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“Il mistero di Dante”: intervista a Louis Nero

Creato il 24 marzo 2014 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

Louis-Nero

O voi ch’avete l’intelletti sani/Mirate la dottrina che s’asconde/Sotto il velame delli versi strani”.

Questa terzina dantesca, estratta dal IX canto dell’Inferno, introduce immediatamente nella “quarta dimensione”, o quarto livello, dell’opera più importante della letteratura italiana e non solo: La divina Commedia. Louis Nero realizza un film documentario (con una breve ma efficace introduzione in stile mockumentary) in cui affronta il lato esoterico della Divina Commedia, avvalendosi di importanti esponenti della cultura (registi, studiosi, massoni, etc.), conducendo lo spettatore in un viaggio temporale in cui le varie testimonianze sono tutte tese a cogliere quell’aspetto misterioso del testo che da secoli aleggia sulla Storia. E tra un ‘intervista e l’altra le raffigurazioni di Gustave Dorè si animano dando corpo e plasticità a delle composizioni in bianco e nero, assai efficaci nel rendere quella sensazione di smarrimento che il Poeta con il suo mentore Virgilio vissero durante il loro terrificante viaggio negli inferi.

Parto da alcuni estratti della recensione di Luca Biscontini per introdurre il tuo nuovo film “Il mistero di Dante”. Come è nata l’idea di fare un adattamento sulla Divina Commedia e perché hai preferito non collocarlo né classificarlo – a livello di genere – in nessun modo? 

Ne La Divina Commedia Dante attinge ad un sapere o a dei saperi antichissimi. All’interno del suo lavoro, quasi un’arca di simboli, convergono moltissime tradizioni. Quindi nella scelta del linguaggio ho preferito utilizzare diverse forme per rendere quell’unità nella molteplicità presente anche nella Divina Commedia

La tua idea iniziale era quella di rappresentare un viaggio in forma cinematografica nell’opera di Dante. Poi durante le riprese, parlando e intervistando coloro che hanno preso parte a questo progetto questa idea che avevi si è capovolta. Cos’è che ha messo in discussione il tuo soggetto iniziale e quali sono state le nuove domande che ti hanno portato altrove?

Confrontarsi con Dante vuol dire mettersi in discussione ad ogni passo. Dante era un uomo del dubbio e per avere a che fare con un uomo del genere bisogna abbandonare le proprie certezze e provare a percorrere la stessa strada tracciata da lui. Quindi ogni nuovo incontro, in questo caso gli intervistati, era la possibilità di rimettersi in discussione e provare ad approcciare Dante ogni volta in modo nuovo e diverso.

L’approccio didattico del film, si presta ad una fruizione da parte di scuole e istituzioni culturali in genere. E´ una cosa che avevi deciso dall’inizio?

Non definirei l’approccio al film di tipo didattico, anzi cerca di indagare uno degli aspetti meno conosciuti dell’opera di Dante, ma ciò non nega il fatto che il film possa essere fruibile anche per chi si approccia per la prima volta con questa grande figura del passato, del presente e del futuro.

Il premio Oscar Murray Abraham interpreta Ibn Arabi, filosofo e poeta arabo conosciuto come Doctor Maximus, che ha ispirato Dante, e nel film costituisce il medium che intervalla i numerosi interventi, tra i quali quelli di Zeffirelli, Gabriele La Porta, Valerio Massimo Manfredi, Silvano Agosti. Ciò dimostra che una parte importante dell’intellighentia italiana ha creduto in questo progetto. Tra l´altro questo era giá accaduto nei tuoi film precedenti, da Golem, la tua opera prima, in poi. Questo dimostra che c’è un interesse da parte del mondo intellettuale italiano a essere testimonial di un cinema che si allontana radicalmente dalle strade più battute. Mi sbaglio?

La mente dietro il progetto e il motore primo di quest’opera è Dante stesso. Tutti questi personaggi hanno aderito al progetto poiché era un’occasione unica per confrontarsi con il più grande artista italiano. Il merito è solo di Dante; io mi sono limitato a percorrere la sua strada. Ogni progetto se affrontato con sincerità e con voglia di ricerca automaticamente coagula intorno a sé tutti gli altri “intellettuali” ed artisti che fanno della loro vita uno strumento per cercare la Verità.

Franco Nero che era già voce narrante nel tuo precedente film Rasputin e attore ne La Rabbia e Hans, ti accompagna anche in questa tua nuova fatica. Cosa vi unisce nel vostro percorso lavorativo? In altre parole, che cosa regge questo vostro sodalizio artistico?

Con Franco ormai il rapporto si è trasformato da un semplice rapporto di lavoro in una lunga e preziosa amicizia. Franco ha avuto negli anni la possibilità di lavorare con i più grandi registi di tutti i tempi; quindi lavorare con lui vuol dire venire in contatto con questo grande spirito dell’Arte che ha trovato in lui una delle sue più importanti forme di espressione. Credo che la nostra collaborazione durerà ancora a lungo.

Il film è stato distribuito in 30 copie, quali sono le città, oltre a Torino, dove hai avuto più riscontro di pubblico oggi come nel passato? Quali sono le città (se ci sono) dove il cinema indipendente trova terreno fertile? E perchè?

Tutte le città sono un luogo dove la cultura può trovare i suoi utenti. Spesso la differenza la fanno quelle poche persone che si mettono in gioco per confrontarsi con progetti particolari come “Il Mistero di Dante“. Il resto lo fa il passaparola.

