affetto che prova per il giovane Giorgio, collega che ha preso sotto la sua ala protettice. E fin qui, bene.

Poi però qualcosa deve succedere, Marco deve sorprendere Clara tra le braccia di Giorgio, o non impazzirà e il libro diventerà un’altra cosa.

Facilissimo: un giorno Marco esce dall’ufficio a metà pomeriggio invece che alle sette di sera, va a casa e scopre il tradimento. Dà di matto, agguanta la motosega, fa a pezzetti i due e poi, non soddisfatto, esce in strada e inizia ad affettare chiunque gli passi davanti. Ci siamo, no?

No.

Perchè se Marco per ventidue anni non è mai uscito prima dall’ufficio, questo è un deus ex machina. È un modo facile, veloce e illogico di far progredire una situazione.
Gli esempi in merito sono milioni, basta guardare un qualsiasi action-movie o leggere un qualsiasi libro poco curato per trovarne a bizzeffe.

Il detective si blocca nelle indagini ma trova proprio la cosa che gli serviva (toh, che fortuna);
l’eroina in pericolo riceve una telefonata proprio nel momento in cui l’assassino sta tagliando i fili del telefono e, sentendo cadere a linea, capisce e scappa (toh, che coincidenza);
il mago di fronte al nemico potentissimo scopre in quell’istante di avere un potere ancora più potente (toh, che fortunata coincidenza);
l’eroe si butta dalla vetrata e dovrebbe schiantarsi al suolo con un sonoro SPLAT ma proprio in quel momento passa un camioncino pieno di sabbia e lui atterra senza un graffio (eh, ma che culo spropositato!).

Sono tutti deus ex machina, l’intervento “divino” che sistema le cose. In questo caso la divinità che fa il miracolo è l’autore.
Come evitarlo:

Costruire le scene, i personaggi, la trama. Costruire, non imbastire.

Dare delle motivazioni. Fare in modo che il punto di svolta della narrazione o la botta di fortuna non arrivino per caso.

Anticipare – attraverso scene, dialoghi, descrizioni, flashback o quel che si vuole – ciò che verrà dopo, in modo che, nel momento in cui arriverà, non sembrerà messo lì per sbaglio.
Posso, tornando all’esempio di Marco, caratterizzare il personaggio dandogli una madre morta giovane a cui lui si sente molto attaccato pur non avendola conosciuta bene. Posso dire che ogni anno, nel giorno dell’anniversario della morte della madre, lascia in anticipo l’ufficio per portare una rosa in cimitero, anche se tutti gli altri giorni non uscirebbe mai in anticipo, per nessuna ragione. Per contro, posso caratterizzare Clara come una donna che disprezza a tal punto il marito da non ricordare nemmeno quando è morta sua madre. O posso dire che Marco non ha mai rivelato alla moglie il suo piccolo segreto nonostante la ami alla follia. Posso dire che negli anni precedenti Marco, uscito dal cimitero, faceva una passeggiata, ma che quel giorno piove e quindi va direttamente a casa.

E allora sì il fatto che scopra la moglie con Giorgio non è un deus ex machina, un intervento divino buttato là solo perché non ho avuto voglia di ragionarci sopra.

È una naturale conseguenza nello scenario che ho creato. Ed è molto meno brutto, almeno non fa dire “toh, che coincidenza” a chi mi legge.

Nella prossima puntata vedremo… Stereotipi e cliché letterari, con particolare attenzione per le Mary Sue (e i Gary Stue).

Questa piccola guida è opera di:

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    Bee

    Chi sonoSono una più che trentenne emotiva e compulsiva. Mentalmente iperattiva, ma fisicamente vegetante. Fumo come il proverbiale turco. Adoro i cartoni animati, perdo troppo tempo in rete. Parlo da sola (anche in pubblico), faccio i crucipixel a penna. E ogni tanto scrivo, per lo più storie che non hanno un finale.


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