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Il mosaico della cattedrale di Otranto

Creato il 18 novembre 2015 da Cultura Salentina

18 novembre 2015 di Dino Licci

Il mosaico della cattedrale di Otranto

Cercare di compendiare in poche righe la complessa simbologia del mosaico della cattedrale di Otranto, è impresa  quanto mai complessa. Molte pagine sono state spese per tentare di entrare in modo esaustivo in quello che molti definiscono “Il mosaico del Mistero”, un mosaico che ci proietta in pieno medioevo con una dovizia di particolari che ci trascinano nel mondo dei cristiani, dei catari, degli gnostici per citare i più facilmente aggredibili da una prima analisi del complesso pavimentale.

L’opera fu realizzata, su commissione dell’Arcivescovo di Otranto Gionata, tra il 1163  e il 1165 da Pantaleone, un monaco basiliano dell’abbazia di San Nicola di Casole di cui oggi non restano che pochi ruderi, ma che al tempo costituiva un centro culturale di notevole importanza :  “il vero ponte di unione e di transito tra la cultura orientale e quella latina”.

Forse proprio con questo intento fu costruita nel 1098 da Boemondo I, principe di Antiochia e di Taranto e figlio di Roberto il Guiscardo,  che così tentava  di entrare nelle grazie  dei salentini, dei greci e delle altre popolazioni che calcavano la “Terra d’Otranto”.

Fra queste mura, sature di cultura medievale, si era formato appunto il monaco Pantaleone che appose la sua “firma” ai piedi del mosaico in corrispondenza dell’entrata principale della cattedrale, dopo aver rappresentato sé stesso come l’asino che suona la lira quasi a sottolineare l’importanza di un’opera che oltrepassava le sue stesse capacità creative.

L’immagine centrale attorno a cui ruota l’opera, è “l’albero della vita”che, partendo dalla porta situata nella parte inferiore del mosaico, giunge quasi fin sotto al presbiterio. Ma, per leggere  in modo corretto la narrazione  del monaco, non bisogna partire dalla porta, dove si trova la base dell’albero, ma  dal punto sottostante la cupola, dalla rappresentazione di Adamo ed Eva scacciati dal paradiso e, mano a mano, a seguire il racconto biblico   in modo da poterne carpire  il significato simbolico, ossia la discesa del logos verso la materia. Così, dopo Adamo ed Eva  tra cui emerge la figura del serpente, incontriamo Noè, Caino, Abele in un percorso figurato verso la salvezza intercalato dai dodici mesi dell’anno ed i lavori manuali cui l’uomo deve sottostare. Ogni mese  è contornato da segni geometrici e  cifre arabe  mentre i nome dei singoli mesi sono scritti in latino. Ma se il racconto biblico viene ampliamente rappresentato, non si può dire altrettanto del nuovo testamento che viene stranamente del tutto ignorato mentre abbondano  numerose immagini difficilmente inquadrabili in un’ottica cristiana come re Artù, raffigurato in groppa ad un caprone mentre impugna uno scettro stranamente curvo.

Questa immagine, riportandoci al cosiddetto “archivolto di Re Artù” scolpito intorno al 1120 nella Porta della pescheria del Duomo di Modena, con precisi riferimenti alla storia di Matilde di Canossa e all’Imperatore Enrico IV, potrebbe giustificare la sua presenza proprio in riferimento al celebre incontro. Ma sono solo supposizioni forse frutto della volontà di numerosi studiosi che cercano di dipanare il mistero che aleggia nelle figure del monumentale mosaico.

Dopo la raffigurazione dei dodici mesi dell’anno, troviamo   scene che ci ricordano il  diluvio universale, la costruzione dell’Arca, la salita degli animali sulla imbarcazione, che potrebbero sembrare la mera  rappresentazione per immagini del racconto biblico, se non fossero intercalate da altre figure che ci distolgono dalla linearità del testo.

Incappiamo infatti   in uno stranissimo leone dotato di quattro corpi connessi ad un’unica testa ed, in posizione simmetrica, la figura di Alessandro Magno. Probabilmente per un’interpretazione corretta di tali altrimenti oscuri messaggi, dobbiamo ricorrere alle Sephiroth della cabala laddove ;

Il  Leone rappresenta lo Splendore;

Alessandro  Magno la  Vittoria;

La mano di   Dio che impartisce l’ordine a Mosè, Il Rigore;

La raffigurazione dell’arca La Pietà.

L’intelligenza è invece  rappresentata dall’albero della vita contrapposto a quello del bene e del male ( si guardi in alto l’albero piccolo accanto alla cima dell’albero grande scelto stoltamente da Adamo per la sua sete di conoscenza);

La Saggezza da Re Artù e dal gatto con gli stivali.

Il frate poi si rappresenta in un atteggiamento di meditazione verso un unicorno.

Forse l’Unicorno è solo il simbolo della conoscenza ma, leggendolo in chiave gnostica, esso rappresenterebbe addirittura Gesù:

L’unicorno possiede un sol corno nel mezzo della fronte. Esso è il solo animale che può vincere l’attacco dell’elefante; L’unicorno rappresenta Gesù Cristo. Che acquista su di sé la sua natura nel grembo della vergine, che fu tradito dai giudei e consegnato nella mani di Ponzio Pilato. Il suo unico corno simboleggia il Vangelo di Verità” (Le Bestiaire Divin, di Guillaume, Clerc de Normandie [13th century]).

Ad avallare la chiave di lettura gnostica del mosaico idruntino incappiamo in altre figure  come quella della “Sirena” troppo simile all’Abraxas perché non se ne faccia cenno

Ecco ala descrizione di Abraxas che ho trovato su una pagina internet:

“L’Abraxas è, nell’accezione ideata dallo gnostico egiziano Basilide, il nome oscuro dato al Sommo Architetto dell’Universo: i due serpenti che fanno da arti inferiori all’essere identificano l’unione tra la componente maschile e femminile ed hanno un chiaro significato di natura sessuale. Il valore numerico delle lettere del nome abraxas è 365 ed è pari quindi, ai giorni dell’anno (nell’alfabeto greco A = 1, B = 2, R = 100, A = 1, S = 200, A = 1, X = 60, totale 365). Il termine è probabilmente alla base della formula magica Abracadabra (abrasadabra in greco) e proviene dalle parole Ab, Padre, Ben, Figlio, e Acadsch, lo Spirito, di conseguenza racchiude in se il concetto trinitario.”

Ancora scorgiamo  l’immagine di Salomone che  è  simbolicamente legata all’idea di giustizia ed il  Leopardo alato, situato alla destra della Sirena, nell’atto di uccidere un ariete. L’iscrizione PASCA, posta sotto, è stata   così decifrata da mons. Grazio Gianfreda:

P(ardus) = leopardo

A(latus) = alato

S(ternit) = abbatte

C(ornutus) = cornuto

A(rietes) = ariete

e la regina di Saba che, nella mitologia gnostica, costituisce un parallelo con l’immagine della Madonna e della Maddalena.

Per ultimo ricordiamo che le figure degli elefanti posti all’ingresso della cattedrale ed alla fine del percorso salvifico che abbiamo illustrato, formano una specie di coppa che alcuni anno voluto interpretare come il Sacro Graal.

Quali conclusioni trarre da tanti stimoli alla conoscenza? Forse una soltanto, quella che ci mostra  un monaco che  rappresentava il massimo del saper medievale in un crogiolo di culture che, proprio qui, nel nostro Salento, s’incontravano per fondersi in un intento che le accumulava tutte: la ricerca e l’adorazione di Dio come speranza di rinnovamento, salvezza, immortalità. Dino Licci


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