Il mistero di Dante

Pensando a Rasputin e ora a Dante Alighieri, è evidente che il tuo percorso sia indirizzato allo studio di personaggi che vivono tra il reale e lìncredibile, tra le loro dualità e la ricerca della verità sia terrena che divina, tra il bene, il male, il peccato e la saggezza. Sono personaggi da cui ti senti in qualche modo rappresentato oltre che attratto?

Chi fa una ricerca estrema non può essere capito dalle persone che lo circondano. Dante come Rasputin sono stati dei ricercatori puri, quindi le loro vite hanno superato il nostro concetto di morale. Entrambi hanno superato la dualità, oltre il bene e il male. Entrambi hanno catalizzato lo spirito del tempo in cui vivevano.

Rasputin e Il mistero di Dante non sono di facile impatto. Quando realizzi un ´opera di solito ti interessa di più sfidare la critica o il pubblico?

Ogni mia opera è frutto di una mia ricerca personale; la forma è solo un accidente che nasce da questa ricerca. Cerco di trovare per ogni mio lavoro la forma giusta per esporre nel miglior modo possibile il contenuto trattato. Il pubblico sensibile sarà in grado di trovare dietro la forma l’essenza dei personaggi o delle storie che tratto.

Non ti accontenti di una semplice narrazione di eventi ma cerchi un’estetica forte, basata su elementi diversi come la pittura, il cinema d’autore, le icone, la video-arte. Ci sono registi italiani che da questo punto di vista ti hanno ispirato o che hai avuto modo di apprezzare, per il coraggio?

Tra i miei padri spirituali metterei al primo posto Federico Fellini che è riuscito, con la sua immaginazione, a creare un mondo più vero di quello dello stesso Realismo.

Partendo dall’antica setta dei Fedeli d’amore e il ruolo che hanno avuto all’interno dell’opera di Dante, quali sono le dottrine di carattere esoterico che più ti affascinano e quale è il filo conduttore che le lega normalmente nei tuoi film? E chi sono – secondo te – a livello internazionale i veri Iniziati, coloro che nel cinema hanno rivelato la verità occulta, il significato nascosto delle cose?

L’esoterismo è uno ed uno solo. Soltanto le forme esterne sono differenti. La mia ricerca si potrebbe riassumere in un antico adagio: conosci te stesso. Tutto il resto è orpello e confusione. Gran parte del cinema contemporaneo oltreoceano cerca, tramite l’uso del mito, di cambiare in meglio la società cercando di trasformare lo spettatore da uomo ceco a persona che riesce finalmente a vedere la luce. La stessa natura del cinema è quella di proiettare la luce sullo sfondo scuro dello schermo. Il compito del cinema è quello di provocare la catarsi nello spettatore. Una volta questo compito era della poesia, del teatro e del racconto intorno al fuoco; oggi è del cinema. Domani ci saranno altre forme.

La Rabbia, il film che hai scritto, girato e prodotto nel 2007, si connota come lavoro di denuncia nei confronti di un cinema che ha tutte le caratteristiche di un’industria, e non ha, spesso, più niente a che fare con la sua missione artistica iniziale, che era quella di muovere e di elevare l’animo umano. Questo era vero quando è uscito il film nel 2007 ma ha raggiunto l’apice probabilmente negli ultimi due anni. Quali sono le tue previsioni per il futuro? Pensi che il cinema radicale sia destinato a sopravvivere o che possa diventare nel giro di qualche anno una valida alternativa ai film mainstream?

Credo che il cinema che faccia ricerca, linguistica e simbolica, che appartenga al mainstream o al mondo indipendente, sia l’unica forma che si possa chiamare con questo nome. L’Arte senza ricerca non esiste. Oltre l’orizzonte vedo soltanto la nascita di un’epoca nuova che porterà tanti frutti.

In Registe, uno degli ultimi film da te prodotti, viene ricostruita la regia italiana al femminile da un punto di vista storico, dagli esordi ad oggi, ed affrontata la figura della regista sotto il punto di vista delle pari opportunità, studiandone il riconoscimento pubblico riscosso negli ultimi decenni nei maggiori festival e premiazioni; il tutto ascoltando le voci delle stesse registe, oggi nostre protagoniste, e tentando di comprendere perché su 100 registi italiani solo 7 siano donne. Se dovessi scegliere una citazione tratta dalle interviste fatte a queste importanti registe italiane, quale sintetizza al meglio lo stato di cose rappresentato dall’industria cinematografica sessista italiana?

Cecilia Mangini conclude l’opera prima di Diana Dell’Erba con questa frase: il cinema non è né femminile né maschile, il cinema è cinema e basta.

Il tuo primo film Golem fu distribuito in 23 città e uscì in dvd per Medusa. Se dovessi dare un consiglio a chi inizia, cosa raccomanderesti di non fare prima di proporre un film a un distributore nazionale o internazionale?

Ormai il mondo della distribuzione è completamente cambiato dall’epoca di Golem. Difficilmente un’opera prima può trovare una degna distribuzione. Io consiglierei di utilizzare i canali alternativi che in questo momento storico possono permettere alle idee di circolare liberamente.

Un ultima domanda, vorrei farla sulla tua città Torino. C’è chi pensa che in questi ultimi anni  sia rimasta l’unica roccaforte d’Italia in cui ci sia ancora attenzione nei confronti della cultura in genere e dove ci siano degli investimenti a vari livelli anche da parte anche delle istituzioni. È solo una fantasia o c’è qualcosa di vero? 

Torino come sempre è un crogiolo dove l’arte più pura viene pensata però, come tutti i luoghi, dove l’arte trova casa per veicolarla al pubblico bisogna passare per altre città più dedite alla divulgazione di questa cultura.

Vincenzo Patanè Garsia


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