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Il messaggio nella bottiglia

Creato il 17 settembre 2013 da Unostudioingiallo @1StudioInGiallo

Il messaggio nella bottiglia

Il messaggio nella bottiglia, terzo episodio della fortunata “serie della sezione Q” di Carl Mørck, è un buon esempio di come un singolo romanzo di qualità possa gettare una luce diversa su un intero filone frettolosamente – e, a posteriori, ingenerosamente – bandito dai propri orizzonti letterari. Come tutti i lettori che amano definirsi onnivori salvo poi scoprirsi devoti a una cerchia ristretta e ultra-selezionata di autori, ho affrontato la lettura del nuovo thriller di Jussi Adler-Olsen con qualche riserva psicologica e una valigia di perplessità; orfana inconsolabile di Stieg Larsson, per giunta, e reduce da una serie di tentativi dall’esito tutt’altro che incoraggiante avevo concluso che no, grazie, il poliziesco ad alta latitudine non fa per me.

Per fortuna la vita del blogger è bella e varia, e non lesina sorprese: capita perfino di vedersi recapitare una copia in anteprima assoluta di un romanzo che forse non mi sarei presa la briga di acquistare… e male avrei fatto! Perché quanto il (bel) titolo promette (alzi la mano chi non ha mai subito il fascino romantico e vagamente piratesco di un messaggio affidato all’arbitrio delle correnti), il romanzo mantiene: l’indagine principale – piratesca quanto basta ma niente affatto romantica, ben inteso, a meno di non nutrire un forte penchant per le ossessioni maniaco depressive – prende infatti le mosse dal ritrovamento d’una richiesta di aiuto scritta col sangue e sigillata in una bottiglia di vetro per accompagnarci, in un crescendo di tensione (preparatevi a far le ore piccole!), nell’inquietante sottobosco del fanatismo religioso.

Ritmi serrati, cadenze d’inganno sapientemente dosate, personaggi credibili che si scolpiscono nella memoria: un thriller coi controfiocchi, insomma, impreziosito dalla disarmante, eccentrica follia dell’intero “reparto speciale della polizia di Copenhagen per i casi irrisolti” (la sezione Q, per l’appunto). Non mi resta che cercare conforto nella massima lowelliana secondo la quale solo ai defunti e agli stupidi non capita mai di mutare opinione, e procurarmi in gran fretta i primi due capitoli della serie.


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