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Il montismo

Creato il 29 febbraio 2012 da Casarrubea

Giuseppe Casarrubea

Il montismo

Mario Monti

Ormai lo conosciamo. C’è voluto un intero inverno, e ancora ce ne vuole fino all’arrivo della primavera 2013, per capire cosa ha apparecchiato quel galantuomo di Napolitano a noi mortali tanto abituati a scialacquare a destra e a manca e a pensare, soprattutto, agli affari nostri. A intrallazzare  o a evadere il fisco.

A quanto pare gli italiani sono rimasti tali e quali erano in passato e, se in qualcosa sono cambiati, hanno potuto saperlo grazie alle scelte fiscali che questo neosenatore a vita di Varese ha compiuto. Con il seguito dei suoi ministri. Paperoni che hanno messo in crisi le fasce più deboli e il ceto medio, esaltando il grande capitale finanziario e immobiliare e tutelando la santa romana Chiesa, salvandola dalle tasse sugli immobili che ospitano servizi come la scuola, gli ospedali e quant’altro, anche se gestiti con denaro privato di noi poveri utenti.

Nel caso della scuola, l’ingiustizia è palese. L’art 33 della Costituzione, nel suo terzo comma, recita, ad esempio, che “enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato”. Se non comprendiamo male la lingua italiana ciò significa che non solo lo Stato non deve affrontare spesa alcuna per mantenere gli istituti di educazione religiosa di qualsiasi confessione ma, a maggior ragione, non può neanche perdere il diritto a riscuotere quanto dovutogli in termini di tassazione degli immobili destinati ad uso scolastico. E qui non c’entra l’attività in sé, il no profit, ma il peso fiscale della proprietà nuda e cruda, purché non sia quella  di un luogo di culto. Ma, come sappiamo, le cose stanno in modo diverso.

Ora noi non dubitiamo che la baracca Italia prima o poi rattopperà le sue falle. Ma il problema che condiziona pesantemente il nostro Paese è di ben altra natura. L’Italia, negli ultimi vent’anni, ha perduto la sua identità di Paese fatto di navigatori, scienziati e artisti. I suoi antichi valori sono stati sostituiti dal malaffare e la cultura è stata declassata come fattore improduttivo della nostra società. Così, mentre musei, biblioteche, beni architettonici e monumentali sono buttati alle ortiche, il dio denaro trionfa.

L’era di Berlusconi non ha prodotto solo gli scandali, ma ha rovesciato la gerarchia dei valori che fondavano il nostro Paese, non escluso quello della moralità, un tempo fondante il nostro costume di vita. Mi preoccupa di più, ora, il fatto che Monti prosegua imperterrito l’opera del suo predecessore, con le correzioni dovute alla competenza del suo mestiere, e al diverso stile che anima i suoi atti e la sua credibilità in Europa. Cosa di cui non era depositario l’uomo di Arcore. Rispetto a Berlusconi, Monti è diverso per carisma e per statuto etico, ma anche per un’altra ragione fondamentale: il carattere sperimentale della sua dimensione politica. Si ha un bel dire che ci troviamo di fronte a un governo tecnico. Siamo nella provetta di un laboratorio in cui si sta verificando la tenuta del nostro sistema. Vale a dire come e fino a che punto la democrazia borghese che aveva perduto i suoi connotati liberali e di partecipazione responsabile, possa recuperare la dimensione della sua dipendenza storica nazionale dal capitale pulito, dalla concorrenza leale, rendendo impraticabile la sinistra.

Invece siamo al governo dei soldini, del calcolo del tributo a Cesare. La destra non sa andare oltre; ci mette le mani in tasca per pareggiare i conti. Poi, finito il periodo delle vacche magre, i gruppi elitari e dominanti potranno meglio giocare le loro carte. Ancora una volta contro chi non può, mondo operaio e ceti medi compresi. Perché, per fortuna, il ceto medio non è dalla parte del mondo finanziario e bancario, ma ne è strutturalmente dipendente e vittima.

Lo Stato non è l’Italia, né tanto meno gli italiani o la Nazione di cui fanno parte. Manca a questo governo la volontà e la passione di favorire sviluppo e cambiamento, di trovare vie alternative che non siano quelle che penalizzano i lavoratori, i precari, la sempre più crescente massa di disoccupati, di imprese in crisi, di tartassati e di imprenditori che hanno perduto la voglia di fare, produrre, sperimentare com’è nel carattere degli italiani. Per quanto Monti sia il presidente di una università prestigiosa come la Bocconi, manca a questo governo lo statuto della cultura e della ricerca come valori primari. Gli manca cioè la progettualità dello sviluppo, come dimostrano i recentissimi episodi dei No-Tav in Val di Susa, o, all’opposto, degli autotrasportatori e dei cosiddetti forconi.

La nomina da parte di Napolitano del nuovo capo del governo, è, d’altra parte, il frutto della necessità di rompere l’assetto del berlusconismo, complice lo stesso Berlusconi, per transitarlo a una destra più credibile e più liberale, meno sfegatata e personalistica qual era quella rappresentata dal precedente governo. Una volontà consapevole dell’urgenza di riformulare il sistema delle alleanze di cui Monti è la massima autorità, per costruire un’area politica nuova contrassegnata dal moderatismo e inclusiva di forze autenticamente liberal. Così al berlusconismo segue il montismo, variabile corretta del primo.

Il montismo è una formula tendente a includere storie diverse dentro la comune legittimazione del concorso a definirlo, a prescindere dalle barriere politiche e ideologiche, con l’obiettivo comune di superare una reale condizione di emergenza.


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